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di Luca Grossi

Alcune carte dell’indagine sulle stragi di Firenze e Milano del 1993 sono sparite dal fascicolo inviato dalla Procura di Firenze alla Cassazione.
Si tratta del plico che riguarda l’annullamento delle perquisizioni a Nunzia e Benedetto Graviano, fratelli non indagati del boss Giuseppe Graviano già condannato per le stragi.
Un fatto inquietante, se si considera il suo contenuto. Come riportato dal 'Fatto Quotidiano' in un articolo a firma di Marco Lillo, dentro quel fascicolo erano state inserite delle carte provenienti dal dossier 4703 del 2020 “con indagati Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi pendente in Procura a Firenze”. Ricordiamo che entrambi sono attualmente coinvolti nell’inchiesta per le stragi del ’93, e che le indagini sono state coordinate dall’allora procuratore capo di Firenze, Giuseppe Creazzo, e dai procuratori Luca Turco (ora facente funzioni) e dall’aggiunto Luca Tescaroli.
Nel fascicolo erano presenti anche una consulenza recente di due "esperti in materia bancaria sui flussi finanziari dell’inizio della storia del gruppo Berlusconi negli anni Settanta”. In particolare da quella consulenza era emersa “la mancata giustificazione della provvista impiegata (oltre 16 miliardi di lire) per la reintestazione di crediti in nome di Fininvest Roma (c.d. Lista Santo), in parte riportati nel bilancio di esercizio 1977 della Fininvest spa”.
E poi ancora, nel fascicolo erano state inserite delle informative con le deposizioni su "mafia e politica di alcuni collaboratori di giustizia”, nonché un’informativa riguardante i video delle conversazioni tra il boss Giuseppe Graviano (detenuto al 41 - bis) del 2016-17 e il detenuto Umberto Adinolfi.
Come riportato sempre dal ‘Fatto’ il dossier è già stato ricostruito in quanto i documenti sottratti erano delle copie. A questo punto i magistrati, sia a Firenze che a Roma, vogliono vederci chiaro: i pm stanno indagando per articolo 616 c.p con aggravante ex art. 7, cioè violazione e sottrazione di corrispondenza con aggravante di mafia.
Si arriverà a scoprire di chi era quella ‘manina’ che ha sottratto gli atti?
O anche questa volta i pm andranno a scontrarsi con quel muro di gomma onnipresente in tutte le storie italiane che riguardano il periodo stragista?


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Il procuratore aggiunto di Firenze, Luca Tescaroli © Imagoeconomica



Il ricorso del legale della famiglia Graviano
La necessità di ricreare il fascicolo è stata comunicata anche all’avvocato Mario Murano, legale della famiglia Graviano, il quale aveva presentato ricorso al Tribunale del Riesame per chiedere l’annullamento dei sequestri e delle perquisizioni perché, secondo il legale, nulla lega oggi Nunzia e Benedetto al fratello Giuseppe, a parte il vincolo di sangue.
Ricordiamo che i fratelli di Giuseppe Graviano, Nunzia e Benedetto, pur non essendo indagati sono stati perquisiti dai pm alla ricerca di riscontri alle dichiarazioni di Graviano su Berlusconi.
Contro il diniego del Riesame, Murano aveva fatto ricorso in Cassazione ottenendo l’annullamento con rinvio dell’ordinanza del Tribunale. A giugno, però, il Tribunale del Riesame aveva insistito sulla sua posizione ribadendo con un nuovo provvedimento che il sequestro dei pm andava confermato.
Ma, quando l’ufficio apposito della Cassazione stava procedendo all’iscrizione del ricorso per la trattazione, i funzionari di cancelleria si sono accorti che il plico era stato aperto e mancavano molte carte, tra cui il ricorso del legale. Da qui l’invito all’avvocato Murano di ridepositarlo in tribunale.

Le origini dell’inchiesta fiorentina
L’inchiesta era stata aperta nel 2017 a seguito delle intercettazioni eseguite per 14 mesi, dal febbraio 2016 ad aprile 2017, in cui è stata registrata la voce del capomafia Giuseppe Graviano dalle microspie mentre parlava con il camorrista Umberto Adinolfi durante l’ora d’aria nel carcere di Ascoli Piceno: "Berlusca mi ha chiesto questa cortesia... per questo c'è stata l'urgenza. Lui voleva scendere... però in quel periodo c'erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa". Graviano continuava a parlare dei suoi presunti rapporti con Berlusconi, alludendo all'intenzione dell'imprenditore di entrare in politica già nel '92: "Berlusconi - proseguiva Graviano - quando ha iniziato negli anni '70 ha iniziato con i piedi giusti, mettiamoci la fortuna che si è ritrovato ad essere quello che è. Quando lui si è ritrovato un partito così nel '94 si è ubriacato e ha detto 'Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato'. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore". Le invettive contro l'ex premier, colpevole di averlo abbandonato, non si contano: "Tu lo sai che mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta... alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso... e tu mi stai facendo morire in galera senza che io abbia fatto niente". "Ti ho portato benessere, - è uno degli sfoghi - 24 anni fa mi arrestano e tu cominci a pugnalarmi". "Al Signor Crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia", continuava Graviano. "Sa che io non parlo - aggiungeva - perché sa il mio carattere e sa le mie capacità... pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com'è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste". Il capo mafia ha parlato anche delle stragi, alludendo al fatto che dietro le bombe del '93 non ci fosse Cosa Nostra: "Poi nel '93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia. Allora il governo ha deciso di allentare il 41 bis, poi è la situazione che hanno levato pure i 450". Il riferimento è alla decisione, presa nel novembre del '93, di revocare il carcere duro per 450 boss mafiosi. I pm palermitani avevano interpretato al tempo le parole di Graviano come la dimostrazione che tra le condizioni messe da Cosa Nostra alle istituzioni per fare cessare le stragi c'era un allentamento del carcere duro. Graviano, poi, aveva ricordato il periodo al 41 bis trascorso a Pianosa: "Pure che stavi morendo dovevi uscire e c'era un cordone, tu dovevi passare nel mezzo e correre. Loro buttavano acqua e sapone".


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Il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano


"Andavano alleggerendo del tutto il 41 bis... se non succedeva più niente, non ti toccavano, nel '93 le cose migliorarono tutto di un colpo"
. Quindi rammenta la reazione dell'allora premier Ciampi, dopo le bombe di Milano nel luglio del '93: "Quella notte si sono spaventati, temevano il colpo di Stato e lui (l'allora premier Ciampi, ndr) se n'è andato subito a palazzo Chigi assieme ai suoi vertici. Loro non volevano nemmeno resistere, avevano deciso già di non resistere al colpo di Stato". Inoltre durante una serie di udienze tenutesi davanti alla corte d’Assise di Reggio Calabria tra il gennaio e il febbraio del 2020, Graviano aveva detto, rivolgendosi a Lombardo: "Se lei andrà ad indagare sull'arresto condotto nei confronti di Giuseppe e Filippo Graviano scoprirà i veri mandanti delle stragi. Scoprirà chi ha ucciso il poliziotto ucciso insieme alla moglie, Agostino. Scoprirà la verità su tante cose. Però i carabinieri devono dire la verità".
E poco dopo aveva lanciato un altro messaggio sibillino. Prima riferendosi al plurale a 'imprenditori di Milano' e poi, su richiesta specifica del pm Lombardo, al singolare: "C'era un imprenditore di Milano che aveva interesse che le stragi non si fermassero. Chi me lo ha detto? Me lo ha riferito nel carcere di Spoleto (tra il 2006 ed il 2007) un altro detenuto napoletano. Si evince dalle intercettazioni ma non mi chieda di dire il nome perché non farò nessun nome. Non mi sembra corretto e rispetto le confidenze che ho". Accuse tutte da dimostrare, che per l’avvocato Niccolò Ghedini (deceduto) erano “palesemente diffamatorie”, anche se non si è poi avuta notizia di una denuncia da parte del legale dell’ex premier. A sentire “Madre natura”, come lo chiamavano i suoi sodali, il rapporto tra la famiglia Graviano e Berlusconi sarebbe stato tenuto da suo cugino Salvatore, la cui moglie è stata perquisita oggi. “Io casco latitante - aveva detto in aula - quindi la situazione la comincia a seguire mio cugino Salvatore”. A un certo punto, però, il mafioso delle stragi avrebbe chiesto al futuro leader di Forza Italia di regolarizzare la situazione relativa agli investimenti del nonno a Milano: “Noi dobbiamo entrare scritti che facciamo parte della società. Noi vogliamo essere partecipi, però questa cosa si andava procrastinando”, aveva raccontato Graviano a Reggio Calabria, facendo intendere che la condizione “occulta” dell’investimento doveva essere poi regolarizzata. “I nomi di quei soggetti non apparivano”, ha aggiunto Giuseppe Graviano in aula, riferendosi al fatto che i presunti soci occulti dell’imprenditore di Arcore non comparissero nelle partecipazioni societarie. “Ma c’era una carta privata che io ho visto, la copia di mio nonno la ha mio cugino Salvatore Graviano”. Una frase che, più di altre, sembrava essere un vero e proprio messaggio o anche un’indicazione: il capo mafia ha sostenuto che ci fossero delle prove. Ed è stato proprio questo il motivo delle perquisizioni scattate quella mattina di ottobre.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

Foto di copertina © Imagoeconomica

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