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Per la Suprema Corte la "dissociazione" del capo mafia è solo di facciata

Niente permesso premio per Filippo Graviano, capo mafia del quartiere palermitano di Brancaccio, condannato all'ergastolo per le stragi di mafia del '92 e del '93 e per l'uccisione di don Pino Puglisi.
Nello specifico, la Prima sezione penale della Cassazione ha stabilito che “il detenuto aveva sottoscritto una dichiarazione di dissociazione, cui non aveva fatto seguito una collaborazione con gli inquirenti”, inoltre Graviano "aveva mantenuto i rapporti con i familiari, tra i quali vi erano anche soggetti pure coinvolti in logiche associative", si legge nel verdetto relativo all'udienza dello scorso 6 luglio. Gli ermellini hanno quindi ritenuto corretta l'ordinanza emessa dai giudici aquilani, con la quale il 9 febbraio 2022 era stata respinta la richiesta di permesso premio avanzata dal boss.
Ad avviso della Cassazione, "l'istituto dei permessi premio costituisce elemento del trattamento penitenziario e quindi va riconosciuto previa valutazione dell'andamento complessivo del percorso riabilitativo e, dunque, se risulta, in relazione ai progressi compiuti e alle prospettive, idoneo a contribuire al conseguimento dell'obiettivo rieducativo". Tuttavia, nel caso di Graviano, secondo i supremi giudici, il Tribunale di sorveglianza "ha dato conto della valutazione negativa compiuta, giustificandola con motivazione in questa sede non censurabile". "La considerazione dei gravissimi reati commessi è stata unita al rilievo che non ne era seguita una effettiva presa di distanza ed anzi - ha scritto la Cassazione - erano stati mantenuti i contatti con i familiari pure già coinvolti nel medesimo contesto di criminalità organizzata". "Dati che, letti alla luce della carente rivisitazione critica dei gravissimi reati commessi, non hanno consentito di valorizzare la pur regolare condotta carceraria e il percorso scolastico", conclude il verdetto.

La strategia del boss Filippo Graviano
Graviano aveva chiesto un permesso premio nel febbraio del 2021 sostenendo di essersi dissociato da Cosa nostra. Una richiesta che aveva fatto scalpore, non solo per il rango del detenuto, ma soprattutto perché rappresentava evidentemente un tassello di una complessa e organizzata strategia. Una strategia che va avanti da anni.
Ma andiamo per ordine.
La Corte Costituzionale, nell'ottobre 2019, si era espressa sull'illegittimità costituzionale dell'articolo 4 bis, comma 1, dell'Ordinamento penitenziario.
Di quella Corte faceva parte l'ex ministro della giustizia Marta Cartabia. In quel provvedimento, in nome dei diritti dell'uomo, si era sostenuto che per l'ergastolano, sia o meno mafioso, la collaborazione con la giustizia non è più una "conditio sine qua non" per ottenere eventuali benefici carcerari.
E sarebbe proprio questa la strada che lo stragista di Brancaccio aveva voluto abbracciare, tanto da chiedere al giudice di sorveglianza dell’Aquila un permesso premio. A ben vedere non sarebbe questa la prima volta che afferma ai magistrati di volersi dissociare.
Sarebbe accaduto nel 1999 e lo aveva detto ai pm di Firenze di allora, Alessandro Crini e Giuseppe Nicolosi.
Certo è che quella della "dissociazione" è una strada che anche altri capomafia, in passato, avrebbero voluto adottare per cercare di uscire dal carcere e, speriamo di no, tornare poi all'attacco.

La difesa dei legali di Graviano
La difesa ha fatto ricorso in Cassazione denunciando la violazione dell'art. 30ter dell'ordinamento penitenziario che regola la concessione dei permessi premio. "Il detenuto - ha sostenuto il difensore - aveva reso dichiarazione incondizionata di dissociazione ed aveva accettato il confronto con il pentito Spatuzza, che ne aveva riconosciuto l'estraneità a fatti di sangue; non era stato coinvolto in una recente indagine avente ad oggetto il mandamento mafioso di Brancaccio, già di riferimento" del Graviano. Inoltre, "la condotta in carcere era sempre stata regolare, tanto che era stata riconosciuta la liberazione anticipata, e di partecipazione al trattamento, come desumibile dal percorso scolastico giunto sino al conseguimento, con il massimo dei voti, della laurea magistrale" e poi "la sottoposizione al regime differenziato non è incompatibile con l'ammissione all'esperienza premiale".

Foto © Imagoeconomica

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