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Presentato a Palermo il libro “Chi ha ucciso Pio La Torre?”. Ospiti gli autori Mondani e Sorrentino, l’ex pg di Palermo, Terranova, Chinnici e Laudani

Pio La Torre è il primo a capire le connessioni tra la mafia e la destra eversiva, con i circoli massonici e con i servizi americani. Vede il sistema criminale integrato. E proprio per questa sua lucidità di analisi, che si traduce in una coerente azione politica, viene eliminato, come vengono eliminati tutti quelli che vedono e capiscono come funziona il sistema criminale. La Torre aveva capito che la mafia era integrata in un blocco di forze eversive, neofasciste, massoneria e amministrazione americana, che dietro le quinte conduceva ciò che anche Falcone – non a caso - definì ‘il gioco grande del potere’”. Così Roberto Scarpinato, senatore della Repubblica (M5Stelle) nonché ex procuratore generale di Palermo, intervenuto ieri sera alla presentazione del libro “Chi ha ucciso Pio La Torre? Omicidio di mafia o politico?” di Paolo Mondani e Armando Sorrentino (ed. Castelvecchi). Un convegno lungo e appassionato in cui, assieme agli autori, e all’ex magistrato, sono intervenuti anche Ottavio Terranova, coordinatore provinciale ANPI Sicilia, già Vicepresidente nazionale ANPI; Valentina Chinnici, deputata regionale del Parlamento siciliano; Adriana Laudani, presidente di “Memoria e Futuro” (nonché storica amica e compagna di lotta di Pio La Torre). Il tutto con la moderazione di Aaron Pettinari, Caporedattore di ANTIMAFIADuemila. Presente fra il pubblico anche Tiziana Di Salvo, figlia di Rosario, politico e dirigente del Partito Comunista italiano, ucciso da Cosa nostra il 30 aprile 1980 assieme al compagno di partito Pio La Torre mentre accompagnava quest’ultimo in auto presso la sede del Pci.


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La Di Salvo si è detta “convinta che il sacrificio di mio padre è stato importante, giustificato da una causa veramente importante. Purtroppo, la situazione negli ultimi 40 anni non mi pare molto migliorata. Siamo in un clima di guerra che non si vedeva da decenni in Europa e nel mondo. Spero che ricordare queste figure ci faccia ricordare l’importanza della pace, della legalità e del rispetto”. Scarpinato ha definito quest’ultimo come “un uomo consapevole”, sottolineando come questa consapevolezza lo abbia sempre accompagnato nelle mobilitazioni politiche “contro l’installazione dei missili Cruise a Comiso – ad esempio -, intralciando gli interessi strategici americani in quella zona, che insieme ai servizi segreti italiani (che installano Gladio in Sicilia con la base a Trapani), avevano eletto la Sicilia come luogo in cui si sarebbe verificata una perfetta saldatura di interessi tra mafia, servizi segreti italiani e americani”. La Torre, dunque, rappresentò un ostacolo per quelle operazioni svolte dai servizi segreti che necessitano di assoluta segretezza. “La mafia la garantisce e fa anche il lavoro sporco. Come la strage di Pizzolungo, per colpire Carlo Palermo, il primo ad aver fatto indagini sul traffico di armi – ha continuato l’ex magistrato -. Quindi comincia nella zona di Trapani il traffico internazionale di armi condotto dai servizi per eludere le convenzioni internazionali che impedivano di vendere armi in certi Paesi, con l’appoggio e il coinvolgimento della mafia. E questo credo sia la chiave di lettura dell’imprendibilità di Matteo Messina Denaro”.


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La figlia di Rosario Di Salvo, Tiziana


Pio La Torre: un uomo consapevole
La stella polare di questo libro è il tentativo - ben riuscito - di fornire al lettore un quadro di lettura olistico del delitto La Torre, con uno sguardo rivolto all’attualità. Ma è anche un’opera storica che ricostruisce la vita personale del sindacalista, del politico e del Partito. Pio La Torre aveva un orizzonte conoscitivo relegato non solo alla Sicilia e all’Italia, “lui guardava anche agli equilibri geopolitici mondiali - come ha sottolineato Scarpinato -: il ruolo degli Stati Uniti nel Mediterraneo, i continui rapporti non solo con Chinnici e dalla Chiesa, ma anche rapporti segreti con uomini dell’amministrazione di fedeltà democratica che gli fornivano informazioni preziose”.
Aveva una lucidità di visione che superava quella che avevano i vertici del partito comunista italiano – ha continuato -, perché la Sicilia era diventata il laboratorio politico di avanguardia degli equilibri nazionali e internazionali. Una prospettiva che consente di comprendere il grande spessore culturale e politico di La Torre e che va molto al di là della narrativa ufficiale”. Il libro di Mondani e Sorrentino è un’opera di ricostruzione dell’iter politico di La Torre nel partito e delle sue battaglie “contro lo strapotere delle famiglie dei grandi esattori, contro i grandi gruppi imprenditoriali e il suo doloroso scoprire nel tempo del coinvolgimento di componenti del suo stesso partito e scambi sottobanco con gli stessi gruppi che lui combatteva. Quindi il suo progressivo isolamento”, ha commentato Scarpinato. Dopo il suo omicidio, “le sue componenti, non dovendosi più confrontare con questa figura scomoda, rompono tutti gli argini e fanno sì che il Pci diventi un componente organico del sistema spartitorio degli appalti, di cui facevano parte Lima e gli altri referenti del sistema del potere mafioso. Una lenta e progressiva integrazione e normalizzazione del Pci nel sistema di potere del tempo, che subisce un ulteriore accelerazione dopo la morte di Enrico Berlinguer”. Un cammino inesorabile che crolla definitivamente con la caduta del Muro di Berlino quando “il partito, ormai nelle mani delle correnti, le quali portano a compimento il processo di mutazione genetica, diviene il partito di riferimento dell’establishment, di cui adotta il codice culturale neoliberista, che si traduce nella sequenza di leggi che anno dopo anno hanno smantellato i diritti dei lavoratori, precarizzato il lavoro”. “Grazie a questo libro – aggiunge il Senatore - è possibile comprendere quanto venga da lontano e quali siano le radici dello smarrimento dell’identità culturale della sinistra del nostro Paese”.


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L'ex magistrato e Senatore della Repubblica, Roberto Scarpinato


Non un omicidio qualunque
Il senatore Scarpinato, nella sua lunga relazione, ha poi fornito al pubblico presente in sala un quadro di lettura delle pedine che si sono mosse al fine di uccidere Pio La Torre. L’ex procuratore generale di Palermo ha fatto riferimento ad un “sistema criminale integrato”, ovvero un insieme di soggetti appartenenti ad ambienti diversi che, mossi da un intento criminale comune, commettono delitti, stragi e reati destabilizzando gli asset politici e l’andamento democratico della Repubblica. Più precisamente, ha affermato che: “L’omicidio La Torre, così come altri omicidi - ad esempio Mattarella, dalla Chiesa e Reina -, non sono riducibili a omicidi di mafia, ascrivibili cioè a responsabilità esclusiva dei soliti sporchi, brutti e cattivi come Totò Riina ed a interessi interni alla mafia. Sono omicidi politici eseguiti dalla mafia per conto terzi. E sono soprattutto episodi di una lunga guerra sporca. Una lotta politica condotta sin dagli albori della Repubblica dalle componenti più reazionarie del Paese che non hanno mai accettato il nuovo patto sociale sancito dalla Costituzione del ’48 e che si sono alleate tra loro per sabotare l’attuazione della Costituzione o per stravolgerla per creare una repubblica presidenziale in chiave autoritaria e che a tal fine hanno messo in campo tutti gli strumenti, compresi gli omicidi e le stragi di Stato, per falsare il libero gioco democratico del Paese e per impedire una evoluzione a sinistra. Componenti reazionarie che hanno agito come un unico pool, un unico sistema criminale integrato”. In primo luogo, ci sono “i reduci del fascismo e della Repubblica sociale italiana che non hanno mai accettato il nuovo ordine repubblicano e che hanno subito la Costituzione come un’imposizione e che si sono in parte riciclati nei gangli strategici del nuovo Stato repubblicano: apparati di polizia, forze armate e servizi segreti – ha specificato Scarpinato -. Il tutto dando vita a nuove formazioni politiche neofasciste tra cui Ordine Nuovo, fondato da Pino Rauti (figura di riferimento di Fratelli d’Italia), Avanguardia Nazionale e Ordine Nero. Fucine di formazione e reclutamento di tanti soggetti che, come è stato accertato con sentenze definitive, hanno eseguito stragi e hanno progettato colpi di Stato”. Il secondo soggetto del sistema criminale integrato “sono i circoli massonici di cui la P2 è un paradigma nonché l’esempio più noto – ha aggiunto -, divenute cabine di regia politica dei vertici della classe dirigente industriale, di politici e grandi latifondisti, ostili a qualsiasi evoluzione democratica del Paese e soprattutto a qualsiasi apertura a sinistra del Paese”.


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Il terzo soggetto, infine, “è la borghesia mafiosa asse portante del sistema mafioso da sempre uno dei poteri forti del Paese”. Un pool di forze reazionario, dunque, che “ha operato lungo tutto il periodo della Guerra Fredda con l’occulto sostegno esterno dell’amministrazione dei servizi segreti degli Stati Uniti d’America, come dimostrano gli ultimi sviluppi della strage di Brescia che hanno dato un nome e un cognome agli esponenti dei servizi militari e civili statunitensi che c’erano dietro quella strage. Hanno avuto questo occulto sostegno in quanto ritenuti argine e un anticorpo contro l’avvento delle sinistre al potere – ha continuato -. A loro volta queste forze reazionarie e nazionali hanno utilizzato l’alibi dell’anticomunismo come giustificazione e copertura finalizzate in realtà solo a garantire i loro interessi economici. Questi sono gli attori in campo: componenti di un sistema criminale integrato che hanno operato sin dagli albori della nostra Repubblica e lo hanno fatto sul versante siciliano e su quello nazionale”.

Falcone aveva capito
Una parte di questo libro è dedicata a Giovanni Falcone, che da magistrato – in modo particolare dopo il fallito attentato all’Addaura – aveva iniziato a parlare di “menti raffinatissime” alludendo a ibridi connubi nei quali convergevano interessi di mafia e di entità esterne all’organizzazione criminale. “Vede il sistema criminale integrato – ha detto Scarpinato -. Capisce che sono tutti insieme. Capisce che l’omicidio Matterella non è un omicidio di mafia: incrimina e manda a giudizio, come responsabili dell’omicidio, Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, neofascisti, individuandoli come killer al servizio della P2. Capisce che l’omicidio La Torre non è solo un omicidio di mafia e imbocca la pista nera. Si fissa con le indagini su Gladio e da quel momento inizia la seconda fase di vita di Falcone. Nella prima si era inimicato la mafia e i riciclatori, nella seconda fase entrano in campo le ‘menti raffinatissime’: iniziano gli esposti del Corvo, l’attentato all’Addaura e lui capisce di doversi misurare con un potere che è molto più grande di quello della mafia”. “Lui capisce la inestricabile connessione che c’è tra storia politica e storia criminale del nostro Paese e tenta di fare le indagini. Sono stato personalmente presente allo scontro durissimo che avvenne nella stanza di Pietro Giammanco - ha aggiunto -, perché lui non voleva consentire a Falcone di fare queste indagini, perché non gli si voleva consentire di fare queste indagini. Io raccontai cosa c’era alla base dello scontro tra Falcone e Giammanco: le indagini sui delitti politici. Tanto che i diari di Falcone lo testimoniano. Lui continua segretamente a fare le indagini. Nell’ultimo incontro che abbiamo a Roma, quando lui è sicuro che sarà nominato Procuratore nazionale antimafia, mi dice: ‘Finalmente potremo riprendere le indagini che tu sai’ ed erano le indagini sui delitti politici”.


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Riponendo l’attenzione sul sistema criminale integrato, Scarpinato ha poi detto che è proprio quest’ultimo ad aver realizzato le stragi del ’92 e del ’93, “perché questo sistema, che durante tutta la prima Repubblica era stato garantito, quando crolla il Muro di Berlino e gli Stati Uniti spostano gli interessi in altre parti del mondo, si trova scoperto. Con il pericolo che quella ‘gioiosa macchina da guerra’, cioè alleanza tra partito comunista e socialista prenda il potere e che vadano al potere personaggi come Violante di allora, Falcone, Borsellino ed altri. E che quindi si riaprano armadi e segreti del passato. Massoni, servizi segreti deviati che avevano fatto stragi e omicidi eccellenti sono tutti con l’acqua alla gola”. Con quelle sinistre al potere “sarebbe avvenuto un regolamento dei conti – ha aggiunto -. Quindi si mettono insieme e avviene la strategia stragista pianificata nel 1991 da questo pool integrato. La mafia fa le stragi nei tempi e nei modi indicati dai livelli superiori, in modo che possa destabilizzare. Falcone non doveva essere ucciso a Roma, come aveva deciso Riina, ma doveva essere ucciso a Palermo, con queste modalità e in prossimità delle elezioni del Presidente della Repubblica, così da diventare un evento destabilizzante. Questo progetto viene stabilito con grande lucidità: si comincia in Sicilia, in modo da mettere la firma della mafia sulle stragi e poi arrivano al nord, per creare l’effetto destabilizzante, l’effetto terrore che stabilizza il Paese. Non è un caso che tutte le principali stragi del nord vengono attuate dopo che si forma il governo Ciampi, il quale sancisce per la prima volta l’ingresso dei comunisti nel governo. Il linguaggio delle bombe serve a pilotare la transizione politica e ci riesce benissimo, perché questa transizione arriva al Governo Berlusconi”.

Scarpinato: “Stiamo attraversando una fase difficile per la nostra democrazia”
Da neosenatore della Repubblica appena insediatosi a Palazzo Madama, Roberto Scarpinato non ha eluso dal suo discorso un importante parentesi riferita all’attualità e, in modo particolare, alla Politica che recentemente ha visto l’insediamento del nuovo governo di centrodestra presieduto da Giorgia Meloni. “Oggi abbiamo un altro pezzo di storia che vede insieme un partito come Forza Italia, il cui vertice ha avuto rapporti pluriennali con i mafiosi, processualmente accertati e che ha avuto tra i suoi soci fondatori Marcello Dell’Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, che tutt’oggi ha un potere di condizionamento delle strategie politiche siciliane - ha detto il senatore -. FI è alleato con un altro partito, Fratelli d’Italia, che rivendica l’identità ideologica con il neofascismo. Quando io ho chiesto alla Meloni: ‘Ma mi spiega lei come coniuga il giuramento di fedeltà alla Costituzione con il fatto che nel vostro pantheon di riferimento c’è Pino Rauti, fondatore di Ordine Nuovo e uno degli strateghi della strategia della tensione? Mi spiega come definite Maletti un uomo di Stato?’ Lei non mi ha risposto. Se si eleggono come figure di riferimento onorarie questi soggetti, protagonisti del neofascismo, è chiaro che c’è una continuità ideologica, assolutamente conseguente ad altre iniziative: ad esempio, la proposta di abolire la legge Mancino, che punisce con la reclusione chi incita a ricostruire il partito fascista e la definizione reato di tortura come un‘infamia’ che impedisce alle forze di polizia di lavorare. E quindi ci troviamo dopo tanto tempo in una fase difficile della nostra democrazia”. “In quel silenzio al Senato non mi ha inquietato la reazione della destra, bensì il silenzio della sinistra. Non si può pensare che sia chiusa quella stagione fino a quando non sapremo chi sono stati i mandanti delle stragi. E non si può pensare che ci sia stata una riconciliazione perché Ignazio La Russa ha portato i fiori a Liliana Segre – ha aggiunto –. Dopo aver sollevato un problema così grave speravo che gli intellettuali italiani cominciassero a parlarne. E invece no e la cosa mi angoscia. Noi siamo una democrazia incompiuta che vive di rimozione e che si avvia velocemente verso una Repubblica presidenziale, che chiaramente diventa il coronamento del sogno che ha sempre animato le forze più conservatrici di questo Paese e che crea veramente un grosso pericolo. Perché in un Paese fragile come questo, con un conflitto di interessi enorme, dove c’è un vertice politico, Berlusconi, proprietario di media televisivi, dove tutti i media sono in mano ai più grandi gruppi editoriali, cosa ci vuole ad organizzare una campagna di stampa che porta alla presidenza della Repubblica il tuo candidato?”.


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Il giornalista e autore, Paolo Mondani


Si tratta di “una strategia di concentrazione del potere che sostanzialmente vuole dare una veste istituzionale ad un processo di oligarchizzazione che già è in campo da tanto tempo – ha continuato -. Allo stesso tempo si demolisce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, con una serie di norme che l’hanno progressivamente soppressa. Con un ministro della giustizia Nordio, il cui modello è quello per cui i pubblici ministeri non devono iniziare le indagini. Le indagini le deve fare la polizia che dipende dal Governo. Se avessimo avuto la magistratura come la immagina il neoministro della giustizia, non avremmo mai avuto Falcone e Borsellino. Perché la nascita della nuova antimafia si ha quando Falcone e Borsellino inaugurano una stagione, dove invece di aspettare i rapporti delle forze di polizia, prendono la direzione delle indagini, danno l’impulso e per questo vengono chiamati ‘giudici sceriffi’. Stiamo tornando indietro in modo preoccupante. E la cosa che più mi preoccupa è che l’avvento del fascismo non avvenne grazie alla violenza dei fascisti, ma avvenne grazie alla debolezza di quella parte della società italiana che avrebbe potuto impedire l’avvento del fascismo e stette a guardare. Quello che mi preoccupa oggi è la mancanza di reattività del più importante partito della sinistra. Voi potete capire benissimo quanto io mi sia sentito solo e sgomento nel fatto che non solo non venivo applaudito, ma che non c’è stato e non c’è nessun seguito a quello che ho detto. Io questo lo trovo incredibile e lo trovo un segno del gravissimo stato in cui è precipitata la nostra democrazia”.

Adriana Laudani: “Pio La Torre non banalizzò mai il fenomeno mafioso”
Ciò che Pio La Torre aveva capito è che quel coacervo di interessi che costituiva il sistema di potere politico, affaristico e mafioso trovava nella scelta dei missili a Comiso un punto fondamentale di coagulo: interessi di grandi centrali nazionali ed internazionali, di pezzi dei servizi segreti nazionali ed internazionali, di logge massoniche e aggregazioni, congreghe illegali di ogni tipo e naturalmente la mafia militante. Questo coacervo di forze e di interessi trovavano nella scelta della base missilistica a Comiso un punto di ricaduta molto forte, che avrebbe perpetuato per la Sicilia e per l’Italia ciò che non è finito ancora oggi: la condizione di una democrazia fragile, immatura, continuamente instabile. Una democrazia in qualche modo sotto ricatto”. Così Adriana Laudani, presidente di “Memoria e Futuro” e compagna di battaglie di La Torre.


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La presidentessa di "Memoria e Futuro", Adriana Laudani


Tra i ragionamenti che Pio faceva in quei mesi per aggregare quell’arco di forze così vasto, tra le ragioni che lui rivendicava, lui diceva “avremo o non avremo diritto di autodeterminare il nostro futuro”. La presenza della mafia accanto a questa scelta di installare i missili a Comiso, sono la più grande ipoteca al diritto del popolo siciliano e italiano ad autodeterminarsi. Saremo sudditi per sempre e altri sceglieranno per noi – ha aggiunto -. Pio La Torre non banalizzò mai il fenomeno mafioso e questo gli costò la vita. Come tutti quelli che in quegli anni sono morti accanto a me. Penso a Chinnici, a dalla Chiesa. Chiunque di loro attingesse a questa consapevolezza di ciò che la mafia era e rappresentava, di questo sistema di potere, che usava il terrorismo, cioè l’intimidazione per cambiare e determinare la politica. Chiunque in quegli anni abbia attinto a questo livello della conoscenza e della consapevolezza e abbia avuto il coraggio non soltanto di dirla, ma anche di contrastarla, è stato ucciso, perché era questa verità che non poteva essere scoperta né rivelata, e che non poteva essere agita politicamente. Pio La Torre voleva contrastarla con un grande movimento di massa che vedeva un milione di persone firmare una petizione contro l’installazione dei missili a Comiso, le piazze destinate all’abbandono riempite di donne, uomini, appartenenti a ceti e culture diverse, per combattere per un grande cambiamento”. “Noi società civile, da questo momento, ci dobbiamo assumere il potere e la responsabilità alla luce di ciò che sappiamo, di ricostruire la verità storica di ciò che è accaduto: a partire da Portella della Ginestra. Dobbiamo ritirare la delega che sbagliando abbiamo conferito alla magistratura, alla quale abbiamo voluto affidargli il monopolio dell’accertamento della verità. La verità processuale è essenziale, fondamentale, ma è sempre un pezzetto della verità e non sempre la magistratura è nelle condizioni di portare le proprie indagini fino alla fine – ha proseguito la Laudani -. Noi abbiamo il dovere della ricostruzione della verità storica di ciò che è accaduto nel processo di formazione della democrazia in Italia. Dobbiamo prendercela questa responsabilità nel tentativo di ricostruire la verità dei fatti accaduti, di nominare e raccontare ciò che è accaduto in questi anni. Ci avvaliamo anche dei pezzi di verità che la magistratura, con tanta fatica, è riuscita a raggiungere, ma laddove la magistratura non è arrivata, noi non ci possiamo fermare. Altrimenti noi il diritto ad una democrazia autenticamente autonoma lo perdiamo”.


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La neo deputata siciliana, Valentina Chinnici


E, commentando il libro, ha aggiunto: “Quest’opera segue il metodo di La Torre. Lui non aveva mai paura di guardare la realtà che aveva davanti e ne coglieva le contraddizioni essenziali. Nel momento in cui acquisiva i punti di conflitto e ne comprendeva le profonde ragioni. Era in grado di leggere, non solo ciò che aveva davanti, ma sulla base di quella lettura progettare un’azione per contrastarla. Il libro è una perfezione nella capacità di connettere i fatti per poi dare alla fine una lettura di come sono andate le cose e consegnare a tutti noi quel pezzetto di verità storica, fin qui acquisita, che può motivare l’azione politica e democratica di ciascuno di noi e di noi tutti quanti insieme. In un momento di crisi così grave della sinistra io credo che questo metodo e questo merito, che sono quelli di Pio La Torre, siano un grande regalo di cui non possiamo fare a meno”.

Valentina Chinnici: “L’azione di Pio La Torre è stato di ricollegamento di sintonia della masse”
Parole di apprezzamento per il lavoro svolto con questo libro scritto a quattro mani da Mondani e Sorrentino, l’on. Chinnici ha evidenziato come “in un epoca contrassegnata da passioni tristi, in cui la disaffezione alla politica è diventata quasi una patologia della nostra democrazia, ritrovare una figura come quella di Pio La Torre e ritrovare le caratteristiche che facevano di lui un grande leader in quanto costruttore che voleva una classe dirigente giovane e forte, una comunità in lotta, un partito di massa e di lotta. Berlinguer disse nel funerale che Pio La Torre dava prova di iniziativa, di inventiva, di tempestività, di senso pratico, e rilanciava i pilastri del partito in Sicilia”.  La Chinnici ha poi fatto riferimento al capitolo “Un partito allo sbando”, in cui gli autori raccontano il ritorno in Sicilia di Pio La Torre quando il Pci subì un calo regionale, registrando una tendenza negativa rispetto a quella di altre regioni. “Ci tengo a sottolineare che il partito che ha trovato La Torre ha perduto consensi, demotivato, poco in linea con la società, che ha visto offuscarsi solidarietà, fratellanza e spirito di sacrificio, da sempre caratteristiche forti della militanza – ha detto -. L’azione di Pio La Torre è stata di ricollegamento di sintonia dalle masse. E il tema della pace in questo non è stato un escamotage ma una specie di fissazione, di stella polare. Colpisce la solitudine e la sufficienza con cui la sua concentrazione sulla mafia e sulla pace gli vengono rimproverate da destra e sinistra. Questo libro ha una valenza importantissima perché cerca di unire con un filo rosso tutto ciò che è avvenuto tra la fine degli anni ’70 e ’80 dall’omicidio Moro, a Terranova, a Mattarella, alla strage di Ustica, l’omicidio di Pio La Torre e dalla Chiesa”. “Come scrisse Pio La Torre in una lettera a Bufalini – ha concluso l’onorevole -: ‘da quello che sapremo fare in queste settimane dipenderà il destino a lungo tempo per la nostra isola’. ‘Dobbiamo studiare di più e meglio i problemi della nostra ideologia e quelle in particolare delle nostre lotte e della nostra organizzazione. Lavorare con più slancio e maggiore spirito di sacrificio. Lanciarci con più coraggio nelle lotte e avere più fiducia nelle nostre masse popolari e nella loro volontà di lottare e organizzarsi’. Lo studio, lo slancio, il sacrificio, il coraggio e la fiducia nelle masse popolari. Credo che questo sia un insegnamento importantissimo che rende più che attuale il messaggio di Pio La Torre”.


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Il caporedattore di ANTIMAFIADuemila, Aaron Pettinari


Un’opera di ricostruzione storica e di ricerca di verità
In conclusione, è stata poi la volta degli autori del libro che hanno voluto raccontare, in modo particolare l’avv. Armando Sorrentino, le emozioni nel realizzare questa seconda edizione ma anche l’amarezza nel ripercorrere la vita di un uomo combattivo e di una politica dalla “schiena dritta” e confrontarsi con l’attualità e lo svilimento dei partiti, ormai meri loghi che propagano slogan sui social e nulla più. “Sono amareggiato pensando all’oggi – ha detto Sorrentino -. La Torre diceva: ‘Sono qui a ricostruire una politica, a cercare disperatamente l’unità, sono qui perché la politica cambi parametri e ci stiamo riuscendo a creare l’unità di varie forze politiche in vista di un obiettivo’. All’epoca l’obiettivo era la pace e l’impedimento dell’istallazione della base missilistica a Comiso. Sono amareggiato perché in questi ultimi mesi la politica non è stata capace di unire le forze in vista di un obiettivo importante e impedire che la destra, questa destra, salisse al potere”. “Il potere si difende – ha continuato - ed ha impedito, impedisce e impedirà che si possa raggiungere e scavare finalmente in quelli che io non chiamo ‘misteri’ perché sono solo ‘segreti’. Non c’è niente di misterioso in ciò che è accaduto in questo Paese. Si tratta solo di fatti occultati dal segreto, non solo di Stato. Segreti che fanno una chiusura ermetica del tanfo della Repubblica che sin dal primo momento è stata attentata”. Altro tema trattato da Sorrentino è la pace, in riferimento all’attuale conflitto in Ucraina. “Oggi il tema pace è un tema tragicamente dirimente – ha detto -. La Torre si spende nell’ultimo anno della sua vita sul tema della pace. E noi siamo convinti che sul tema della pace è stato ucciso. E con la sua visione unificante in vista dello smantellamento dei missili a Comiso, o della non installazione, chiede di andare a Ginevra con una richiesta di disarmo totale, mondiale. Una visione che unisce le sue energie intellettuali e morali con quelle di Mattarella. Era un rapporto utopico e visionario, ma realistico di voltare pagina della Sicilia e non solo se pensiamo che Mattarella era l’allievo diretto di Moro e sarebbe diventato Vicesegretario o Segretario Dc. Chi interrompe questa alleanza interrompe anche questo rapporto con il sangue e la possibilità di percorre questa strada”.


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L'avvocato e autore del libro, Armando Sorrentino


Ma superando questo aspetto di amara riflessione – ha concluso -, riteniamo che se avessimo sempre una sala gremita di persone come questa allora la speranza di riprenderci senza fare passi indietro, o laterali, può esserci”. Mondani, condividendo la relazione del senatore Roberto Scarpinato, si è limitato a fargli una segnalazione. “Chi è vecchio come me sa chi è Guido Zappavigna – ha detto il giornalista -: vecchio esponente della destra eversiva romana che ha fatto da punto di riferimento nella raccolta di fondi per sostenere le spese legali di Gilberto Cavallini nel processo di primo grado di Bologna (in cui lui è identificato come quarto uomo della strage) insieme a un folto gruppo di soggetti che crebbero politicamente nella fondazione del MSI di via Siena a Roma - cioè l’ala militare dei Nar - tra cui Fioravanti, Francesca Mambro, Massimo Carminati, Stefano Tiraboschi, Dario Benedetti e tanti altri. È interessante sapere che tra questi finanziatori compare anche il nome di Claudio Barbaro: candidato di Fratelli d’Italia inaspettatamente non rieletto in questa sessione perché l’ha vinta l’esponente locale del Movimento 5 stelle. È curiosa questa cosa alla luce del fatto che il fascismo è una cosa vecchia e che la Meloni si è detta ‘a-fascista’. Sarebbe interessante capire come la Meloni concepisce il suo essere profondamente ‘a-fascista’ o comunque non legata a quel regime e quindi come giustifica una cosa di questo tipo”.

Foto © Deb Photo

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