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Nelle parole di Leonardo Guarnotta, dopo 30 anni, resta la responsabilità di continuare e di ricostruire, per far si che nessun sacrificio sia stato vano

Due giorni fa a Palermo è stato presentato un nuovo libro dedicato a Francesca Morvillo, dove erano presenti anche il fratello e magistrato Alfredo Morvillo e l’ex magistrato e membro del pool antimafia di Palermo Leonardo Guarnotta. Un evento umile, semplice, ma carico di emozioni. Perché diversamente dal messaggio che spesso viene trasmesso, ricordare una persona significa permettere alla sua storia di riprendere vita: attraverso gli occhi di chi c’era e ha scolpito nel proprio sguardo immagini indelebili che non potranno mai essere dimenticate. C’erano tantissime persone, radunate ad ogni angolo della strada, affascinate e catturate dai racconti sulla vita di questa donna, spesso ricordata, purtroppo, esclusivamente come “la moglie del dottore Falcone”.
Lei era Francesca Morvillo. La prima ed unica donna magistrata martire di mafia. Solo chi l’ha conosciuta è in grado di parlare del suo coraggio, del suo equilibrio, della sua forza e determinazione. Un esempio, un punto di riferimento, una guida per le sue colleghe e per le giovani donne che in quegli anni sceglievano di entrare in magistratura. Per le studentesse che oggi decidono di percorrere i suoi stessi passi. La bellezza del lavoro portato avanti dalla dottoressa Morvillo si esprimeva non solo all’interno del Tribunale dei minori di Palermo, ma anche nel volontariato, nelle strade e nei quartieri della città, dove tantissimi giovani erano costretti a sopravvivere in pessime condizioni sociali e di povertà, spesso coinvolti nello spaccio di droga e affiliati nella mafia.


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L'ex magistrato del pool antimafia di Palermo, Leonardo Guarnotta, e Alfredo Morvillo, ex magistrato e fratello di Francesca


Aveva anche insegnato in un doposcuola del quartiere di Borgo Vecchio e per questo comprendeva bene quelle dinamiche. Quella esperienza, ma soprattutto la sua profonda umanità e visione a 360 gradi delle cose, l’avevano aiutata a trasformare il paradigma e il punto di osservazione rispetto alla criminalità di strada, soprattutto quella giovanile. Perché un minorenne che delinque non può essere chiamato “mafioso”: è un ragazzo che si è trovato a commettere un reato e che proprio perché lasciato solo dallo Stato, senza reali ed effettive possibilità di emancipazione da quella realtà, ogni volta che torna in libertà viene fagocitato di nuovo dai quartieri e dagli ambienti mafiosi. Francesca Morvillo si era resa conto, infine, che non bastavano poliziotti e magistrati per combattere la mafia, ma serviva molto di più. Un impegno condiviso da ogni settore istituzionale, educativo e sociale.
Attraverso alcuni ricordi personali, Guarnotta ha raccontato come c’era anche la dottoressa a studiare le centinaia di fascicoli, di documenti e di sentenze che avrebbero costituito il primo Maxi Processo alla mafia della storia italiana e mondiale. Una “montagna” di carte, necessaria per emettere il mandato di cattura nei confronti di circa 360 soggetti. Anche se non era suo compito, lei con un grande spirito di servizio sostenne e aiutò in quell’impresa i magistrati del Pool, Falcone, Borsellino, Di Lello e lo stesso Guarnotta.
Testimonianze sacre. Momenti di ascolto in cui recepire ogni parola diventa l’unica cosa importante: le lancette dell’orologio si fermano e non esiste più il chiasso della strada, i discorsi della gente, i clacson delle macchine o il rumore dei motorini. Perché se da una parte si può sentire un vuoto e un senso profondo di nostalgia per chi non c’è più, è vero anche che c’è un filo che ci lega a quegli anni attraverso chi ha vissuto direttamente insieme ai nostri martiri. È il motivo per cui è importante fermarsi: per incidere in modo indelebile ogni ricordo, per conservare la memoria ed essere poi in grado di trasmetterla. È il motore che viene dato a chi non era ancora nato in quegli anni.


maggio a palerrmo

Basta un semplice “mi raccomando, adesso tocca a voi, non potete fallire”, detto con forza ed emozione, per far crescere la voglia di lottare grazie alla responsabilità che ci viene lasciata. Si fortifica il sentimento di rispetto, di onore e di servizio incondizionato per chi ha scritto, dato vita e fatto camminare ogni articolo della nostra Costituzione. Per il lavoro del magistrato. Per chi ha creduto in un’ideale, dimostrandoci come questo si possa trasformare in realtà ogni volta che noi lo vogliamo. Un’ideale per cui è possibile combattere quotidianamente e per cui, se ci siamo tutti, non è necessario per forza dare la propria vita. Se tanti uomini e donne fisicamente non ci sono più, non significa che non possiamo sentirli vivi al nostro fianco, soprattutto attraverso chi ci crede ancora e lotta perché quel sacrificio non sia andato invano. Ognuno di noi può continuare a far sopravvivere quella idea di Stato, di comunità, di giustizia che è inarrestabile e oltrepassa anni, decenni, secoli, continuando a trascinare e ad ispirare intere generazioni.
Grazie dottore Morvillo e grazie dottore Guarnotta. A voi e a tutto il pool Antimafia di Palermo. Per ciò che ci avete lasciato e che oggi abbiamo il dovere di ricostruire.

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