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Lo stadio Olimpico, gli attentati ai carabinieri e quella via per un nuovo progetto politico

Scorrendo le tremila pagine delle motivazioni della sentenza d'appello sulla trattativa Stato-mafia non sono pochi i riferimenti alla criminalità organizzata calabrese.

Ovviamente non poteva mancare la riflessione sul collegamento tra il fallito attentato allo Stadio Olimpico e gli attentati ai carabinieri in cui persero la vita gli appuntati Antonino Fava e Vincenzo Garofalo.

Sullo stadio Olimpico i giudici di Palermo scrivono che “molto resta da chiarire sulla genesi di quel progetto criminale e le sue reali finalità, che sono state finora forse troppo sbrigativamente saldate in un unico disegno criminoso alle stragi progettate ed attuate nel corso del 1993, nel solco della ricostruzione operata nei processi di Firenze. Ma non è azzardato affermare - come chiosa la sentenza impugnata - che, per le sue proporzioni (sarebbe stata una strage senza precedenti per numero di vittime) e gli effetti dirompenti che potevano seguirne, tanto più in una situazione di particolare debolezza delle istituzioni con un Governo dimissionario e un’infuocata campagna elettorale in vista, agitata e avvelenata dalle 'scorie' di Tangentopoli, sarebbe stato un evento capace di cambiare il corso della storia del nostro Paese”.

I giudici, ripercorrendo le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza, mettono in evidenza come l'obbiettivo dell'attentato (allo stadio Olimpico ndr) fosse proprio e specificatamente i Carabinieri. L'intento era quello di dare il 'colpo di grazia' allo Stato con lo scopo ultimo di convincere chi di dovere a riprendere la trattativa interrottasi" anche “per far ottenere benefici soprattutto ai mafiosi detenuti in carcere”.

Tale progetto, dunque, “doveva essere una sorta di spallata decisiva ad un sistema sull’orlo del collasso, il colpo di grazia di cui parlava Graviano. Se è vero poi che questo progetto per essere portato a compimento richiedeva di rinsaldare l’alleanza con le altre organizzazioni criminali di stampo mafioso, e in particolare con la ‘Ndrangheta calabrese, e doveva attuarsi una serie coordinata di eclatanti azioni dirette a colpire bersagli-simbolo dell’autorità dello Stato, secondo un progetto di destabilizzazione delle istituzioni per favorire nuovi assetti di potere, ben si comprende come un disegno strategico di tale portata non poteva essere condizionato dal mantenimento o dal rinnovo o dalla mancata proroga di alcune centinaia di decreti applicativi del 41 bis (che peraltro non interessavano tutti e soltanto detenuti mafiosi) pur essendo i vertici dell’organizzazione mafiosa certamente informati e interessati a ciò che accadeva nel mondo delle carceri”.

Con l'attentato all'Olimpico e con gli attentati ai carabinieri in Calabria l'intento, dunque, non era affatto quello di una vendetta nei confronti dei Carabinieri per aver arrestato Totò Riina.


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L'ingresso di Totò Riina nell'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo © Shobha


"Ad escludere quella finalità - scrive sempre la Corte d'assise d'appello - basta il collegamento operato da Giuseppe Graviano, sempre secondo il racconto di Spatuzza, in occasione dell'incontro al bar Doney pochi giorni prima del fallito attentato all'Olimpico (progettato per il 23.01.1994), nonché qualche giorno dopo l'uccisione, in Calabria, il 18.01.1994, dei Carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, a dimostrazione del fatto che anche i calabresi si stavano muovendo: ciò che comprova che il progettato attentato allo stadio aveva una causale di ben più ampio respiro e tale da indurre pure la 'Ndrangheta a partecipare alla guerra allo Stato con una serie di azioni criminose sempre e tutto ai danni dei carabinieri (come si evince dalle propalazioni del pentito calabrese Consolato Villani)".

Proprio Villani è uno di quei soggetti che è stato ascoltato nel corso del processo di primo grado. Le sue dichiarazioni vengono ritenute credibili dalla Corte, così come quelle di Spatuzza. “Fonti del tutto autonome e non sospettabili di alcuna contaminazione reciproca, che senza sapere nulla l’uno dell'altro, (…) - delineano entrambi il quadro di una strategia eversiva congiuntamente ordita da Cosa Nostra e ‘Ndrangheta calabrese per colpire non più monumenti e vittime indeterminate o casuali, ma direttamente e specificamente l'Arma dei Carabinieri”.

Ma qual era il progetto unitario tra Cosa nostra e 'Ndrangheta?

Sempre incrociando gli elementi emersi nei due processi si può trovare una risposta che va oltre le carceri ed il 41 bis.


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Processo 'Ndrangheta stragista, 10 luglio 2020. Un momento della requisitoria del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo © Emanuele Di Stefano



Così come era stato ricostruito in sede di requisitoria dal procuratore aggiunto reggino Giuseppe Lombardo per poter comprendere il contesto criminale e politico in cui si devono collocare gli attacchi ai carabinieri avvenuti in Calabria tra il 1993 ed il 1994 è forse necessario fare un passo indietro e spostare le lancette del tempo al 1991.

E' in quell'anno che si attraversa un momento chiave nel corso della storia, criminale e politica.

Infatti è proprio nella metà del 1991 che avranno luogo, da Enna alla zona di Monza, passando per Nicotra, Polsi, e Lamezia Terme, una serie di riunioni che evidenziavano una "piena coerenza tra la strategia stragista e la strategia politica di chi aveva organizzato le stragi: Cosa nostra, la 'Ndrangheta ed altre componenti dello stesso sistema”. E in quel tempo si era sviluppata un'idea politica autonomista, con la nascita dei primi movimenti indipendentisti: la Lega Meridionale, Sicilia Libera e Calabria Libera (quest'ultima antesignatamente nata il 19 settembre 1991, ndr).

E proprio per ricostuire vita e morte di questo progetto è fondamentale il contributo del collaboratore di giustizia Tullio Cannella, ovvero colui che in Sicilia fu responsabile proprio del progetto separatista di Sicilia Libera. Quest'ultimo ha riferito nel processo anche dei "contatti con personaggi di 'Ndrangheta". Contatti che non sono solo stati di tipo "ideologico", ma anche per "affari di alto livello che vengono gestiti insieme per creare le premesse di un sistema che si autoalimenta e gestisce capitali di grande rilievo".


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Il ''Maestro venerabile'' della loggia massonica P2, Licio Gelli © Imagoeconomica


Non solo. Cannella, sentito in svariate sedi, ha spiegato quella che era l'idea leghista-meridionale ispirata da Licio Gelli e a cui aderirono le componenti mafiose. Tuttavia nel processo è emerso che quel progetto andava anche oltre la figura del Maestro Venerabile della P2 con l'intento di trovare solide alternative di fronte al profondo cambiamento nazionale ed internazionale che si stava prospettando sul piano politico e la strategia stragista doveva mettere la vecchia classe politica con le spalle al muro e aprire varchi.

Dalle dichiarazioni di decine e decine di collaboratori di giustizia è stato provato che quel progetto è stato poi abbandonato per virare su un'altra struttura nascente: ovvero Forza Italia.

Anche di questo si è occupato il processo 'Ndrangheta stragista, aggiungendo tasselli con la testimonianza dell'imputato Giuseppe Graviano che ha parlato anche di incontri diretti con l'ex premier Silvio Berlusconi, seppur per questioni di affari economici.

Dichiarazioni che, provenendo da un boss, non possono certamente essere prese per “oro colato”, ma che sono comunque al vaglio della magistratura, tanto a Reggio Calabria quanto a Firenze, dove Berlusconi è indagato con Marcello Dell'Utri (già condannato definitivo per concorso esterno) come mandante delle stragi del 1993.

Una vicenda tutt'altro che conclusa.

E come diceva proprio il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nella lunga requisitoria di primo grado le stragi di mafia consumate ai danni di tutti noi e dello Stato di cui siamo cittadini, sono un eterno presente e non potranno mai essere un tempo passato. “Il futuro di questa Nazione diceva Lombardo - non si fonda sull’inganno e sulla mistificazione, sugli accordi sottobanco e sul compromesso, non si fonda sulle scorciatoie e sulla paura. Si fonda sulla verità, sul coraggio e sul senso del dovere, costi quel che costi”. E per questo motivo non ci si può certo fermare.

(Fine)

Rielaborazione grafica di copertina by Paolo Bassani

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