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La sua vita diventa documentario. Tra le testimonianze quelle dei figli Simona, Nando, e la nipote Dora

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"Il generale deve morire”. È il titolo dello speciale del Tg2 Dossier andato in onda ieri sera in occasione del 40° anniversario dell’omicidio del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa, assassinato da Cosa nostra il 3 settembre 1982 in via Isidoro Carini - Palermo - assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo. Il documentario, curato e condotto dal giornalista Francesco Vitale (caporedattore della Cronaca del Tg2) - con il montaggio di Mattia Tomassini e le ricerche di Alessandra Marziali - è un approfondimento volto a ripercorrere la vita del generale, la sua storia e soprattutto i suoi 124 giorni da prefetto antimafia, nella così detta “Tombstone” come veniva definita in quelli anni Palermo a causa dei tanti delitti di mafia. Non era la prima volta che lavorava nel capoluogo. Sul finire degli anni '40, infatti, andò nella tenenza di Corleone e indagò per la prima volta Luciano Liggio come mandante dell’omicidio del sindacalista Placido Rizzotto. Tornò successivamente nel 1966 come Comandante della Legione Carabinieri del capoluogo siciliano, dove rimase fino al 1973. Infine, per la terza volta, il 30 aprile 1982, giorno dell’omicidio del segretario regionale del PCI Pio La Torre, questa volta nelle vesti di Prefetto. Una volta atterrato all’aeroporto di Punta Raisi si rese subito conto che la città era ben diversa dagli anni precedenti. Palermo non era più “la felicissima”, non era più quella delle ville liberty. Il 3 settembre ’82 una tempesta di proiettili gli ha strappato la vita in via Isidoro Carini.


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Il giornalista e caporedattore della Cronaca del Tg2, Francesco Vitale


Il documentario è una fusione tra ricordo personale dei familiari delle vittime del triplice omicidio e una ricostruzione storico-giudiziaria a 40 anni di distanza da quel tragico evento. “È trascorsa una vita - ha commentato Simona dalla Chiesa, figlia del generale -. La verità giudiziaria è arrivata, ma rimangono delle zone d'ombra molto pesanti per quanto riguarda le connivenze politiche, sui legami che la politica aveva instaurato con la mafia in Sicilia e su come questi legami abbiano pesato nella tragica decisione di uccidere mio padre (come ha affermato anche il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli, in un'analisi pubblicata sul "Fatto Quotidiano", ndr). Ricordo che Giovanni Falcone aveva parlato di ‘cointeressenza’ fra gli interessi mafiosi e quelli di una parte della politica. Questa ‘cointeressenza’ spiega molto bene cosa c'è stato”. Da sempre interessato ai rapporti fra mafia-politica, poco dopo aver assunto l’incarico di prefetto antimafia a Palermo, il generale in un incontro faccia a faccia con Giulio Andreotti gli notifica che non avrebbe avuto riguardo alcuno, nemmeno per gli uomini della sua famiglia politica che reputava la più inquinata di tutta la Sicilia. “Sicuramente aveva maggiore interesse contro di lui Andreotti, perché la presenza di mio padre, soprattutto dopo quell’annuncio e conoscendo (Giulio Andreotti, ndr) l’efficacia di mio padre, gli avrebbe scardinato la corrente che era il suo grande serbatoio elettorale e il suo punto di forza di quel partito - dice Nando Dalla Chiesa, figlio del generale nonché docente alla facoltà di scienze politiche all’università di Milano -. Tutti gli equilibri politici sarebbero saltati, presumibilmente anche le posizioni di vertice. Fino a quel momento tutti i ministri dell’Interno erano stati democristiani: loro avevano paura che potesse diventarlo mio padre”.


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Inchieste, attività, prefettura, lotta alle Br e alla mafia. Ma ciò che più impressiona ancora oggi i figli del generale è la solitudine che circondava Carlo Alberto dalla Chiesa a Villa Whitaker a Palermo. “Era tangibile dal momento in cui il Sindaco si rifiuta di accogliere il Prefetto della Repubblica che arriva a insediarsi a Palermo - dice Simona dalla Chiesa -; quando il Presidente della Regione ne prende le distanze; quando un Ministro arrivò a dire che lui (il generale, ndr) in fondo aveva soltanto i poteri di un qualunque prefetto di provincia italiana. Queste dichiarazioni in un momento in cui a Palermo era in atto una guerra di mafia con centinaia di morti, un atteggiamento di questo genere era un'evidente presa di distanza istituzionale da parte di tutte le istituzioni nei confronti di mio padre. Ma se le istituzioni regionali hanno potuto fare quel passo indietro o il passo contro è stato possibile grazie all'appoggio dei loro referenti nazionali”. “Il simbolo della lotta alla mafia e al terrorismo è stato ucciso in virtù di un patto fra mafia e politica. Più di questo cosa bisogna dire? Vedo però che questo sembra essere niente, si va a vedere che cosa c’è di ‘altro’. Ma questo fatto è una cosa enorme nella storia di un Paese. L’enormità di quello che è accaduto non viene valutato”, dice Nando dalla Chiesa, il quale accusa ancora oggi “diffidenza di allora da parte del potere perché ho chiesto troppa giustizia e ho detto cose a cui poi sono arrivati i magistrati, perché non avevo 7 anni ma avevo 32. Quindi non avevo il diritto di fare l’orfano bensì il dovere di chiedere giustizia”. Un impegno pagato a caro prezzo. “Ci siamo dovuti confrontare con gli attacchi alla memoria nei confronti di una medaglia d’oro. Ne abbiamo viste tante”, prosegue il professore.


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Tra i vari contributi che compongono questo documentario c’è anche quello di Letizia Battaglia - storica fotografa palermitana venuta a mancare lo scorso 13 aprile -, tra i primi ad arrivare nel luogo del delitto in via Isidoro Carini per scattare alcune foto divenute poi emblematiche di questa tragedia; come la fotografia dell’A112 guidata quella sera da Emanuela Setti Carraro in cui si intravede il braccio di quest’ultima scendere “gentile e la manina fuori. Lei è stata una delle poche donne ammazzate che io abbia fotografato”, dice Letizia. Nell’incipit de "Il generale deve morire”, inoltre, c’è anche la testimonianza di Dora dalla Chiesa, figlia di Nando: la nipote che il generale non ha mai potuto conoscere perché nata quattro mesi dopo l'omicidio di via Isidoro Carini. Dora porta il nome di sua nonna e della vita del nonno ha voluto sapere tutto e ha raccolto vari racconti - tra cui quello di suo padre, delle zie Rita e Simona, di ex politici, magistrati e carabinieri - per poi realizzare un documentario: “Generale - Rivivendo Carlo Alberto dalla Chiesa” di Lorenzo Rossi Espagne, prodotto da Emma Film e Own Air. “Credo che per lui la cosa più importante fosse la trasmissione dei valori e delle idee e che queste si tramandassero di generazione in generazione - ha detto la giovane -. Che nello Stato ci siano delle infiltrazioni di tipo criminale lo sappiamo, ma nel momento in cui smettiamo di credere nello Stato smettiamo di credere nelle persone che lavorano per il suo bene e abbiamo perso”. Un valore, quest’ultimo, che rappresentava il senso più profondo del Generale Carlo Alberto dalla Chiesa.

Guarda il documentario: Clicca qui!


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