Dopo la condanna a 14 anni in primo grado domani in tarda mattina la Presidente della Corte d'Appello di Caltanissetta, Andreina Occhipinti deciderà se Antonello Montante, l'ex Presidente degli industriali siciliani accusato di corruzione, avrebbe costruito un vero e proprio 'cerchio magico' con l'aiuto di uomini delle istituzioni.
L'accusa parla di un "sistema di ricatti" messo su negli anni grazie "alla complicità di rappresentanti delle istituzioni" ma anche di una "antimafia di facciata" e, dall'altro lato, la difesa che respinge ogni accusa e ribadisce che è un processo "pieno di insinuazioni". Lo scorso 15 gennaio, il sostituto procuratore generale di Catania, Giuseppe Lombardo, aveva chiesto la condanna a 11 anni e 4 mesi di reclusione per l'ex leader di Confindustria Sicilia, imputato insieme con il colonnello Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della guardia di finanza di Caltanissetta condannato in primo grado a 3 anni, al sostituto commissario Marco De Angelis (4 anni), al capo della security di Confindustria Diego Di Simone (6 anni), al questore Andrea Grassi (1 anno e 4 mesi).
Le accuse sono, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione, favoreggiamento, rivelazione di segreto d'ufficio e accesso abusivo al sistema informatico.
La posizione della Procura Generale
I motivi di Appello presentati dalla difesa, dopo la condanna di primo grado a 14 anni di reclusione, sarebbero, per la procura generale, "infondati". "È stata vera antimafia o antimafia di facciata?", aveva detto il pg nel corso della lunga requisitoria, che si è tenuta come tutto il processo a porte chiuse, perché con il rito abbreviato. "C'è stata una corsa al potere, anche spasmodica - aveva detto ancora il pg - non spetta al processo rispondere all'interrogativo. Di certo c'è che la logica del favore è incompatibile con l'azione antimafia e che il rispetto delle regole non ammette zone franche. La lezione è che è necessario un bagno di umiltà". Il magistrato aveva detto anche che quella di Montante sarebbe stata "una catena di montaggio nel quale ognuno aveva il suo ruolo", e che "tutti sapevano che facevano un favore a Montante e in cambio avevano dei vantaggi". Sempre secondo l'accusa, Antonello Montante, si era servito degli "accessi abusivi al sistema informatico", riuscendo così ad "ottenere mediante sistematiche azioni di corruzione, notizie segrete" su "indagini" o sul contenuto "della banche dati della polizia". L'ex leader di Confindustria Sicilia, come scritto dal Gup di Caltanissetta Graziella Luparello nelle motivazioni della sentenza del processo in cui l'imprenditore era stato condannato nel maggio 2019, "non gestiva potere, ma lo creava" ed "utilizzava il potere conquistato negli Enti pubblici e privati quale bacino per collocare i clientes" come "moneta di pagamento per i favori illeciti che questi gli rendevano".
Le richieste per gli altri quattro imputati
Per il generale Gianfranco Ardizzone, ex comandante provinciale della Guardia di Finanza di Caltanissetta, l'accusa ha chiesto alla corte di confermare la condanna a tre anni di reclusione oltre all'applicazione della pena accessoria della degradazione da generale a colonnello delle Fiamme gialle. Anche per il sostituto commissario Marco De Angelis è stata chiesta dall'accusa la conferma della condanna di primo grado a quattro anni con esclusione della sanzione pecuniaria. Il Pg, a conclusione della prima parte della sua requisitoria, aveva chiesto la conferma della condanna ad un anno e quattro mesi anche per il questore Andrea Grassi con la concessione delle attenuanti generiche che porterebbe la pena a dieci mesi. Per Diego Di Simone, capo della security di Confindustria era stata chiesta la condanna a 6 anni e 4 mesi. Per l'accusa "la sistemazione lavorativa o il trasferimento del pubblico ufficiale di turno, o di parenti o amici di questi era la valuta spesa da Montante per remunerare i sodali; una sorta di ripartizione degli utili prodotti da un'impresa che, con modalità illecite, creava e gestiva il potere. Infine Montante, come scriveva la gup nella sentenza di primo grado, era colui al quale va doverosamente riconosciuto il diritto d'autore sulla nascita dell''Antimafia confindustriale' quale forma di 'business' utile a garantire un posto ai tavoli che contano".
Le origini del ’Sistema Montante’
Secondo la giudice, sarebbe partito tutto tra il 2004-2005, cioè "gli anni in cui si travestiva da uomo della Provvidenza, unto dal Signore per redimere i peccatori, fossero essi imprenditori, giornalisti o liberi professionisti, flagellarli per i loro misfatti e purificarli". In quegli anni Montante aveva iniziato a denunciare atti intimidatori, "commessi da vacue sagome talmente impalpabili e diafane da sfuggire persino all'attenta percezione degli stessi appartenenti alla mafia. Le denunce - si legge nella sentenza - di quelle presunte minacce costituivano il primo sintomo di quella degenerazione superomistica che conduceva, lentamente, Montante alla deriva”. Inoltre era stato descritto dal giudice come un "demiurgo non già del linguaggio dell'antimafia, ma dell'antimafia del linguaggio" che "autoinsignitosi 'paladino dell'antimafia', ha esteso l'etichetta ai suoi amici e sodali, dichiarando mafiosi i suoi avversari, in difetto di qualsiasi prova di mafiosità". Secondo il Gup, tramite quell'operato si è "assistito a un 'golpe' linguistico" con la parola "mafia diventata il luogo nominale nel quale confinare tutti gli eretici alla religione di Montante, volta alla costruzione di un sistema di potere formalmente corale, ma sostanzialmente egocentrico" mentre la parola "antimafia era il santuario degli osservanti morigerati del pensiero di Montante" per assicurarsi "ascesa sociale e occupazione di posti di potere". "La presunta attività di contrasto alla criminalità organizzata - aveva scritto ancora il Gup - tanto agitata dalla difesa di Montante, si limitava all'azione di denuncia condotta da pochi elementi (tra i quali Cicero) che, con una sorta di involontario 'naif' comportamentale e senza raffinati filtri critici, si immergeva in azioni di contrasto contro soggetti, alcuni dei quali, si scoprirà essere stati oggetto di attenzione dossieristica da parte di Montante. Dunque, non regge affatto la tesi per cui Montante, lungi dall'essere il vertice del sodalizio criminale, era il paladino dell'Antimafia". Per l'accusa Montante aveva "una spiccata attitudine alla manipolazione della realtà, mediante manovre di varia natura, unificate, sul piano teleologico, dall'obiettivo di precostituire prove a sé favorevoli". Di diverso avviso la difesa di Montante, rappresentata in aula dagli avvocati Giuseppe Panepinto del Foro di Caltanissetta e Carlo Taormina del Foro di Roma.
Domani presente Nicola Morra
Nicola Morra, con una nota, ha annunciato la sua visita in Sicilia. "L'otto luglio sarò a Caltanissetta - ha spiegato il senatore - aspettando la sentenza di appello per segnalare la rilevanza della questione Montante in funzione anche della condanna, pesante, comminata in primo grado". La Procura nel dibattimento di secondo grado - ha aggiunto - "ha chiesto una pena inferiore rispetto a quella sentenziata in primo grado, ma risulta decisiva non solo la durata dell'eventuale pena cui Montante potrebbe essere condannato, ma la qualità dei capi di imputazione accolti dalla magistratura giudicante, per significare lo spessore dell'attività relazionale criminale eventualmente portata avanti da Montante".
Fonte: Adnkronos
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