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Contro i quesiti referendari (affossati) duri anche Gratteri e Ingroia: erano inutili e ingannevoli

Evidentemente molti italiani hanno capito che con il referendum non si voleva migliorare la giustizia ma punire la magistratura e renderla meno autonoma e indipendente”. A dirlo, all'AdnKronos, è stato il Consigliere togato del Csm Nino DI Matteo commentando l’esito del referendum sulla giustizia, contenuto in cinque quesiti, e proposto da Lega e Radicali. Come noto, il referendum è stato affossato già ben prima dello scrutinio in quanto non è stato raggiunto il quorum con il 20,9% dei votanti (circa un italiano su quattro), ma la direzione avversa alla magistratura in direzione della quale andava il referendum è la stessa della riforma Cartabia, come mette in guardia sempre Di Matteo. Eppure, come ha fatto notare ieri il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, ospite del programma di Radio Crt "Dentro la notizia”,  “i cittadini hanno detto in chiaro che questa riforma Cartabia non piace, non serve, è dannosa per la collettività”. Su questo punto, molti dei magistrati antimafia, aventi alle spalle anni di lunga esperienza in toga, sono coesi a far fronte contro queste riforme. "Noi - sostiene Gratteri - dobbiamo pensare a un sistema giudiziario che possa essere utile per amministrare giustizia e perché dia risposte alla gente”. Il capo della Dda catanzarese ha affermato, esprimendosi sul clamoroso fallimento del referendum di domenica, che “se la gente non è andata a votare è perché pensa che questa riforma non serve a nulla". Nel corso dell'intervista il magistrato ha quindi affrontato alcuni dei cinque quesiti referendari che volevano essere ritoccati da Lega e Radicali: "Cosa c'entra la separazione delle carriere con il funzionamento della giustizia, per quale motivo l'avvocato deve dare una valutazione sul magistrato?”, si è chiesto Gratteri. “C’è un conflitto di interessi tra l'avvocato, che è parte, e il procuratore o il sostituto procuratore”. ”Altro punto della riforma contestata dal magistrato è quello in cui si stabilisce che il piano organizzativo della Procura ogni anno deve essere valutato dal ministero. E poi si stabilisce che è il ministero a dare l'indirizzo sulle priorità sui reati su cui bisogna indagare. Questa è una follia - ha detto Gratteri - perché questo vuol dire la commistione tra potere politico e potere giudiziario". Sempre riguardo ai quesiti referendari, il Procuratore di Catanzaro ha ribadito che la riforma della Giustizia "non c'entra nulla con tutti questi referendum". Insieme a Gratteri e Di Matteo anche il consigliere togato del Csm Sebastiano Ardita, ieri, aveva avuto osservazioni scrivendo su Facebook che “il fallimento dei Referendum nei termini clamorosi in cui è avvenuto, segna un punto di non ritorno nei rapporti tra giustizia e politica. Benché il mondo giudiziario sia gravemente in crisi, le istituzioni parlamentari non sono in grado di riformarlo”, ha detto. Sempre ieri gli ha fatto eco, in qualche modo, anche l’ex pm Antonio Ingroia, che all’Adnkronos, premettendo di essere tra quelli “che non è andato a votare”, ha detto che “i referendum erano inutili, incomprensibili” e che “in parte costituivano anche un inganno agli elettori”. Questo “perché - ha concluso - promettevano più di quello che avrebbero mai potuto mantenere, ammesso che il quorum fosse stato raggiunto”.

Foto © Deb Photo

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