Nel programma di Rai3 indicata la presenza del fondatore di Avanguardia Nazionale nell’Attentatuni
Il 5 ottobre del 1992 il capitano dei carabinieri Gianfranco Cavallo (oggi Generale) aveva fatto un'informativa (scomparsa e poi riapparsa) su Lo Cicero dopo aver sentito Maria Romeo, la ‘compagna’ del pentito.
Nella informativa scaturita da quell’incontro si attestava il coinvolgimento di Stefano Delle Chiaie nella strage di Capaci del 23 maggio 1992. Di quell'informativa l'ex brigadiere Walter Giustini ha raccontato di non ricordarsi "neanche di averla letta". E poi ancora nel 2007 Maria Romeo e Lo Cicero sono stati sentiti dalla procura nazionale Antimafia, ma anche in questo caso del materiale prezioso non è stato più trovato: “Non si trova nulla di quello che gli ho dato", ha detto Romeo, "cioè tutte le registrazioni di Alberto". Maria Romeo ha ribadito di avere appreso dal suo compagno che Delle Chiaie aveva partecipato in Sicilia ad una riunione di preparazione della strage con alcuni mafiosi: “C'erano i Bonanno, i Biondino, i Troia, stavano organizzando qualcosa di grosso”.
È questo quanto raccontato durante la trasmissione di ‘Report’, il programma condotto da Sigfrido Ranucci, nell’inchiesta di Paolo Mondani.
Alle indagini sulla destra eversiva si aggiunge anche il racconto dell’ex brigadiere Walter Giustini. Quest’ultimo ha riferito che Lo Cicero era il contatto che aveva messo le forze dell’ordine sulla strada giusta per catturare Totò Riina già nel 1991, pochi mesi prima della strage di Capaci e due anni prima del suo arresto.
Infatti il Lo Cicero, da confidente, avrebbe rivelato ai carabinieri che Salvatore Biondino, già noto agli investigatori, era l’autista del “capo dei capi”.
A detta del pentito e di Maria Romeo, però le sue ‘dritte’ non furono valorizzate, tanto che Biondino sarà arrestato mentre faceva l’autista a Totò Riina nel gennaio 1993 grazie al pentito Balduccio Di Maggio e all’operato del Ros e non nel 1992 grazie alle dritte di Lo Cicero.
La 'Pista nera' di Capaci
Strage di Capaci: fra i soggetti legati alla destra eversiva, oltre che a Pietro Rampulla e Antonino Gioè, vi potrebbe essere stato anche il capo di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie.
A confermare la sua presenza nel contesto stragista sono le dichiarazioni di Alberto Lo Cicero, dell'ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato rilasciate nel corso della trasmissione SpotLive di Rainews24 e le parole di Maria Romeo.
Report nella puntata di ieri è tornata ad approfondire nuovamente le dichiarazioni dell'ex brigadiere Walter Giustini.
Lo Cicero, ricordiamo, non era un mafioso ‘punciuto’ (ritualmente affiliato a Cosa Nostra n.d.r) ma era cugino del boss Armando Bonanno e autista del boss di San Lorenzo e membro della Cupola di Cosa Nostra Mariano Tullio Troia.
Giustini ha riferito che il pentito aveva detto di aver visto Stefano Delle Chiaie "un paio di volte a Capaci" prima della strage. Lo Cicero - ha continuato l'ex brigadiere - aveva notato anche "la presenza di personaggi di spicco di Cosa Nostra che secondo lui non avrebbero avuto motivo di essere lì se non perché doveva succedere qualcosa di eclatante". Questa circostanza è stata confermata anche da Maria Romeo: "Alberto ha fatto un sopralluogo (a Capaci n.d.r) con queste persone". E "pensava che Stefano Delle Chiaie era l'aggancio fra mafia e lo Stato", un ruolo di "portavoce, di quelli di Roma". "A noi di Stefano Delle Chiaie ce ne ha parlato prima la Romeo" (Maria, la 'compagna di Lo Cicero n.d.r) e mi aveva detto "è molto amico di mio fratello", ossia Domenico Romeo, fondatore nel 1990 di molte Leghe meridionali con Stefano Menicacci, avvocato di Delle Chiaie con il quale Romeo era in ottimi rapporti.
La procura di Caltanissetta, a poche ore dalla messa in onda della puntata del 23 maggio scorso, con un comunicato, ha preso le distanze dalle ricostruzioni di Report ordinando anche una perquisizione in casa del giornalista Paolo Mondani in seguito ritirata. Come riferito dalla stessa redazione “la Dia, su mandato della Procura nissena, con decreto di perquisizione si era presentata a casa dell’inviato per perquisire la stessa ed il pc. Al contempo gli investigatori erano giunti anche presso la redazione di Report. Dopo alcune ore, però, la perquisizione è stata sospesa. Nel corso delle operazioni, ha comunicato sempre Report, non risultano acquisiti atti o informazioni sensibili.
Tuttavia dopo il comunicato della procura il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, a SpotLive, aveva detto che "noi già dopo le stragi abbiamo indagato Stefano Delle Chiaie unitamente a Licio Gelli, a Salvatore Riina e altri soggetti, perché secondo noi coinvolti in un progetto di destabilizzazione dello Stato connesso alla strategia stragista. Nel maggio del 2001 fummo costretti ad archiviare, perché non avevamo elementi sufficienti. Ma successivamente sono state acquisite importanti risultanze processuali che noi non conoscevamo". Inoltre "è stato acquisito anche un documento ufficiale redatto nel 1992 con il quale si comunicava a più autorità che Stefano Delle Chiaie, nella primavera del 1992, era venuto a Palermo si era incontrato con boss mafiosi, ed era coinvolto nella strage di Capaci. È un documento del 1992" che "è stato riscoperto soltanto recentemente".
La destra eversiva nella strage di Capaci aveva già fatto la sua comparsa: "L'artificiere di Capaci - ha detto il magistrato - era Pietro Rampulla "un esponente della destra eversiva. Ed è interessante che viene individuato grazie alle rivelazioni di un altro mafioso esponente della destra eversiva: Luigi Ilardo, che è un infiltrato, e che sarà ucciso poco prima di iniziare a collaborare con i magistrati, quando aveva anticipato che avrebbe rivelato il retroscena delle stragi. Anche Antonino Gioè, uno degli esecutori della strage di Capaci, era un uomo della destra eversiva" ed "in continuo dialogo con Paolo Bellini uomo pure della destra eversiva recentemente condannato per la strage di Bologna che si trova in Sicilia nel periodo cruciale delle stragi" ossia "nel 1991, nella provincia di Enna, quando sono riuniti tutti i capi di Cosa Nostra per discutere il piano stragista. Nel 1992 - ha detto il magistrato - incontra ripetutamente Gioè e, ci dice il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, che è proprio Paolo Bellini a suggerire di fare attentati contro i beni artistici".
E poi ancora: "Lo stesso Paolo Bellini viene controllato dalla polizia nella provincia di Catania in prossimità della casa di fratello di Rampulla. Anche altri soggetti che hanno partecipato alla strategia stragista erano nella destra eversiva: come Santo Mazzei, colui che colloca un ordigno esplosivo a Boboli, a Firenze. E anche altri ancora. Quindi diciamo che c'era una componente di Cosa Nostra che era da tempo legata alla destra eversiva e a personaggi come Concutelli (Pierluigi n.d.r) ed altri".
La 'Pista nera' nell'omicidio Mattarella
Nella sua disperata corsa contro il tempo per la ricerca della verità sull’attentato che strappò la vita all’amico e collega Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e alla loro scorta, Paolo Borsellino avrebbe iniziato a battere la pista che vede in simbiosi, in qualità di esecutori e mandanti, mafiosi, neofascisti e agenti dei servizi segreti. E’ questo il nuovo dettaglio che emerge a ormai 30 anni dall’”Attentatuni”. A raccontarlo è stato l’estremista Alberto Volo, professore palermitano, un tempo allievo ufficiale paracadutista della Folgore a Pisa, e personaggio chiave degli intrecci tra servizi segreti ed eversione nera, in un verbale inedito rilasciato nel luglio 2016 ai sostituti procuratori di Palermo Nino Di Matteo e Roberto Tartaglia, due dei quattro pm che indagavano sulla Trattativa Stato-mafia. Il dato era già stato riportato durante la trasmissione di ‘Report’ andata in onda il 24 gennaio scorso.
Secondo Volo, quindi Borsellino non credeva, come lui, alla formula della matrice esclusivamente mafiosa dell’attentato di Capaci. Ai magistrati di Palermo Volo ha raccontato di essere stato agganciato e addestrato in quel periodo alle Canarie da un’organizzazione paramilitare. Dopo aver collaborato con Giovanni Falcone, che stava indagando sull’omicidio Mattarella insieme alla strage del 2 agosto ’80 a Bologna, tra il 1989 e il 1990, era andato in Spagna, su consiglio di Falcone, a suo dire, per poi tornare in Italia dopo la strage di Capaci per cercare di capire quel che stava accadendo in Sicilia. A Tartaglia e Di Matteo l’estremista ha riferito di aver svolto una sorta di sua indagine personale con tanto di sopralluogo a Capaci. L’estremista di destra era convinto che quella strage non poteva essere solo frutto dei corleonesi di Totò Riina. Volo, a partire dal 1989, aveva incontrato Giovanni Falcone molte volte. Ha raccontato ai pm di averlo visto prima in un appartamento del centro di Palermo per poi verbalizzare le sue dichiarazioni sui suoi rapporti con un’organizzazione paramilitare simile a Gladio di nome ‘Universal Legion’. A Falcone, il professore aveva parlato delle confidenze ricevute, a suo dire, dall’estremista nero Francesco Mangiameli, altro personaggio toccato da “Report”, sull’omicidio Piersanti Mattarella. Poco prima di essere ucciso da Valerio Fioravanti nel settembre 1980, Mangiameli gli avrebbe confidato che “l’omicidio Mattarella era stato deciso a casa di Licio Gelli” e che ad uccidere il politico siciliano sarebbero stati i terroristi Gilberto Cavallini e Valerio Fioravanti stesso. Sul movente sempre Mangiameli “mi precisò che l’omicidio era stato provocato dalle aperture al Partito Comunista in quel periodo in Sicilia di cui Mattarella era il principale sostenitore”.
Ma i giudici che hanno assolti Cavallini e Fioravanti da queste accuse non hanno sposato questa pista. Tuttavia “Report” però ha ricordato l’audizione di Falcone alla Commissione Antimafia del 22 giugno del 1990 in cui si comprende che il magistrato credeva alla pista nera per quel delitto. “Stefano Alberto Volo è il migliore amico di Francesco Mangiameli - aveva detto in trasmissione il magistrato Roberto Tartaglia - quello che Volo alla fine verbalizza con Giovanni Falcone, in estrema sintesi, è che lui ha saputo da Mangiameli che l'omicidio di Piersanti Mattarella è stato realizzato da Fioravanti e da Cavallini. E che questa decisione nasce da una volontà politica e massonica che ascrive direttamente” in quei verbali “alla volontà di Licio Gelli di arginare definitivamente l'apertura a sinistra della Democrazia Cristiana e di interrompere il nuovo tentativo di riprendere il vecchio discorso lasciato tragicamente in sospeso con il sequestro Moro”. “Le indagini di Falcone su Mattarella - aveva detto Roberto Scarpinato - segnano una svolta nella sua vita. Fino a quel momento lui si era guadagnato l'inimicizia dalla mafia, dei riciclatori della mafia, ma con le indagini dell'omicidio Mattarella si aggiunge anche un altro nemico: e cioè quel sistema criminale che era stato protagonista della strategia della tensione”.
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