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"Mio padre era il contrario di tutto ciò che c’è in quei testi". Inviata lettera anche contro il nuovo film di Bellocchio

Accertamenti della Digos a Reggio Emilia, esposti in Procura a Pescara per apologia di reato e all'orizzonte una denuncia dalla primogenita di Aldo Moro. Continua la bufera politica e giudiziaria, sui componenti finora anonimi del gruppo musicale P38, gruppo musicale che rievoca le Brigate Rosse con riferimenti non poco espliciti nei brani e negli allestimenti sul palco, dopo le esibizioni delle scorse settimane. Ultima quella del primo maggio in un circolo Arci di Reggio Emilia, ma nei giorni precedenti anche a Bologna e il 25 aprile a Pescara. “Sto procedendo per vie legali - ci dice telefonicamente Maria Fida Moro, figlia primogenita dello statista democristiano ucciso dalle Br -. Questa non è una questione di libertà di pensiero, ma istigazione al terrorismo. Ora basta”. Lo scorso 6 maggio 2022, l’ex senatrice Fida Moro in un’intervista rilasciata a Evaristo Sparvieri (giornalista della Gazzetta di Reggio) ha detto: “Mio padre, Aldo Moro, era il contrario di tutto ciò che c’è in quei testi, altrimenti sarebbe stato comprato come altri. Invece è stato ucciso. E ancora oggi in Italia e in Europa paghiamo l’assenza della sua politica lungimirante”. "Solo chi è passato per un dolore del genere può davvero capire cosa si prova e può capire che anche una canzone può avere esiti volgari e pericolosi - aveva aggiunto l’ex senatrice -. Mio padre era una persona ad esempio che non era assolutamente attaccata al denaro, che non ha mai accettato regali e usava l'indennità parlamentare per far studiare i bambini poveri del sud. Di tutto questo ci si dimentica, spesso si dimenticano anche le persone aiutate, ora diventate adulte. Se fosse stato attaccato al denaro non sarebbe mai morto ammazzato. Invece era attaccato a solidi principi giuridici del fare il bene e non il male, sapendo che, ahimé, proprio facendo il bene sarebbe stato ammazzato. Purtroppo lo ha sempre saputo".

La band sotto i riflettori è nata nel 2020 e si esibisce in anonimato, coi componenti che indossano un passamontagna bianco e si autodefiniscono "trapper brigatisti". Tra marzo e aprile ha suonato in diverse città italiane - Roma, Firenze, Bergamo, Padova, Bologna e Pescara. A sollevare le polemiche l'ultimo concerto, quello del primo maggio a Reggio Emilia, in un circolo Arci. Nella terra dove oltre mezzo secolo fa nacquero le Br con Renato Curcio, Margherita 'Mara' Cagol e Alberto Franceschini. L'episodio ha provocato anche lo sdegno di Lorenzo Biagi, figlio del giuslavorista Marco ucciso dalle Nuove Br a Bologna nel 2002. "Le cose più schifose a mio parere sono due - ha scritto sui social -. La prima è che il titolare di questo locale che li ha invitati li ha pure difesi in seguito alla loro esibizione", la "seconda cosa schifosa è che non è la prima volta che questo 'gruppo' viene invitato nei locali ad esibirsi". Tra i titoli delle canzoni spiccano “Renault”, con la barra “Zitto Zitto pagami il riscatto, zitto zitto sei su una R4…”, rimandando all'immagine dell'auto rossa nella quale venne trovato Moro. Tra l'altro parte della polemica ha investito anche la città di Bologna, dove la band ha girato un video e dove si è esibita il 22 aprile alla Ex Centrale, uno spazio del Comune dato in gestione a un centro sociale. Comune che ha fatto sapere di reputare "tale episodio riprovevole e censurabile". Fratelli d'Italia chiede la revoca degli spazi. A Pescara i componenti della band sono stati denunciati dalla Digos per apologia di reato, come riportato dall'edizione locale del Messaggero, in seguito all'esibizione del 25 aprile, sempre in un circolo Arci. Sulla vicenda erano arrivati due esposti in procura, uno a firma di Bruno D'Alfonso, uno dei tre figli di Giovanni, carabiniere abruzzese di 44 anni ucciso dalle Br nel '74 in provincia di Alessandria nello scontro a fuoco per la liberazione dell'industriale Vittorio Vallarino Gancia.

Attendere per troppo tempo la verità impedisce alle ferite di cicatrizzarsi. Ed ecco che anche una canzone con pretese provocatorie o artistiche può contribuire a riaprire. Ma lo sdegno di Maria Fida Moro non si esaurisce alla band P38. Pochi giorni fa, infatti, è stata annunciata l’uscita di “Esterno Notte”: un film drammatico e giallo diretto da Marco Bellocchio, con Fabrizio Gifuni e Margherita Buy, in uscita nei cinema d’Italia il prossimo 18 maggio 2022. Appresa la notizia la figlia primogenita dello statista Aldo Moro - e suo figlio Luca Moro - hanno inoltrato una lettera alla redazione de Il Fatto Quotidiano (pubblicata nell’edizione cartacea del 9 maggio scorso) che, sotto richiesta di Maria Fida Moro, riportiamo fedelmente a fine articolo. Il film, per molti, potrebbe essere un’occasione per celebrare la memoria di un grande politico come Aldo Moro, ma per sua figlia Fida il miglior modo di commemorare il padre è desecretando le verità trovate dopo tanti anni. “Con l'ultima commissione parlamentare d'inchiesta, l’80% della verità secondo me è stata raggiunta. Ma gran parte del lavoro di quella commissione è stato secretato, con il pieno diritto di poterlo fare. Però mi chiedo a cosa serva fare indagini se poi vengono secretate - ha detto durante l’intervista rilasciata a Evaristo Sparvieri -. I ragazzi, i giovani, dovrebbero poter leggere, poter sapere. Scoprirebbero che i fatti drammatici del Dopoguerra in Italia sono tutti collegati. Forse servirebbe anche agli autori di queste canzoni contro mio padre. Scoprirebbero che la dignità vale per ogni singola persona, ma anche che Aldo Moro ha pagato con la vita per tutto il bene che ha fatto agli altri, al nostro Paese e all'Europa”.



Moro e il dolore. “Perché Bellocchio non deve più usare la nostra tragedia”

GENTILE DIRETTORE, la prego di pubblicare questa lettera in merito all’articolo - uscito il 27 aprile scorso a firma Federico Pontiggia - intitolato “A che punto è 'Esterno Notte': Bellocchio in sala da maggio” e dedicato alla serie tv del regista sul rapimento e la morte di mio padre. Essa, più che una rettifica, è un grido di dolore. Marco Bellocchio non è ancora pago del dolore che semina, incurante dei sentimenti altrui, e dimentica che errare è umano e perseverare diabolico. So benissimo che la vita e la morte di mio padre sono un “business” e a me fa orrore anche solo l’idea. L’avere il potere di compiere un’azione non significa che tale azione sia giusta ed etica di per sé. Se avessi una bacchetta magica, spedirei Bellocchio - per soli 20 minuti - nella nostra vita a provare su di sé la devastazione totale. Ma preferisco parlare dell’arte. L’arte è universale in quanto evocatrice dello spirito umano libero e della sua trascendenza verso l’eterno. Girare e rigirare un coltello in una piaga, sempre aperta, non assomiglia all’arte bensì alla tortura. So che gli uomini fanno un peccato ogni volta che provocano dolore e questo dolore finirà per stritolarli. Nei 55 giorni del ’78 noi, tutti noi, sapevamo benissimo che papà era vivo, ma che non sarebbe mai tornato perché il destino terreno dei testimoni, cioè dei martiri, è la morte.
Maria Fida Moro

GENTILE DIRETTORE, non c'è arte dove c'è “mistificazione”, non c'è giustizia, non c’è pace, non c’è verità. L'unico film, su mio nonno Aldo Moro, che riconosco è “Piazza delle Cinque Lune” di Renzo Martinelli. Tutti gli altri mi sembrano fatti senza amore, non nella verità, a dispetto della verità. Se fosse capitato a loro ciò che è capitato a noi avrebbero almeno il rispetto del silenzio.
Luca Moro

(Prima pubblicazione: 12 maggio 2022)

Foto © Imagoeconomica

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