Pm Luciani: “Scarantino torturato e vessato. Da alcuni ex membri del gruppo Falcone-Borsellino testimonianze grossolane”
Il più grande depistaggio della storia. Così la sentenza del Processo Borsellino quater aveva descritto quanto avvenuto dietro le indagini sulla strage di via d'Amelio che portò alla morte il giudice Paolo Borsellino e gli agenti di scorta Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina.
Oggi il pm Stefano Luciani, davanti al collegio del Tribunale di Caltanissetta presieduto da Francesco D'Arrigo, ha ricalcato quell'affermazione nel processo che proprio sul depistaggio sta tentando di far luce: “Il più grande depistaggio della storia italiana nasce a Pianosa”.
Imputati sono tre poliziotti che facevano parte del gruppo 'Falcone Borsellino': Fabrizio Mattei, Mario Bo e Michele Ribaudo. Tutti accusati di calunnia in concorso aggravata dall'aver favorito Cosa nostra.
"Mi scuso in anticipo con le parti civili perché la requisitoria che mi accingo a fare certamente non sarà adeguata a quella che sarebbe dovuta essere la conclusione di un processo di questa portata. Non sto qui certamente a sottolineare, benché certamente parliamo di imputazioni precise nei confronti di soggetti ben determinati, le implicazioni ulteriori che ha questo processo. Certamente meritava una discussione diversa da parte del pubblico ministero" – ha detto in avvio il magistrato per poi evidenziare il percorso che è stato fatto in questi anni.
"Fu Spatuzza - ha spiegato Luciani - a raccontare una verità che da subito è apparsa dirompente. Ed era una verità che andava a sconvolgere ben due processi che si erano già celebrati per la strage di via d'Amelio, una verità che andava a mettere in discussione condanne all'ergastolo comminate sulla base di prove manipolate. Infatti era stata manipolata la collaborazione di Salvatore Candura, quella di Francesca Andriotta e infine quella di Vincenzo Scarantino”.
Sempre parlando di Spatuzza ha aggiunto: “Dopo il suo arrivo qualcuno ha detto: 'E che ci vuole?' - dice - Io mi permetto di dire che questa è una costruzione riduttiva, ad essere buoni. Prima di Spatuzza c'era stato Giovanni Brusca e prima Giovambattista Ferrante e Gioacchino La Barbera. Mi sia consentito dire che quando Spatuzza si è seduto al tavolo dei pm si è avuto il coraggio di riprendere da capo ciò che era stato fatto e poi raggiungere gli esiti processuali consacrati nel quater. E' riduttivo dire che è il processo alla solita macelleria mafiosa”.
Luciani dunque è tornando alla storia di Vincenzo Scarantino, il picciotto della Guadagna che si autoaccusò falsamente di aver operato per il furto della 126 (versione poi smentita da Spatuzza), partendo dall'arresto.
Rivolgendosi alla Corte ha evidenziato come in atti vi sia “un coacervo di elementi, principalmente documentali accompagnati dalle dichiarazioni, che vanno verso un'unica direzione, l'anomalia nella gestione di Vincenzo Scarantino durante e dopo Pianosa e il cordone sanitario che si alza attorno a lui, che costituisce alla luce degli elementi di cui oggi disponete, una conferma chiara che fosse un collaboratore costruito a tavolino, che occorreva cautelare, circondare e che non avesse contatti con altri. E che potesse sfuggire in maniera impazzita dalle mani di coloro che lo avevano posto in quelle condizioni, ma ancora prima è circondato da questo cordone sanitario”.
Nella ricostruzione, dunque, il magistrato, ha anche messo in evidenza come un contributo alla costruzione del falso pentito sarebbe giunto anche da certi apparati.
“Quindici giorni dopo l'arresto di Vincenzo Scarantino, avvenuto il 29 settembre 1992 - ha ricordato Luciani - atterra sul tavolo del procuratore di Caltanissetta Tinebra una nota del Sisde con a capo Bruno Contrada, veicolata attraverso la Squadra Mobile di Caltanissetta nella quale, incredibilmente, il Sisde anziché dire che Scarantino è un piccolo delinquente di borgata, lo definisce un boss mafioso. Da quel momento Vincenzo Scarantino subisce un pressing asfissiante. A Venezia, a Busto Arsizio, viene sottoposto a interrogatori costanti e ripetuti. Viene sottoposto a plurimi procedimenti penali a condanne per traffico di droga, rinviato a giudizio per la strage. Vincenzo Scarantino arriva al 24 giugno 1994 che è un uomo esasperato”.
"I suoi precedenti - ha affermato il pm - erano assolutamente distonici rispetto al quadro che si è voluto rappresentare. La moglie raccontò che era un uomo robusto di oltre 100 chili. Quando lo vide a Venezia era già ridotto alla metà, a Pianosa era ormai in condizioni terribili”. E proprio le parole dette dalla Rosalia Basile sono state più volte ricordate: “Mio marito mi diceva che gli avevano iniettato il siero dell'Aids, sapendo che era geloso, gli instillavano il dubbio che io avessi l'amante'. Sono esattamente le stesse cose che ha ripetuto 21 anni dopo davanti a questo tribunale. E ancora la moglie riferiva: 'Io so che questo Arnaldo La Barbera non lo lasciava in pace, capendo che era un soggetto fragile. Lui mi ha sempre detto che non c'entrava nulla con la strage ma che gli avevano promesso la libertà e denaro'”.
Tornando al racconto di Scarantino sono state evidenziate le parole sull'incontro a Pianosa con l'ex capo della Mobile, poi Questore, Arnaldo La Barbera (descritto nella sentenza del Quater come tra i primi responsabili del depistaggio, ndr). E poi ancora il racconto delle vessazioni subite. Azioni che portarono lo Scarantino a cedere ed autoaccusarsi di cose mai fatte, recitando un copione col quale chiudere in fretta l'indagine sulla strage e assicurare colpevoli facili alla giustizia.
“A fare 'studiare' Scarantino sulle dichiarazioni che avrebbe dovuto rendere - ha proseguito - erano Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo. Scarantino in maniera diretta e chiara mette in connessione l'attività di studio fatta con Mattei e Ribaudo con l'attività di supervisione di Arnaldo La Barbera e Mario Bo".
Secondo la Procura, però, anche Scarantino avrebbe contribuito ad inquinare l'inchiesta. Eppure proprio la sentenza del Borsellino quater spiega in maniera chiara che il “pupo vestito” fu “indotto a mentire”.
Ma il pm ha voluto precisare che proprio il quater il reato ascritto a Scarantino fu prescritto.
"Tutte le dichiarazioni rese da Vincenzo Scarantino sono dichiarazioni che dal 1998 sono uguali a loro stesse. Nel marasma delle ritrattazioni ci sono alcune vicende che sono state raccontate sempre allo stesso modo. Vincenzo Scarantino è stato indotto ma ci ha messo anche del suo”. E poi ancora: “Buona parte delle dichiarazioni che nel tempo fa Vincenzo Scarantino sono frutto di sue personali rivisitazioni di circostanze apprese dalla stampa o esperienza di vita vissuta, per come gli era stato detto di fare. Scarantino è stato indotto a fare dichiarazioni ma che quel canovaccio non fosse tutto ascrivibile a induzioni e contenuto di dichiarazioni che gli sono state dette di fare, ma anche ascrivibile a iniziative di Vincenzo Scarantino, ed è quello sostenuto nel Borsellino quater che non ha assolto Scarantino ma lo ha dichiarato prescritto. Quindi, è responsabile, e la responsabilità va data, in parti uguali o no, non mi interessa, ma va data a entrambi. Il canovaccio fu riempito anche delle sue goffe dichiarazioni”.
Le testimonianze grossolane
Luciani, che oggi presta servizio alla Procura di Roma ed è stato distaccato per concludere il processo, ha poi evidenziato alcune testimonianze “grossolane” di ex appartenenti del Gruppo Falcone e Borsellino: “Gli ex appartenenti del Gruppo Falcone e Borsellino, sentiti in questo processo, diventano vaghi, sfuggenti, costellati da vari 'non ricordo' con alcuni momenti di lucidità in cui ricordano e poi non ricordano più”. Tra queste testimonianze ondivaghe è stata ricordata quella di Gaspare Giacalone. “Cosa ci ha tenuto a dire? - ha ricordato Luciani - 'Sono andato a Pratica di mare, non ricordo se c'erano anche magistrati e siamo andati a Pianosa, per fare l'interrogatorio di Scarantino e siamo tornati'. Sulla base di questo e di un dato documentale che è l'acquisizione dei piani di volo dell'elicottero che fa la spola Pianosa-Pratica di mare, ci vorrebbe dire che quel giorno La Barbera non aveva fatto il colloquio investigativo. Dal controesame del pm il teste mostra incertezze. Non è così certo come mostra di essere in sede di esame del pm e c'è un ulteriore dato: la volontà di Scarantino era evidentemente veicolata fino alla Procura di Caltanissetta e siccome non è documentato un modo alternativo rispetto al colloquio investigativo ne dobbiamo desumere che il colloquio investigativo c'è stato e che La Barbera la partecipa a Tinebra e che poi si organizza l'interrogatorio e la documentazione prodotta non prova né smentisce nulla”. Quindi il pm si è lasciato andare ad un'amara considerazione: “Sono certo che questo comportamento che per alcuni non ha fatto onore per la divisa che indossano, sia stato segnalato per chi di competenza”.
L'udienza è ripresa stamattina alle 9.30 sempre presso l'aula bunker di Caltanissetta.
Foto © Shobha
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