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Al processo Agostino le rivelazioni dell'ex ispettore di Polizia

Nino Agostino, tornato dal viaggio di nozze, era estremamente pensieroso. Mi disse che non voleva più fare il poliziotto, che voleva andar via dal commissariato San Lorenzo e voleva essere trasferito all’ufficio personale alla Caserma Lungaro”.
È quanto testimoniato ieri mattina da Salvatore Barbera, già ispettore superiore della Polizia di Stato (oggi in quiescenza), dinnanzi alla Corte d'Assise di Palermo, presieduta da Sergio Gulotta, nell'ambito del processo sul duplice omicidio Agostino-Castelluccio, che vede imputati il boss Gaetano Scotto, accusato di duplice omicidio aggravato in concorso, e Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento.

Barbera, che ha chiesto di non essere filmato, ha conosciuto e lavorato con l’agente Nino Agostino tanto da “aver fatto certamente qualche turno di volante e di pattuglia con lui al reparto speciale dell’ospedale Ingrassia”. Un rapporto lavorativo stretto fatto di stima reciproca tanto che Barbera, a più riprese, in aula ha elogiato i metodi investigativi dell’agente Agostino: “Era giusto, leale, cortese, non sbagliava mai e non era un donnaiolo”, a differenza di quella convinzione per cui il delitto era ascrivibile alla voce “delitto passionale”. Ad oltre trent'anni di distanza appare evidente che quella pista, seguita con forza dalla Squadra mobile di La Barbera, fosse un depistaggio.

Una pista che non fu condivisa da tutti.


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Salvatore Barbera, già ispettore superiore della Polizia di Stato


Proprio all’indomani del duplice Omicidio Agostino-Castelluccio, l’ex ispettore della Polizia di Stato, all’epoca agente del Commissariato di San Lorenzo, scrisse una relazione di servizio in cui annotò un “episodio che il collega Agostino mi raccontò, per lui strano”. “Doveva fare rifornimento alla propria vettura - ha detto Barbera -. Io sapevo che lui abitava in Via Paruta, anche se non sono mai stato a casa sua. Per fare rifornimento si recò al distributore di carburante che all’epoca era un Agip. In quell’occasione vide una vettura e una motocicletta vicini come se appartenessero allo stesso gruppetto di persone che si trovava lì appoggiato a quella vettura: erano cinque persone. Il collega Agostino si affianca per fare rifornimento, scende dalla macchina e notò immediatamente queste persone. Qualcuno di questi lo guardò anche male e lo puntò con gli occhi. Lui forse impaurito, pensieroso, credo che non fece neanche rifornimento, si mise in macchina e si recò a casa. Mi disse che qualcuna di queste persone lo aveva incrociato in ‘Corso dei mille’ in un altro episodio”. Agostino non sapeva chi fossero, ha detto Barbera. Così come non sapeva perché queste persone lo avrebbero guardato male. “Non mi seppe spiegare. Disse che aveva sentito una sensazione strana. Talmente strana che si mise in macchina e tornò a casa. E poi mi disse che era venuto a conoscenza che in quella zona era successo un omicidio”. “Qualche ora dopo l’Agostino facendo rientro veniva a conoscenza dal padre o dal suocero che nella vicina via Palmerino alcuni killer avevano freddato il Puccio”, ha detto Barbera.


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Agostino mi disse: Non voglio fare più il poliziotto, non mi interessa. Ho famiglia e mi devo dedicare ad altro”
Un altro comportamento strano, per non dire anomalo, che l’agente Agostino ha avuto è stato al rientro dal viaggio di nozze. “Non mi disse qualcosa relativamente al viaggio di nozze - ha detto Barbera -, però successe una cosa un po’ strana. Probabilmente già da qualche settimana, io mi trovavo alla nuova squadra investigativa istituita con l’avvento del dottore Montalbano: ero stato spostato dalla squadra di polizia giudiziaria all’investigativa”.

Prima della sua partenza delle ferie matrimoniali, proposi ad Agostino se voleva entrare a far parte della squadra investigativa - ha continuato ieri mattina il teste -. Lui non mi disse né sì né no. Mi guardò, sorrise e mi disse: ‘Ci penso, ci rifletto’. Lui era una persona che aveva molto naso. Era estremamente professionale e ricordo che quando facevamo volante spesso lui mi indicava persone che si ricordava essere pregiudicate e per questo li fermava e li controllava. E questi erano episodi quasi continuativi. Proprio per questo motivo io dissi a Nino: ‘Perché non valuti la cosa per andare all’investigativa?’; ‘Si ci penso’, mi rispose. Andò in ferie matrimoniali, si sposa, e il giorno 5 agosto vedo che lui era in un angolo del commissariato seduto in una panchina sotto i portici. Era pensieroso”.


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In alto, Giuseppe Scozzola, avv. di Gaetano Scotto; a sinistra, i pubblici ministeri Domenico Gozzo e Umberto De Giglio; a destra gli avv.ti Fabio Repici (famiglia Agostino) e Calogero Monastra (di Agostino Salvatore)


Agostino, dice Barbera, faceva il turno “e gli dissi: ‘Agostino che fai?’; ‘Faccio 8-14’. Al che io credevo che facesse 8-14 perché forse - pensavo fra me e me, anche se nessuno mi aveva detto nulla - era una prova per entrare alla investigativa. E gli dissi: ‘Fai 8-14? Bene!’. ‘Ma quale bene’, mi rispose estremamente pensieroso”. E ancora: “Mi disse che non voleva più fare il poliziotto, che voleva andar via dal commissariato San Lorenzo e voleva essere trasferito all’ufficio personale alla Caserma Lungaro. Io rimasi di stucco e per un breve periodo anche senza parole. Gli chiesi cosa fosse successo e il perché di quella affermazione. Mi disse: ‘Non voglio fare più il poliziotto, non mi interessa’. ‘Ho famiglia’, mi disse determinato. ‘Io ho famiglia e mi devo dedicare ad altro’. Io mi stranì per questa sua presa di posizione, anche con un tono abbastanza acceso. Gli chiesi il perché di quella scelta e mi rispose in dialetto: ‘Totò nun c’è niente. Io finiu di fare il poliziotto. Per favore lasciami solo’”.

Io rimasi scioccato dalla cosa - ha detto Barbera - e per questo non ricordo se mi disse in quel momento - o appresi dopo il fatto - che lui era stato seguito o si sentiva seguito al ritorno dal viaggio di nozze”.

Barbera racconta poi alla Corte di aver fatto “la domanda specifica”, chiedendo se tale affermazione fosse scaturita da quanto accaduto all’Agip tempo addietro, ma “Nino mi tagliò subito il discorso dicendomi ‘non voglio più fare il poliziotto’”. “Io ho insistito più volte facendo domande ma non ebbi risposte se non ripetutamente: ‘Me ne voglio andare dal commissariato San Lorenzo’ - ha ribadito ai pm -. Ricordo che quella stessa mattina riferì questa cosa… credo all’assistente capo di Montalbano, Rizzo o Galati. Ma altro non so dire. Insomma, non rimasi con Agostino perché avevo il servizio da espletare. Io gli dissi: ‘Se c’è qualcosa ti prego metti nero su bianco’. E anche lì non ebbi risposta se non ‘per favore lasciami solo’”.

Questo fatto, ha detto Barbera, è accaduto il 5 agosto 1989, “lo stesso giorno dell’omicidio”.


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Vincenzo Agostino, padre dell'agente Nino Agostino


Le intercettazioni ad Alberto Volo
Nella carriera di Salvatore Barbera, tra i vari incarichi vi è stato un frangente - seppur piccolo - in cui lo stesso è stato impiegato in attività di intercettazioni telefoniche presso la sala ascolto della Procura della Repubblica di Palermo. “Ho memoria che questo tipo di servizio da me svolto… non so come dire per essere chiaro… mi sono sentito un po’ mandato allo sbaraglio - ha detto il teste in udienza -. Io non avevo mai fatto questo tipo di attività e non ero mai stato affiancato da qualcuno all’inizio che avesse fatto questo lavoro”. “Il servizio avveniva così - ha spiegato Barbera -: si telefonava al corpo di guardia al commissariato e il collega dava il servizio. Ritengo che in questo caso qualcuno, visto che ero diverso da tutti gli altri, mi abbia contattato preventivamente per dirmi ‘domani svolgerai servizio alla sala intercettazioni presso il tribunale ecc…’. Sicuro qualcuno mi chiamò ma non sono stato affiancato da nessuno”. Inoltre, uno dei due responsabili presenti all’interno della sala intercettazioni “mi spiegò come avveniva l’ascolto, come l’eventuale riascolto e il cambio nastro. Chiamai in ufficio per chiedere quale fosse la finalità del lavoro. Mi venne detto di ascoltare le telefonate e in caso di anomalie dovevo chiamare, appuntare e vedere il da farsi. Non ricordo però chi fosse l’interlocutore”, ha precisato.

Successivamente, grazie ad una domanda dell’avvocato Fabio Repici - il quale ha chiesto al teste se ricordasse quali fossero le indagini che si stavano svolgendo nel marzo 1989 -, Barbera ha detto di non ricordare che indagini facesse il commissariato, ma “posso però dire che quella intercettazione seguiva il telefono o i telefoni (non ricordo il numero delle utenze) relativamente ad una scuola privata che riguardava Volo Alberto. Questa scuola si trovava in una traversa di Viale Strasburgo. Era la Scuola Alfieri di cui era proprietario. l’intercettazione riguardava l’utenza della scuola anche perché le informazioni vertevano sempre sugli orari, le formazioni, come si prendeva il diploma, ecc.”.


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La Corte d'Assise di Palermo presieduta da Sergio Gulotta e dal giudice a latere, Monica Sammartino


Il colloquio tra Agostino e Mannino
Successivamente, l’avvocato Repici ha posto l’attenzione sulla figura dell’allora sovrintendente Mannino Salvatore: ufficiale di polizia giudiziaria tra i più anziani del commissariato San Lorenzo nonché uomo molto chiacchierato all’interno di questo processo per i suoi presunti rapporti con ambienti borderline. Stando alle dichiarazioni dell’ispettore Domenico La Monica - sentito dalla stessa Corte lo scorso 15 ottobre 2021 -, “un collega mi disse che lui (Mannino, ndr) conosceva uno dei fratelli della famiglia Biondino. Non so a che titolo andasse a prendere dell'olio per la macchina proprio nella loro attività, vicina al Commissariato. Inoltre, un funzionario mi disse che Mannino era parente di appartenenti alla famiglia mafiosa di Carini, Pipitone". 

L'ispettore aveva anche ricordato ciò che disse a Mannino nei giorni successivi il 5 agosto 1989. "Ci fu un cambio repentino di Mannino. All'inizio sembrava addolorato e si impegnava a cercare il motivo della sua morte, poi iniziò a parlare male dicendo che l'omicidio fu 'per questione di femmine', che lui 'era una cosa inutile', un 'buzzurro' e un 'cretino'. Quando feci la relazione di servizio mi scappò davanti a Mannino di dire che io sapevo il perché lo avessero ucciso, facendo riferimento alla ricerca dei latitanti. E mi rimase impresso il suo atteggiamento: era terrorizzato". Una cosa anomala perché “era la prima volta che ho saputo che i due stavano parlando. Dico così perché non li vidi, la porta era chiusa. E non seppi nulla della conversazione. E la dipendente era appoggiata al muro a braccia conserte. Mi sono sempre chiesto che cosa si fossero detti ma non lo so”.

Il processo è stato rinviato al 18 marzo in cui verranno sentiti come testimoni: Montalbano Saverio, Merenda Rosario, Peroni Alessandro, Coppola Lorenzo e Di Trapani Nicolò.

Edited
by Riccardo Caronia

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