Dalla Falange Armata ai Papalia, al vaglio verbali del '96. Lombardo: non opinioni ma riscontri
La procura Generale di Reggio Calabria vuole scavare a fondo sulla galassia nella quale ha gravitato la ‘Ndrangheta negli anni ’90, sulla strategia stragista sposata con Cosa nostra, sulla quale si svolge il processo in corso in fase d’Appello a Reggio Calabria, sulle alte alleanze con ambienti occulti ed esterni alla mafia calabrese, sulla struttura verticistica della stessa e sulle ramificazioni storiche in Lombardia. Ed è per questa ragione che mercoledì, al processo ‘Ndrangheta stragista, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, applicato al processo, che in primo grado ha chiesto e ottenuto le condanne all’ergastolo per i boss Giuseppe Graviano, capo mafia di Brancaccio, e Rocco Santo Filippone, vertice del mandamento tirrenico per conto dei Piromalli, per il duplice omicidio degli appuntati dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo, ha chiesto la riapertura dell’istruttoria. La parola chiave ribadita più volte nel corso dell’udienza dal pg è “riscontri”, non più “opinioni”. Oggi, con la sentenza cartesiana della Corte d’Assise e una approfondita ricerca documentale svolta dalla procura generale, tutta racchiusa di recente in un’informativa da questa redatta e depositata in cancelleria, i magistrati hanno la possibilità di alzare il tiro e puntare al livello più alto della ‘Ndrangheta.
Le richieste del procuratore
Lombardo, in poco più di un’ora, ha sintetizzato i nuovi e consistenti atti depositati nelle scorse settimane riassumendo l’ordine dei lavori che la procura Generale intende seguire. Gli argomenti di maggior interesse presentati da Lombardo riguardano la Falange Armata, sigla appartenente al mondo “Gladio”, come ha poi ampiamente spiegato in aula il magistrato, la figura elitaria della famiglia dei Papalia nella ’Ndrangheta e i rapporti con Fininvest nella vicenda dell’antennista Angelo Sorrenti. Ma tanto altro ancora. “Riteniamo sia indispensabile ricostruire il ruolo dei Papalia e il ruolo della sua componente riservata ascoltando Nunziatino Romeo (pentito di ‘Ndrangheta, ndr). Riteniamo che sia indispensabile chiarire i riferimenti all’Anonima Sequestri e i rapporti con ambienti eversivi e deviati. Spiegare, alla luce delle più recenti acquisizioni, perché Falange Armata viene utilizzata a seguito dell’omicidio Mormile, proprio sulla base delle indicazioni che fornisce nel 1996 Antonio Schettini”. E ancora. “Spiegare e cercare di capire se è vero quel che dice Antonino Schettini (ex boss di ‘Ndrangheta e killer di Umberto Mormile, ndr) che parte dei fondi riservati utilizzati per il pagamento dei sequestri di persona andavano alla componente mafiosa e parte a una componente diversa. Spiegare se, all’interno di determinate dinamiche ricostruite, per esempio nel processo Gotha, in relazione ad alcuni accadimenti registrati in questo territorio (Reggio Calabria, ndr) negli anni scorsi, quei rapporti sono andati avanti ancora per anni e abbracciano anche l’esplosivo rinvenuto a Palazzo San Giorgio”. Sul punto, ha precisato Lombardo, “beneficiamo, oltre alla ricostruzione già effettuata, anche delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, anche lui uomo dei Papalia, Antonino Parisi”. Va approfondito “anche, al fine di completare i riferimenti di alcuni collaboratori, in particolare Nino Fiume, se è vero il fatto che i Papalia sono stati coloro i quali per primi, o tra i primissimi, hanno avuto rapporti con appartenenti ai servizi di sicurezza nonostante la loro carcerazione. Quindi noi riteniamo che siano presenti, in atti, le tracce, indispensabili in questa sede, per andare a verificare la fase antecedente al cosiddetto protocollo Farfalla e soprattutto a riscontrare Nino Fiume che racconta di un incontro a Platì, in occasione di uno dei tanti permessi di cui incredibilmente fruiva Mico Papalia, nel momento in cui, giunto a Platì insieme a Giuseppe De Stefano, viene bloccato, prima dell’incontro con Papalia, perché questi sta intrattenendo in macchina un colloquio con appartenenti ai servizi di sicurezza. Noi riteniamo di aver trovato le conferme rispetto al dichiarato di Fiume. Riteniamo sia indispensabili integrare i riscontri alle dichiarazioni rese da Francesco Paolo Fulci, persona assolutamente insospettabile ed estranea da determinati circuiti”.
La sigla Falange Armata
Nella sua illustrazione, carte alla mano, Lombardo ha fatto un excursus senza sosta di tutti i riscontri o possibili riscontri depositati agli atti frutto di sentenze, verbali e ordinanze raccolte scrupolosamente dalla Dda di Reggio Calabria. Grande attenzione è riposta nella Falange Armata, considerato “argomento chiave” e particolarmente “ostico” secondo Lombardo. Indagare sulla Falange Armata significa fare verifiche sulle strutture “Stay Behind” e in particolare sulla struttura “Gladio”. A parlare di Falange Armata fu già nel 1996, cioè 26 anni fa, Antonino Schettini, che insieme a Romeo, è un soggetto che nel primo grado di giudizio del processo non è stato possibile analizzare fino in fondo in quanto su di lui l’accusa non aveva ancora gli elementi investigativi di cui oggi, invece, è in possesso. Schettini, di origine napoletana, è componente di rilievo della famiglia Papalia, una delle famiglie appartenenti all’ “alta” ‘Ndrangheta. “Schettini diviene particolarmente rilevante”, ha spiegato Lombardo, “perché nel verbale del 28 novembre 1996 spiegò cos’è la Falange Armata”. La Falange Armata “non è un’invenzione propagandistica della famiglia Papalia nel momento in cui bisogna rivendicare, depistando, l’omicidio Mormile” ma “una sigla suggerita da appartenenti deviate ai servizi, come spiegano i collaboratori di giustizia”. E’ una “cosa devastante”, ha affermato Lombardo in merito al dichiarato del tempo di Schettini. E questo “oggi assume un significato superiore nel momento in cui, come osserva la sentenza della corte d’Assise, Antonio Schettini, con un candore disarmante, risponde alle domande dei vertici della Criminalpol nel novembre 1996”, ha affermato il magistrato. In quel verbale rimasto lettera morta e ripescato dalla procura reggina, Schettini descriveva la Falange Armata come “un’operazione che segue un’altra operazione precedente che la ‘Ndrangheta ha gestito insieme ad apparati deviati dello Stato in relazione ai sequestri di persona nella Locride”. “E cioè, spiegava, che a un certo punto era arrivato l’ordine da Roma che i sequestri di persona dovevano finire e ovviamente i vertici della ‘Ndrangheta, e in particolare i Papalia, hanno detto i soldi che ci fruttano i sequestri dove andiamo a prenderli? Visto che quei soldi venivano spartiti a metà tra quelle componenti deviate e la ‘Ndrangheta?”. “Schettini dunque - come ha ricostruito Lombardo - spiega che avevano detto loro che si conclude un progetto e ne inizia un altro in cui ovviamente questo sistema industriale di gestione congiunta andrà avanti e che questo progetto si chiamerà Falange Armata”. Questo, ha ribadito più volte Lombardo, “venne detto già nel 1996”. “Ed è quello che ci manca, proprio perché ora abbiamo la dimostrazione processuale di quello che significa questa sigla, del perché i primi ad utilizzarla sono uomini di ‘Ndrangheta, del perché la ‘Ndrangheta passa quel riferimento specifico ai vertici di Cosa nostra, e del perché sullo sfondo ci sono tutta una serie di situazioni difficilmente tracciabili, ora invece ampiamente tracciate, nel contatto tra la componente tipicamente mafiosa e componenti di altro tipo”.
La struttura segreta della Falange
Sempre ricostruendo l’identità della Falange Armata, argomento chiave di questa richiesta riapertura di istruttoria, Giuseppe Lombardo ha ricordato come “a forza di scavare in tutti gli archivi disponibili, abbiamo trovato, e in questo confermo di portare all’attenzione della Corte soprattutto acquisizioni documentali, il contributo dichiarativo dell’ambasciatore Fulci il quale si ritrova al vertice del Cesis”. “Fulci spiega perché Andreotti e Cossiga scelgono lui e spiega che tipo di guerra lui subisce soprattutto dalla componente riferita al Sismi e a un certo punto introduce - ha raccontato il magistrato - una serie di riferimenti ad alcuni elenchi di 16 operatori della cosiddetta ‘Sezione K’ del Gos (Gruppo operazioni speciali), che si inserisce all’interno della ‘Settima Divisione’ del Sismi”. Non solo. Lombardo ha detto di aver trovato con la Dda “documentazione negli archivi Dia centrali già declassificati in cui è presente un’organigramma riferibile alla struttura Sismi, ove, accanto al Gos, esiste il cosiddetto Nac, (Nucleo azioni coperte)”. Andando a verificare ancora più in profondità su questo Nac, ha raccontato Lombardo, “ci siamo imbattuti in una serie di approfondimenti riferibili al maggior studioso di questa materia, purtroppo deceduto, Giuseppe De Lutiis, il quale nel suo archivio lascia tracce documentali del suo studio nello spiegare che quella documentazione sottoposta alla verifica delle Commissioni parlamentari incaricate di effettuare inchieste su quei profili specifici, avevano consentito di ricostruire una mappa relazionale nella quale si individuano tre livelli di Gladio. All’interno di questi tre livelli, il nucleo di maggiore rilievo è indicato in quegli appunti come “Fal Arm”. Ovvero ‘Falange Armata’”. “Ciò significa che la componente deviata di cui parla Schettini è una struttura interna al Sismi, al Gos, al Nac”. Si tratta, ha sottolineato il pg, di riscontri documentali. “Ha ragione Schettini nel dire che il progetto congiunto tra ‘Ndrangheta e componenti deviate è riferibile ad ambiti purtroppo soggettivi, responsabilità individuali”. Ma, ha affermato con tono deciso Lombardo in un secondo momento, “io voglio i nomi e i cognomi dei soggetti che all’interno di un determinato mondo sono venuti meno agli impegni assunti in relazione all’istituzione di cui fanno parte. C’erano delle tracce pesanti e chiare. E sono tracce che noi oggi siamo in grado di inquadrare fino in fondo”. Il riferimento è a tutti quegli organi di Stato che hanno dato del tu alla ‘Ndrangheta collaborando, se non coadiuvando, i propositi criminali ed eversivi più efferati della stessa.
Falange Armata: agenzia di disinformazione
Sul punto, Giuseppe Lombardo, ha chiesto, tra le varie cose, che venga acquisita la sentenza “Italicus bis”, “emessa a conclusione di quel processo, in relazione alla strage del 4 agosto 1974”. Si può dire, come ha osservato il pg, che in quel processo i giudici pur non disponendo degli atti di cui abbiamo disponibilità oggi, avevano individuato lo scenario nella sentenza. “La Falange che disinforma e intimidisce per allontanare i sospetti da Gladio, è composta da addetti ai lavori che parlano un gergo tecnico-militare, vantano spie dappertutto e sono dei professionisti. La Falange Armata non è un’organizzazione terroristica, come si era creduto nelle indagini svolte dalla procura di Roma sulla specifica sigla, ma un’agenzia di disinformazione gestita dallo stesso servizio segreto militare”. “Ovviamente - ha spiegato Lombardo - il riferimento è al circuito del Sismi ‘Settima Divisione’”. “E da queste zone da sempre rimaste in ombra enuncia i sedici nomi che vengono spediti al Capo della Polizia e al Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri”, ha concluso il magistrato.
“Il pentagono” della ‘Ndrangheta
Nel corso dell’udienza, Giuseppe Lombardo, appellandosi alle varie sentenze che smontano l’orizzontalità della ‘Ndrangheta, confermando, invece, la sua dimensione “unitaria” e verticistica, si è soffermato anche su quello che ha definito come “pentagono” della ‘Ndrangheta. Una struttura a cinque punte ai cui vertici siedono le famiglie più potenti e occulte della mafia calabrese: i Coco-Trovato, i De Stefano, i Mancuso, i Piromalli e i Papalia. Della famiglia Papalia fa parte l’imputato del processo che si celebra dinnanzi alla corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, presieduta dal giudice Bruno Muscolo, Rocco Santo Filippone. Si tratta di cosche “caratterizzate da una sovra strutturazione, la cosiddetta componente riservata", ha spiegato Lombardo riportando le conclusioni della sentenza del processo Gotha che ha chiesto di acquisire agli atti. In particolare a guidare la famiglia Papalia erano i fratelli Antonino e Mico, che solo grazie ai processi è stato possibile ricostruire il loro ruolo trascinante. Antonino, infatti, era il vertice della ‘Ndrangheta in Lombardia, considerato, ormai “da sempre il quarto mandamento della ‘Ndrangheta”, mentre Mico Papalia, è “il vertice nazionale della ‘Ndrangheta”. Questo, ha ribadito Lombardo, “venne fuori nel 1996” sempre con il verbale rilasciato il 16 maggio da Nunziato Romeo. Mico Papalia rivestiva un ruolo “enormemente diverso da quello di tutti gli altri”, ha detto ancora il pg. “I Papalia sono tra le pochissime famiglie che hanno un vertice anche di tipo occulto. Sullo sfondo c’è sempre la P2. Le dinamiche sono quelle e quando si parla di componente massonica della ‘Ndrangheta si parla proprio di quello, di una ‘Ndrangheta che nelle sue componenti apicali vive di logiche massoniche e quindi occulte”. Sempre su Mico Papalia, Lombardo ha detto che la natura del suo ruolo, “diverso da quello di tutti gli altri, si ricava in un’informativa estesa da noi mesi fa in cui il pubblico ministero riprende in mano il suicidio di Nino Gioè, morto nel carcere di Rebibbia proprio nel momento in cui si eseguono le stragi continentali del luglio 1993, il quale lascia una lettera in cui chiede scusa di tutta una serie di accadimenti ai familiari e aggiunge solo un riferimento extra familiare nella lettera che guarda caso riguarda proprio Mico Papalia, cioè il soggetto che nel ’96 ci viene indicato come il vertice della ‘Ndrangheta”, ha spiegato. Secondo il pg “Nunziato Romeo, parlando del Mico Papalia, introduce, anche una serie di riferimenti chiarissimi al fatto che i Papalia sono famiglie che hanno anche un vertice di tipo occulto”, ha ribadito. “E cioè utilizza già nel '96 lo stesso identico linguaggio che noi iniziamo a ricostruire nel 2007 per arrivare alla componente riservata. Romeo fa poi un nome: il preside Delfino, fratello del generale Delfino”. Parliamo di un verbale importantissimo che la procura generale, insieme a diverse altre documentazioni, ha chiesto di introdurre al processo. Si tratta di quei “riscontri” che potrebbero aiutare i giudici a percorrere una strada mai battuta adeguatamente per arrivare alla verità su quegli anni terribili.
Foto originali © Emanuele Di Stefano/it.depositphotos.com
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