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L'ex killer sentito nel processo Agostino. L'11 gennaio saranno citati Contrada e Paolilli

I contatti della famiglia Madonia con uomini delle istituzioni come Arnaldo La Barbera, Bruno Contrada e Giovanni Aiello, anche noto come Faccia da mostro. Un uomo, quest'ultimo, che in Cosa nostra "era ritenuto come atteggiamento meglio di un uomo d'onore". E poi ancora le confidenze raccolte da Emanuele Piazza (l'agente dei servizi di sicurezza ucciso il 15 marzo del 1990), i ruoli di primissimo piano di Salvatore Biondino e Gaetano Scotto. Questo e molti altri gli argomenti trattati nella lunga deposizione del collaboratore di giustizia Francesco Onorato nel processo Agostino per l'omicidio dell'agente di polizia Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio, avvenuto il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini, che si sta svolgendo nell'aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo.
Un'udienza significativa, se si pensa che viene svolta nello stesso luogo e nello stesso giorno in cui, nel 1987, il presidente Alfonso Giordano lesse il dispositivo della sentenza che concludeva il maxiprocesso di primo grado (346 condannati e 114 assolti; 19 ergastoli e pene detentive per un totale di 2665 anni di reclusione). Una sentenza che venne unanimemente considerata un duro colpo a Cosa nostra. Oggi, per altri versi, il processo Agostino può offrire una nuova luce su una stagione di misteri e misfatti. 
In questo senso la deposizione di Onorato, uno dei killer dell'omicidio di Salvo Lima e dell’agente del Sisde Emanuele Piazza, il poliziotto che si occupava della ricerca di latitanti la cui storia è in qualche modo legata anche a quella del poliziotto Agostino, ha un suo peso. 
Di fatto per la prima volta in dibattimento (un primo accenno c'era stato pochi anni fa durante il processo sul depistaggio di via d'Amelio) - ha parlato di Faccia da mostro, fornendo elementi di riscontri alle dichiarazioni rilasciate da altri pentiti come Vito Galatolo e Vito Lo Forte.
Dopo aver descritto il ruolo in Cosa nostra di Gaetano Scotto (imputato nel processo come killer di Agostino) come "uno che portava l'acqua alla famiglia Madonia" e che aveva rapporti importanti con le istituzioni ("Pino Galatolo mi disse che Scotto aveva saputo da uomini delle istituzioni dove si trovava la località protetta del collaboratore Vito Lo Forte, perché voleva ucciderlo"), l'ex reggente di Partanna Mondello ha dichiarato di aver visto in più occasioni, a Vicolo Pipitone, un luogo in cui da sempre regna incontrastata la famiglia mafiosa dei Galatolo e che era stato ribattezzato “lo scannatoio dei Corleonesi”, soggetti di primo livello: "I Galatolo si recavano spesso a Vicolo Pipitone dove si incontravano anche con personaggi delle istituzioni. Gaetano Scotto era sempre di casa lì. Si strangolavano anche persone lì. Diverse volte abbiamo visto anche un certo Aiello, l’ho riconosciuto perché diverse volte l’ho incontrato a vicolo Pipitone ed era molto amico di Gaetano Scottto. Amico perché addirittura questo 'faccia da mostro', chiamato cosi perché aveva il viso sfregiato, tante volte l’ho visto con la moto una Harley Davidson. Era uno della polizia che era molto intimo sia con Gaetano Scotto che con i Galatolo ed i Madonia. Si diceva gli 'mancava solo la punciuta'. Perché aveva un atteggiamento che era meglio di un uomo d'onore. Una persona fidata che serviva a tutti".





Il rapporto con Contrada e La Barbera
Successivamente, compulsato dai sostituti pg Domenico Gozzo e Umberto De Giglio e dall'avvocato di pate civile Fabio Repici, ha anche detto di aver visto in Vicolo Pipitone anche Bruno Contrada che "era in buoni rapporti con la famiglia di mia moglie, i Graziano", ma non lo aveva mai visto con Aiello. Invece, "al cento per cento ho visto Contrada negli anni Ottanta insieme a Riccobono, Salvatore Inzerillo, i Lo Piccolo ed altri, a Barcarello".
Di Contrada aveva anche sentito parlare da Emanuele Piazza, che voleva ricercare latitanti. "Mi fece tanti nomi - ha ricordato - Quello di Contrada, di un certo Speranza, ed anche di De Gennaro... Piazza mi disse che De Gennaro non poteva vedere Contrada, Contrada non era visto bene da De Gennaro. Piazza mi diceva che De Gennaro non si fidava. Però lui, Piazza, faceva un po' il doppio gioco perché voleva sapere sia da una parte che dall’altra, era uno molto determinato in queste cose".
Piazza gli avrebbe parlato anche del poliziotto Agostino usando termini tutt'altro che lusinghieri: "Mi disse che Nino Agostino era un pezzo di..., non avevano un buon rapporto, perché agiva di testa propria. Forse non aveva voluto fargli dei favori su una perquisizione ai Mazze' che erano suoi confidenti". 
L'ex reggente di Partanna Mondello, così come disse in altri processi Onorato, ha parlato anche di altri rapporti istituzionali della famiglia Madonia, facendo il nome dell'ex capo della Squadra mobile Arnaldo La Barbera. Quest'ultimo doveva anche essere ucciso, ma proprio Nino Madonia intervenne opponendosi al delitto. E la stessa cosa sarebbe accaduto per il progetto di attentato nei confronti del sindaco di Palermo Leoluca Orlando ("Nino Madonia era contrario e quindi non fu ammazzato").
Parlando del boss di Resuttana, condannato in abbreviato proprio per l'omicidio Agostino, Onorato ha ricordato come fosse risaputo in Cosa nostra che aveva rapporti con i Servizi di sicurezza. "Loro si vantavano di avere questi rapporti - ha raccontato alla Corte - Nino Madonia era come il prezzemolo. Stava ovunque. E tutto quello che succedeva passava nelle mani sue, di Pippo Gambino e di Salvatore Biondino. Nino Madonia faceva paura anche a Riina. Anche gli altri capi mandamento avevano molta attenzione su di lui perché era uno che portava avanti i progetti a livello terroristico. Avevano apprezzamento, ma anche timore". 


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L'ex numero tre del Sisde, Bruno Contrada


La forza di Salvatore Biondino
Nel corso della lunga deposizione il pentito ha anche parlato di Salvatore Biondino ("Aveva collegamenti. Mi dava sempre informazioni, mi avvisò di non dormire a casa la notte dei mandati di cattura per la morte di Lima, mi avvisava che c'erano uomini della Dia che cercavano Salvo Madonia latitante. E ci aveva detto di sorvegliare la zona dell'Addaura perché persone delle istituzioni gli avevano detto che c'era Contorno accanto alla villa di Falcone"), e della "decina di Roma", creata alla fine degli anni Ottanta e primi anni Novanta, di cui era capo Gaetano Scotto, utile per "agganci con i politici e con i servizi segreti, o estorsioni, o traffico di stupefacenti. 
Poi ancora ha riferito del progetto di attentato nei confronti di Alberto Volo ("Mi disse Biondino che andava ucciso perché era un cornuto e un pezzo di sbirro, un estremista. Era intimo di Concutelli. Biondino mi disse che aveva avuto un problema con Concutelli, comunque con Concutelli aveva rapporti"), dei rapporti con le altre mafie ("Avevamo referenti in Calabria, Puglia e Campania, ma non erano 'Ndrangheta, Sacra Corona o Camorra. Per noi erano sempre Cosa nostra. Questi referenti erano combinati. Avevamo i De Stefano in Calabria, i Piromalli, e anche i Mancuso. In Campania erano Cosa nostra i Nuvoletta, i Bardellino e gli Zaza che ci venivano a trovare a Palermo") ed infine l'attentato fallito a Falcone, all'Addaura. Rispondendo alle domande del pm su quest'ultimo fatto, per il quale Onorato è stato condannato a 10 anni, ha ricordato come anche all'interno di Cosa nostra venne avviata una campagna per screditare Falcone "mettendo in giro la voce che era stato lo stesso magistrato ad organizzare l'attentato. Un modo per depistare, ma anche non far diventare credibile quello che diceva Falcone". 
Depistaggi che Cosa nostra, a detta del pentito, avrebbe messo in atto internamente anche per il delitto Lima ("Io stesso, che ero stato il killer, dissi che bisognava cercare chi era stato") e lo stesso omicidio Agostino ("Biondino mi disse che bisognava cercare chi era stato, perché non era Cosa nostra. La mia sensazione era che sviava. Nessuno poteva chiedere").  


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L'ex capo della mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera © Imagoeconomica


Prossimamente Contrada-Paolilli
A fine udienza la pubblica accusa ha annunciato alla Corte d'Assise presieduta da Sergio Gulotta, (Monica Sammartino giudice a latere) di voler chiamare a deporre in aula, il prossimo 11 gennaio, l'ex numero 3 del Sisde Bruno Contrada e l'ex poliziotto Guido Paolilli.Quest'ultimo è stato recentemente condannato a risarcire la famiglia Agostino, dal giudice monocratico di Palermo, Paolo Criscuoli. A chiedere il risarcimento del danno erano stati i familiari del poliziotto ucciso, il papà Vincenzo Agostino, la madre Augusta Schiera (nel frattempo deceduta) e i fratelli Salvatore, Annunziata e Flora, tutti difesi dall'avvocato Fabio Repici.

*Video realizzato con immagini di repertorio

In foto di copertina: rielaborazione grafica by Paolo Bassani

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