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Ieri la presentazione del libro scritto dalla figlia del collaboratore di giustizia e Anna Vinci

Un boss di Cosa Nostra decide di cambiare pagina e chiudere col passato iniziando a raccontare tutto agli inquirenti che, dopo avergli garantito protezione, lo abbandonano e poi permettono la sua uccisione per mano mafiosa.
E’ la storia di Luigi Ilardo, confidente dei carabinieri e mancato collaboratore di giustizia. Una storia tragica, quella dell’ex reggente di Caltanissetta, raccontata in tutti i suoi particolari dagli occhi devoti e innamorati della figlia Luana che, insieme alla scrittrice Anna Vinci, ha raccolto in un libro la vita del padre, tentando di ricostruire misteri e restituirgli una dimensione umana. Ieri, a Catania, città dove Ilardo cadde nel 1996, si è tenuta la presentazione del libro “Luigi Ilardo, Omicidio di Stato” (Ed. Chiarelettere). Insieme alle autrici, al teatro degli Ambasciatori di Catania, è intervenuto Sebastiano Ardita, magistrato catanese e oggi consigliere togato del Csm e il direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni. Nel corso della serata, i relatori hanno illustrato quella che indubbiamente sarebbe stata una delle collaborazioni con la giustizia più dirompenti della storia dell’antimafia. Luigi Ilardo, parente dei Madonia di Catania, era conoscitore dei segreti più fitti della storia di Cosa nostra: dall’organicità dell’organizzazione, ai retroscena delle stragi come quella di Pizzolungo, all’identificazione e ubicazione del nascondiglio di latitanti come Bernardo Provenzano che stava per essere arrestato dai carabinieri proprio grazie a Ilardo, salvo l’inspiegabile dietrofront di questi ultimi. Una vicenda scandalosa, questa, a lungo discussa nel corso degli anni. Ilardo, dunque, era un soggetto custode di segreti indicibili. Per Cosa nostra, e non solo. Era una bomba ad orologeria colma di verità pronta esplodere. Verità che poi, quella tragica sera di primavera, colarono via come il sangue che colò dal corpo del pentito.
Si tratta di verità, che oggi, con grande pazienza e determinazione, Luana e i suoi fratelli stanno cercando di riportare alla luce anche per restituirgli quel riconoscimento che l’Italia avrebbe dovuto concedergli molto tempo fa.


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Luana Ilardo: “Questo libro, un atto d’amore per mio padre”
La figlia di Luigi Ilardo, prendendo parola in sala, ha illustrato le ragioni che l’hanno portata a scrivere questo libro con Anna Vinci. Questo libro “è stato il mio tributo d’amore per l’uomo che ho amato di più nella mia vita e che ha lasciato oggi il posto ai miei fratelli”. “Il libro l’ho sempre visto come un grandissimo atto d’amore che chiaramente rappresenta solo la verità”, ha aggiunto. La scrittura del volume “è stato un lavoro estenuante sotto il punto di vista umano e sentimentale. Ho dovuto imparare a toccare l’argomento papà in questi anni senza far scendere lacrime”. “Venendo qua - ha raccontato al pubblico in teatro - ho pensato a lui e ho pensato a quello che gli promisi in obitorio, ‘Farò di tutto per far in modo che tu abbia la giustizia che meriti’”. “Io in realtà a quell’età non sapevo niente, cercavo giustizia in un omicidio catalogato solo come omicidio di mafia. L’unico senso, al tempo, era assicurare chi ha premuto il grilletto alla giustizia. Ma probabilmente già allora vedevo un po’ oltre”, ha affermato la donna.

“Vedevo già quel puzzle che poi ho buttato in aria e ricomposto mille volte. Mi sentivo che non esisteva quella verità che i media mi avevano portato sotto il naso”. Luana ha quindi raccontato di come ha cercato di ricostruire l’immagine di suo padre, “ritratto come un uomo senza anima, senza vita, dalle foto e delle immagini della tv”. “Raccontando la verità, ho cercato di fare un racconto completamente diverso rispetto a quello delle cronache giudiziarie. Ho voluto rendergli quella dignità umana che questa vicenda gli aveva tolto. In certi ambienti c’è sempre stata la fortissima volontà di sotterrare, insieme al corpo di Luigi Ilardo, anche la sua memoria”. “Ho dovuto ritirare fuori la sua storia, i suoi valori”. “Mio padre era tanto altro”, ha aggiunto. “Oggi mi viene difficile parlare perché sono abituata a parlare di cose più tecniche, venendo qui avevo le lacrime in macchina, penso a lui e a quello che si chiederà lì sopra e penso che mai avrebbe creduto che sua figlia sarebbe stata in grado di fare ciò che ha fatto oggi”.


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Luana Ilardo: “Mio padre ha camminato incontro alla morte essendone consapevole”
“Perché mio padre ha scelto di fare infiltrato? Credo sia stato un voler voltare pagina in grande stile, come era solito”. “Quell’infiltrazione - ha spiegato Luana Ilardo - ha permesso di fare cose importanti. Mio padre è stato il primo a spiegarci la fazione opposta di Cosa Nostra che si stava manifestando in quegli anni, è statala prima persona che parlò di Faccia di mostro, è stata la prima persona che ha parlato delle fattezze fisiche di un fantasma, Bernardo Provenzano. Luigi è stato “un uomo che ha dimostrato immenso coraggio e la cosa che mi fa sempre piangere è che lui ha camminato incontro alla morte essendone consapevole”, ha detto l’autrice del libro. La figlia del collaboratore di giustizia ha quindi riportato ai presenti un aneddoto recente.
“Giorni fa ho avuto onore e piacere di incontrare la persona che gli montò il gps prima di andare da Provenzano messo nella cinta di mio padre. Ciò dimostra ancora una volta il fatto che Ilardo ha scelto di camminare incontro alla morte. E questo lo vediamo anche il 31 ottobre, data che mi fa male ricordare, quando prima di quell’appuntamento avevamo subito furto di oro a casa, lui si è tolto il suo bracciale di valore e l’orologio e li consegnò a Colonnello Michele Riccio dicendogli che se non fosse tornato a casa avrebbe dovuto darceli perché di valore”.


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Luana Ilardo: “Mia missione è avere la verità sull’omicidio e sulle responsabilità di Stato”
A fine intervento, l’autrice ha illustrato quella che definisce come missione personale. “La mia missione è quella di far sì che prima o poi abbia nero su bianco la verità sulla morte di mio padre e le responsabilità di quello Stato che non ha saputo e voluto gestire e l’ha tradito. E’ importante per me far sì che chiunque parlasse di Ilardo sapeva del grande pericolo che stava rischiando. La sofferenza più atroce era far soffrire me e mia sorella e miei fratelli nati da poco che erano la sua nuova vita che lo Stato non gli ha concesso di vivere”. “Ho queste due realtà che camminano, quella giudiziaria e quella umana”, ha affermato. “Parliamo di vicende che hanno rattristito parte della mia vita per sempre”. La donna ha quindi fatto una serie di ringraziamenti. “E’ doveroso da parte mia ringraziare tutte le persone che mi sostengono, incluse le forze dell’ordine che ricordano mio padre come qualcuno che ha tentato di fare qualcosa di grande per questo Stato. Il ringraziamento più grande, però va ai miei fratelli e le loro mogli che per me sono tutto, sono il mio papà. Basta guardarli e lo ritrovo nel loro viso. Mi hanno dato sempre forza e coraggio di fare ciò che faccio oggi senza paura, né mafiosi né servizi segreti. Ringrazio mia figlia. A Giorgio Bongiovanni e Anna Vinci che sono diventati parte integrante, insieme ad ANTIMAFIADuemila, della mia vita. Voglio ringraziare moltissimo l’ispettore della DIA Mario Ravidà e l’ispettore Arena che mi ha aiutato tanto.
Ringrazio Sebastiano Ardita che è una persona che ho sempre stimato ed è uno di quei pochi magistrati, che fortunatamente abbiamo, insieme a Giuseppe, Lombardo, Nino Di Matteo, Nicola Gratteri e altri, che continuano a fare un lavoro encomiabile per cercare di dare a tutti noi un Paese più sicuro e più pulito che oggi, con grande rammarico, non possiamo vantare di avere. Di Ardita ho apprezzato quella componente umana che spesso in lavori di alto grado come quello che lui ricopre, viene un po’ ridimensionata, ha sempre avuto parole di conforto e sprono nei miei confronti. Era difficile uscire dalla posizione incastrata come la mia, quella della figlia del boss. Figlia del boss perché per quei quattro giorni di differenza oggi ancora qualcuno si permette di dire, non la figlia del collaboratore di giustizia, ma la figlia del boss. E io - prendete con le pinzette ciò che dico - continuo a rispondere a queste persone che se boss è questo allora sono orgogliosa di esserlo. Perché ha avuto il coraggio di far fare tanti arresti, di raccontare tutto, di portare lo Stato da Provenzano. Mio padre è stato ucciso perché aveva toccato i fili alta tensione, ha dovuto essere fermato per questo".


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Anna Vinci: un’impresa raccontare la storia di un padre ammazzato attraverso gli occhi di sua figlia
E’ poi la volta dell’autrice Anna Vinci, la quale ha aperto il suo intervento con una confessione: “Questo libro non lo volevo scrivere. L’ho fatto grazie all’amicizia e alla stima che ho nei confronti di Giorgio Bongiovanni e che mi accompagna da quando ho iniziato a frequentare dall’interno il mondo e la mente di Cosa nostra”. Un’idea editoriale nata da una telefonata in cui il nostro direttore disse alla Vinci: “C’è una giovane donna, Luana, che ha urgenza di raccontare la sua storia”. “Mi colpì quella sua urgenza”, ha detto la scrittrice.

Prima di “Luigi Ilardo. Omicidio di Stato” Anna Vinci ha regalato alla collettività altri libri autorevoli su altrettanti soggetti dal profilo spesso e ricco, le cui vite sono incardinate nei gangli della storia del nostro Paese: le biografie di Tina Anselmi e di Gaspare Mutolo. Ma per la ricostruzione del profilo, della vita e della storia di Luigi Ilardo l’esperienza è stata di ben altra natura. “Mutolo è stata una passeggiata in confronto a Luana, perché lui era così - ha detto l’autrice -: aveva fatto il killer, aiutante di Riina e quando lo conobbi era già collaboratore di giustizia. Insomma, non aveva sottotesti. Con Luana la storia è stata completamente diversa. Ci ho pensato un po’. Mi chiesi se fossi in grado di raccontare una cosa così complessa, soprattutto perché quando ci sono di mezzo i padri è tutto molto più complicato”.

Il primo passo da fare per la stesura di questo libro era un mettere in atto un’opera chiarificatrice. “Un padre amato, ammazzato, che lei (Luana, ndr) ha visto morire bisognava toglierlo dai nostri racconti perché altrimenti avremmo avuto un atteggiamento iniziale di giustificazione - ha spiegato Anna Vinci -. E questo non va bene, tanto che io e Luana ci siamo chiariti subito, perché lei non doveva raccontarmi che suo padre era bravo e buono. No. Suo padre era un boss: questo era il punto di partenza. E lei è stata coraggiosa perché ha intuito subito questo elemento”.


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Una chiarezza iniziale necessaria, senza la quale non si sarebbe potuto procedere con la tessitura di questo racconto poiché, ha ricordato la scrittrice, “i padri di per sé, soprattutto quelli amati, non sono facili da ritrovare intatti nelle loro verità attraverso lo sguardo di una figlia innamorata”. E a confermare l’amore che Luana Ilardo ha sempre provato, e tutt’ora prova, per il padre sono le lacrime e l’emozione che nel corso del suo intervento a chiusura dell’evento ha colpito il pubblico presente in sala.

Quindi “l’impostazione era chiara - ha continuato la scrittrice -. Non bisognava dire ‘papà non ammazzato’ o ‘papà ammazzato’. No. L’obiettivo era raccontare Luigi Ilardo da quando ha deciso di diventare infiltrato, attraverso gli occhi di sua figlia. Naturalmente con un inizio, perché Luana nasce - e cresce - in cui per i primi due anni suo papà è latitante, e già questo è un dolore enorme”. E ancora: “Una bambina contesa tra padre e madre perché il padre appunto non lo aveva potuto riconoscere. Fin dall’inizio è sballottata tra ricchezze e povertà come romanzo dell’800”.

Un lavoro minuzioso quello realizzato da Anna Vinci, che non ha perso occasione durante la presentazione del libro per rivendicare il suo essere “scrittrice” e non “giornalista d’inchiesta. “Noi scrittrici siamo muratrici, un po’ come i magistrati anche se in maniera diversa, perché noi dobbiamo mettere un mattone sopra l’altro - ha spiegato l’autrice -. Se ciò non avviene la struttura non regge”. Ed ora che il libro è stato realizzato e la storia di Luigi Ilardo raccontata, “la cosa più bella è che io non riesco a liberarmi di questo personaggio”. Ma il libro scritto a quattro mani con Luana Ilardo è un'opera di ricostruzione di verità offerta alla collettività. Ed è proprio il pubblico, le lettrici ed i lettori, che in questa minuziosa ricostruzione della verità hanno un ruolo fondamentale perché “il libro, lo scrittore, lo scrive soltanto una metà, dell’altra metà si deve occupare il lettore - ha continuato -. Come? In quello che non c’è scritto, nelle pause. Secondo me la pausa è una delle cose più importanti”.


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A chiusura del suo intervento, Anna Vinci ha rivolto un augurio a Luana Ilardo: “Ho visto una pièce molto bella su un aguzzino nazista che poi si rincontra con il deportato - che va in scena a Catania in questo periodo - e la cosa che mi ha colpito di più è che l’aguzzino nel momento in cui intraprende un cammino di modificazione, di presa di coscienza, se riesce ad entrare in rapporto con la sua colpa resta umano”. E ancora: “La vittima rischia di essere offesa due volte perché è ingabbiata da questo ruolo di vittima. Lui procede anche soffrendo nella colpa ed è umano, perché l’umanità è movimento. Mentre il problema della vittima è molto molto delicato, perché è giusto volere giustizia, volere riconoscimento, ma allo stesso tempo tu sei diventata un’altra persona. E dovresti tenere questa parte nel tuo cuore ed essere consapevole che sei una persona, e io sono stata contenta di averti conosciuta. Forse sono migliorata… d’altronde si migliora ad ogni età”.

Sebastiano Ardita: “Vero insegnamento è rinunciare agli orpelli della mafia”
Rimettere al centro l’uomo, i valori, il “fresco profumo di libertà”, dare la possibilità a tutti di potersi rifare una vita, anche quando si sono vissuti terribili dolori. E’ questo il cuore del discorso del consigliere togato del Csm Sebastiano Ardita tenuto durate la presentazione del libro “Luigi Ilardo Omicidio di Stato” scritto dalla storica penna di Anna Vinci.
"In questo libro Luana Ilardo racconta l’altra faccia della medaglia del mondo di Cosa Nostra, quel mondo che agli occhi dei più forse riesce a dare tutto ma che in realtà inevitabilmente distrugge. Grazie a questo libro Luana Ilardo dà la possibilità al lettore di leggere il racconto di “una battaglia per le cose giuste - ha detto Ardita - per la giustizia e per i valori che non possono prescindere dall’atto di libertà di conoscere una realtà attraverso un’esperienza personale pesante, di dolore”. Ed è da questa esperienza che Luana cerca di trasmettere al lettore che è meglio “vivere nella dimensione delle regole, della legalità, del rispetto degli altri rinunciando a questi orpelli che la vita criminale e alle cose inutili che la vita dentro Cosa Nostra ti offre. Questo è il vero insegnamento - ha detto Ardita - Chi non comprende questo non comprende nulla”.
Il consigliere togato ha definito l’omicidio del collaboratore di giustizia Ilardo come “un gravissimo fallimento nell’azione investigativa” e “istituzionale” anticipato da “drammatico presagio”, ossia quel furto in casa del vice capo di Cosa Nostra di Caltanissetta. Ilardo non riusciva a capacitarsi di come qualcuno avesse avuto il coraggio, o la sfrontatezza, di fare un atto del genere, e allora si era messo ad indagare in modo violento i suoi uomini, la sua famiglia e anche gli amici.


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Sono stati momenti drammatici, racconta la figlia di Luigi nel suo libro, come drammatica è stata, ha detto Ardita, anche quella sera del 10 maggio 1996, “era una scena che purtroppo si vede in molte altre situazioni, ma quella sera aveva qualcosa di particolare, di più pesante, c’era un’atmosfera pesante anche nell’atteggiamento di chi come noi doveva raccogliere le prove” ha detto il magistrato, “l’indomani - ha continuato - ricevetti la visita del colonnello Riccio” e vidi “la sua preoccupazione e mi disse: ‘noi abbiamo iniziato un programma di collaborazione importate, doveva essere fatta a giorni l’attività di tutela’” e sarebbe “iniziata la sua collaborazione con la giustizia”.
“Questo libro” ha continuato il consigliere togato “merita un’attenzione speciale perché dobbiamo” prendere atto di “una testimonianza importante” che raccoglie, fatti ed emozioni che “veramente non basterebbero tre vite per metterle insieme” ha detto. Luana Ilario, nel libro, racconta anche “la dimensione dei rapporti personali e gli ossequi di cui il padre veniva fatto oggetto e il benessere economico che può esserci in una famiglia di Cosa Nostra ma racconta anche l’altra faccia della medaglia: cioè la sofferenza” di quel mondo, come nel caso della ‘donna d’onore’, la quale “deve adeguarsi se sta accanto ad un uomo che ha un ruolo dentro Cosa Nostra, che deve parlare quando è opportuno e stare in silenzio quando è giusto”.

La realtà della mafia è piena di “scelte prive di alternativa” ha detto Ardita, che ti portano a vivere “mangiando carcere o rischiando di morire”. “Io credo che questo libro abbia sostanzialmente aperto una porta su questo mondo sconosciuto” quello di Cosa Nostra mettendo da parte i luoghi comuni sulla mafia. “È possibile all’interno di questo mondo cambiare? - ha chiesto infine il consigliere togato - E la risposta non può che essere sì. Perché una risposta diversa presupporrebbe che la nostra idea di contrastare il fenomeno criminale mafioso è un’idea soltanto militare - con la polizia, con le Forze dell’Ordine, con il carcere - di sconfiggere un fenomeno che ha le sue radici nel profondo della nostra società. Questo è il vero dramma che emerge dalla lettura di questo libro”.


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Letture di Our Voice: l’infanzia di Luana, il furto alla cassaforte e i presagi del tradimento
L’infanzia di Luana, le sue paure e le sue gioie, il dolore a tre anni di vedersi separata dal proprio padre, le dispute tra la famiglia paterna e quella materna per il suo cognome e la sua crescita. Troppe difficoltà, preoccupazioni, pensieri. Un vissuto forte che è stato riportato in vita ieri sera in tutta la sua profondità dalle letture di Sonia Bongiovanni e dalla recitazione degli artisti del Movimento culturale e internazionale Our Voice. Le pagine selezionate e la presentazione dei giovani hanno permesso al pubblico presente di immedesimarsi nei momenti più intensi della vita di una bambina e di una giovane donna che, senza nessuna colpa né responsabilità, è nata e cresciuta nella realtà mafiosa di una delle più potenti famiglie di Cosa nostra. Una bambina sballottata fin dall’inizio tra ricchezza e povertà, coraggiosa, intraprendente e anche spericolata, senza nessun senso del pericolo.
I giovani artisti hanno interpretato con emozione il periodo vissuto a Belluno insieme alla madre e alla nonna, quando Luana aveva pochissimi anni e il padre Luigi si trovava nel carcere di Favignana, dove sarebbe rimasto, fino a quando fu trasferito a Lecce, alla fine del 1985.

“Degli anni in Veneto, ricordo poco, a eccezione della mia nonna ubriacona che beveva latte e grappa la mattina per riscaldarsi in una casa mal ridotta senza riscaldamenti e vino a seguire per il resto della giornata. Quella casa così degradata, dove oggi da madre non condurrei mia figlia, per me aveva quel tipico odore di un’altra casa a me tanto cara, nonostante la situazione economica e sociale precaria veneta fosse ben diversa dalla mia realtà catanese. Passavo quei pomeriggi in tinello o fuori a giocare con una bici o qualsiasi cosa mi venisse prima in mano. Ogni giorno facevo sempre la stessa metodica cosa: spingi la bici, atterra poi portala in cima e vai giù a tutta velocità. Ero piccolissima e nessuno mi aveva mai insegnato a guidarla. Non riuscendo mai a frenare, andavo puntualmente a schiantare su un masso ad angolo alla casa di fronte la nostra, sbucciandomi e scorticandomi le ginocchia che sanguinavano. Credo di aver provato timore e paura alla vista del sangue solo per i primi due giorni, da lì in poi ci feci l’abitudine e neanche più una sola lacrima o lamento, per chiedere aiuto o conforto. Erano solo inutili perdite di tempo che mi distraevano e ritardavano il mio passatempo preferito”.


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Dopo quel periodo vissuto a Belluno, Luana a soli 5 anni fu costretta a tornare in Sicilia per venire cresciuta dalla famiglia paterna. Lì iniziò un periodo felice ma anche molto doloroso, un periodo di attesa per rivedere il padre e riabbracciarlo. Lo poteva fare solamente una volta al mese insieme alla nonna, se tutto andava bene, tramite le visite dal carcere che erano concesse a Luigi Ilardo. Quando quest’ultimo terminò di scontare la sua pena e divenne un uomo libero, nel 1994, Luana racconta i grandi momenti di felicità e di gioia nella famiglia ritrovata e riunita, ma anche purtroppo quelli di profondo turbamento in cui già si presagiva un futuro incerto e di morte. Così gli artisti di Our Voice hanno riportato alla luce un momento particolare vissuto da Luana, la quale, una notte, sognò l’assassinio del padre. “La mattina mi alzai più turbata e afflitta che mai. Incontrai mio padre nel corridoio, mi aggrappai a lui e, piangendo, descrissi quel maledetto sogno, quell'incubo notturno. Prendendo coraggio, e avendo anche origliato come sempre, gli dissi che dovevamo andare via. ‘Papà, ti supplichiamo scappiamo. Ti prego ascoltami, ti ricordi cosa è successo tre giorni prima della morte di nonna? Avevo sognato... e stanotte…’. Lui, sorridendo e stringendomi in un abbraccio protettivo, sminuì ciò che gli avevo appena raccontato: ‘Amore di papà, è solo un sogno... Stai serena, nessuno tocca papà!’. Smisi di piangere, cercai di calmarmi, lo facevo per lui e perché non avevo altra scelta”.

E poi ancora, il segnale più importante e più forte arrivò in quella “maledetta domenica”, così come viene descritta nel libro, in cui qualcuno entrò dentro casa loro e rubò tutto il denaro, gli ori, gli averi e i contratti immobiliari di Luigi Ilardo. Il collaboratore in quel preciso momento si rese conto che qualcuno era venuto a conoscenza del suo ruolo di infiltrato dentro Cosa Nostra e soprattutto che qualcuno era pronto a tradirlo. Per questo Luana ricorda la reazione violenta del padre e le sue indagini sfrenate e aggressive nei confronti dei suoi amici e di quelli della sorella. Luigi stava cercando un alibi diverso per convincersi che quel furto non rappresentasse in realtà un presagio. “La gravità di sproporzionate dimensioni dell’accaduto non aveva precedenti. La nostra casa e le nostre vite erano state violate e deturpate nel modo più impensabile e mai da noi neanche lontanamente immaginato. Quel furto, fu subito chiaro a mio padre, era molto di più di un ‘attacco’ economico, era la sfida lanciata da qualcuno che non aveva timore e aveva osato appunto, sfidare Luigi Ilardo e tutta la sua potente famiglia in un duello di sangue e morte, perché altra fine non poteva esistere per un affronto del genere compiuto ai danni di un uomo d’onore del suo calibro. Quel giorno cambiò le nostre vite e ancora non sapevamo noi ragazze che il peggio doveva arrivare”.


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Giorgio Bongiovanni: Ilardo, un eroe che minacciò la trattativa Stato-mafia
“Io penso che Luigi Ilardo sia stato un eroe, perché voleva raccontare tutta la verità. Era un collaboratore di giustizia, non aveva ancora firmato formalmente il contratto con lo Stato, ma lo stava per fare e appunto per questo è stato assassinato. Di fatto era un collaboratore e un infiltrato dello Stato nella mafia con la veste di boss di Cosa nostra”. Sono state le parole pronunciate dal direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni durante la conferenza. Quest’ultimo alla fine del libro, in un colloquio insieme alla scrittrice Anna Vinci, cerca di rimettere in fila da un altro punto di vista, più oggettivo, i pezzi della storia di Ilardo: la scelta di collaborare per dare una vita migliore alle proprie figlie, i colloqui confidenziali con il colonnello Michele Riccio e il loro rapporto di amicizia, il furto alla cassaforte, il mancato arresto del capomafia Bernardo Provenzano quel 31 ottobre 1995, la presa di consapevolezza che qualcuno aveva scoperto il suo ruolo di infiltrato e che presto, senza una seria protezione, sarebbe stato ucciso. E così è stato.

“Quando ha deciso di collaborare con lo Stato grazie alla presenza del colonnello Michele Riccio, della Direzione investigativa antimafia di Genova di allora, sotto il comando del direttore dell’epoca Gianni de Gennaro, Ilardo ha dato un contributo immenso, tanto che aveva portato i carabinieri alla porta del rifugio di Bernardo Provenzano. Il vertice dei Ros di allora però non dette l’ordine alla squadra pronta dei carabinieri, coordinati dal colonnello Riccio, di farlo arrestare. Da lì nascono tutte le inchieste, i processi sulla cosiddetta Trattativa Stato-mafia. Perché c’è stata una trattativa tra lo Stato e la mafia e sentenze definitive lo dichiarano. llardo è stato uno di quelli che quella trattativa inquietante l’ha provocata, perché è stato dentro il rifugio di Provenzano, aveva le cinture con le microspie, chiamava continuamente i carabinieri, ma non è entrato nessuno”.


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Il mancato arresto di Bernardo Provenzano fu il primo segnale importante che era in corso un vero e proprio tradimento nei confronti di Ilardo ed era un tradimento di natura istituzionale. In effetti, come ha spiegato Bongiovanni sia nel libro sia durante la conferenza, Ilardo si recò a Roma per incontrare Gian Carlo Caselli, procuratore della Repubblica a Palermo, Giovanni Tinebra, procuratore di Caltanissetta e la dottoressa Teresa Principato nella sede del comando Ros, per mettere nero su bianco formalmente la propria volontà di collaborare. Firmò solo una dichiarazione di intenti per iniziare a raccontare ciò che lui sapeva, mentre la firma ufficiale era stata rimandata a poco tempo dopo, al 15 maggio. “Talmente è stato ingenuo che quando è andato a Roma, dove lo aspettava il magistrato Caselli per firmare il contratto, vede alcuni carabinieri, tra cui anche il generale Mori e dice a voce alta ‘Molti attentati che sono stati addebitati esclusivamente a Cosa Nostra sono stati commissionati dallo Stato e voi lo sapete’. E dopo due giorni è stato assassinato”. Come viene raccontato nel libro, Riccio ricorda che Mori serrò i pugni, perché non si aspettava una simile esclamazione e poi cadde il gelo tra loro.

“Ormai sappiamo dai processi che la fonte è stata istituzionale, ma purtroppo ancora non abbiamo potuto vedere alla sbarra gli uomini che hanno ucciso Ilardo insieme a cosa nostra. Se fosse rimasto vivo a quest’ora avremmo avuto finalmente politici, uomini dello Stato, massoni, uomini dei servizi segreti alla sbarra o forse in carcere”, ha concluso il direttore.


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Foto © Paolo Bassani

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