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di Aaron Pettinari

E' scioccante constatare come l'Italia, o almeno parte di essa, sia un Paese che dimentica in fretta la storia, che rimuove la memoria e che con il proprio passato non riesce mai a fare i conti.
Basti pensare al fascismo, al terrorismo o alla mafia. Ci sono storie che tornano e si ripetono in un “tutto cambia affinché nulla cambi” di gattopardiana dottrina. Perché se andiamo a vedere la realtà non c’è mai stata una vera rottura con ciò che è venuto prima, solo la facciata è mutata.
Perché i fatti dicono che i funzionari sabaudi sono rimasti ai loro posti durante il ventennio così come i fascisti hanno fatto nell’Italia del dopoguerra. Le verità vengono nascoste, distorte o taciute e il popolo resta intrappolato in una favola in cui il peggio deve ancora venire.
E' questa la sensazione che si ha mettendo insieme le notizie della prossima apertura di una mostra immersiva sulla carriera imprenditoriale dell'ex premier Silvio Berlusconi e della voglia manifesta di quest'ultimo di essere eletto come prossimo Presidente della Repubblica.
Quest'ultima ipotesi è tanto agghiacciante quanto indegna anche solo nell'idea.
Eppure c'è una grossa fetta della politica (Forza Italia, Lega e Fratelli d'Italia) che spinge proprio per questa soluzione nel post Mattarella, con il premier Mario Draghi che resterebbe al proprio posto.


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Deliri e follie che si rendono manifeste in questi mesi, in attesa della decisione della Corte europea dei Diritti dell’uomo (Cedu) davanti alla quale Berlusconi ha presentato ricorso contro la sua condanna per frode fiscale. Sul punto si dovrà attendere, ma a prescindere delle logiche europee i fatti restano fatti, anche quando non vengono mostrati al grande pubblico.
E' ciò che avviene con la mostra “Piano B” che sarà visibile all'hotel Enterprise dal 17 settembre, come raccontato oggi da Il Fatto Quotidiano.
Come d'incanto in questa mostra, in cui protagonista è la scalata del Silvio Berlusconi imprenditore, scompare il lato oscuro.
Nelle immagini disegnate dell'ex cavaliere si raccontano episodi come la possibilità (ottenuta grazie all'amico Bettino Craxi, all'epoca presidente del consiglio) di trasmettere in simultanea nel Paese i suoi tre canali televisivi, dopo che nel 1984 i pretori di Torino, Pescara e Roma avevano oscurato le reti Fininvest. O ancora la sua gioia per aver convinto Mike Bongiorno a lasciare la Rai o per i successi ottenuti con il Milan, e così via.


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Da sinistra: Giuseppe Frangi, curatore della mostra, ed Edoardo Filippo Scarpellini, AD gruppo MilanoCard


Tra voci narranti, disegni e musiche, però, nulla si dice sul suo ventennio politico (in cui non mancarono le leggi ad personam) né tantomeno sull'origine delle sue fortune.
Non solo. Una pietra tombale viene messa sulle sue vicende giudiziarie.
E pensare che Berlusconi è stato pluri-indagato, pluri-imputato ed è un pregiudicato in via definitiva per frode fiscale (pena scontata).
Ma di questo Edoardo Scarpellini, l’organizzatore della mostra, non ha voluto tener conto. “Se uno guarda tutta la storia di Berlusconi, dalla fine degli anni ’50 al 1993, c’è un fil rouge che poi porta alla discesa in campo in modo molto evidente”, ha detto al collega Giuseppe Pipitone. Ed alla domanda se il fil rouge è rappresentato da Cosa nostra, ha risposto: “Io non ho le competenze per saperlo, non sono un procuratore e questo non era il nostro obiettivo: questa è un’indagine storica e sociologica”. A metà aggiungiamo noi.
Perché è così che nell'idea collettiva scompaiono i fatti ed il cittadino medio può ignorantemente “accettare” l'idea di un Berlusconi che siede al Colle come Capo dello Stato.


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Ma quali sono questi fatti dimenticati in questa narrazione revisionista?
Ricordata la condanna non si possono dimenticare le assurde considerazioni dell'ex Premier sui temi della giustizia, gli editti bulgari e quell'idea di bavaglio mai sopita contro la stampa.
Ugualmente si dimentica che Berlusconi era iscritto alla loggia massonica segreta P2 del Maestro Venerabile Licio Gelli. Una struttura che aveva elaborato un Piano di rinascita democratica che prevedeva una strategia di conquista dall’interno della politica, della magistratura, dell’informazione.
Si dimentica che Berlusconi è stato fondatore di Forza Italia assieme, tra gli altri, al condannato per mafia Marcello Dell'Utri (condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, ndr) e dal 1994 più volte presidente del Consiglio.
Non si può tacere che ancora oggi Berlusconi è indagato dalla Procura di Firenze, assieme all'ex senatore Marcello Dell'Utri, come mandante esterno delle stragi del 1993.


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La mafia e B.
E' un rapporto quantomeno ambiguo quello tra Berlusconi e la mafia. In questi anni abbiamo sentito più volte Berlusconi sostenere il proprio impegno antimafia con i suoi governi che hanno "reso permanente e inasprito il 41 bis, che sono stati arrestati 1.296 latitanti mafiosi (32 fra i principali ricercati); il Procuratore Antimafia ha avuto più poteri; sono stati sequestrati e confiscati 49.035 beni alla mafia, per un totale di 25 miliardi di euro".
Si dimentica però che Silvio Berlusconi, lo dicono le sentenze, ha pagato la mafia "cospicue somme di denaro". E non ci stancheremo mai di ricordare le motivazioni della sentenza di condanna per concorso esterno nei confronti Dell'Utri.
In quelle pagine si legge nero su bianco che per diciotto anni, dal 1974 al 1992, l’ex senatore è stato il garante “decisivo” dell’accordo tra Berlusconi e Cosa nostra con un ruolo di “rilievo per entrambe le parti: l’associazione mafiosa, che traeva un costante canale di significativo arricchimento; l’imprenditore Berlusconi, interessato a preservare la sua sfera di sicurezza personale ed economica”. Inoltre “la sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Cinà (Gaetano Cinà, boss mafioso, ndr) sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”.


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Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi


La Cassazione aveva poi evidenziato come vi fosse un “patto di protezione andato avanti senza interruzioni” in cui Dell’Utri era il garante per “la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa, in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore”. Fatti come pietre.
Nella storia di Berlusconi resta quanto emerso anche nel processo trattativa Stato-mafia, un processo che tra poche settimane si concluderà in appello.
Nell'indagine storica e sociologica condotta con la mostra manca l'episodio del 2008, anno del terzo governo Berlusconi, anticipato da una campagna elettorale in cui non erano mancati gli "elogi", suoi e del "sempre caro Dell'Utri", al compianto "stalliere" di Arcore, il boss di Porta Nuova Vittorio Mangano, che fu definito "eroe" per non aver detto nulla ai magistrati rispetto i rapporti avuti con entrambi.


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Berlusconi al Quirinale con quale senso dello Stato?
Cosa pensa di tutto questo chi propone l'elezione di Berlusconi al Colle? Cosa pensano i Cinque Stelle che già hanno accettato di governare assieme a Forza Italia a sostegno di Draghi e della sua squadra di “migliori”?
Che senso dello Stato potrebbe avere l'ex Premier che al processo Stato-mafia nel novembre 2019 scelse la via del silenzio, avvalendosi della facoltà di non rispondere?
Ma c'è un altro aspetto che vale la pena approfondire: quell'inchiesta sull'ex premier come mandante esterno delle stragi.
Il fascicolo è stato riaperto nel 2017 dopo la trasmissione di atti, pervenuti da Palermo, con le intercettazioni dei colloqui in carcere del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, effettuate nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia.
"Berlusca mi ha chiesto questa cortesia, per questo c'è stata l'urgenza” diceva il capomafia durante l’ora di passeggio con il camorrista Umberto Adinolfi nel carcere di Ascoli Piceno.


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In quelle conversazioni, avvenute tra il 19 gennaio 2016 e il 29 marzo 2017, si diceva anche altro.
E al processo 'Ndrangheta stragista proprio Giuseppe Graviano ha parlato, come imputato e non come collaboratore di giustizia, addirittura di incontri avuti in presenza di Berlusconi quando era latitante.
Rispetto all'insolito "fiume" di dichiarazioni di Graviano, ovviamente, gli avvocati di Silvio Berlusconi, con in testa Nicolò Ghedini, hanno parlato di "dichiarazioni totalmente e platealmente destituite di ogni fondamento, sconnesse dalla realtà nonché palesemente diffamatorie" indicando in Graviano uno scopo "finalizzato ad ottenere benefici processuali o carcerari inventando incontri, cifre ed episodi inverosimili ed inveritieri" annunciando che "saranno esperite tutte le azioni del caso davanti l'autorità giudiziaria". Eppure ad oggi non ci risultano querele dell'ex premier al boss di Brancaccio.
Certo è che le parole di Graviano, in carcere e fuori, se si ha a cuore veramente la ricerca della verità su quella stagione di terrore che portò alla morte i giudici Falcone, Borsellino, gli agenti delle scorte e tante altre vittime innocenti, vanno doverosamente approfondite.
Per tutti questi fatti, in un Paese normale, la folle idea di Berlusconi al Quirinale sarebbe rispedita al mittente. Ma siamo in Italia. Abbiamo avuto trattative Stato-mafia, depistaggi e mancate verità.
In un mondo così è lecito aspettarsi di tutto. Anche un pregiudicato come Capo dello Stato.

Foto © Imagoeconomica

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