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di Luca Grossi

Si apre domani in una sala dei Musei Vaticani alle 9.30 di mattina, dopo lunghi mesi di indagini, punteggiati da dimissioni e polemiche, il processo presieduto da Giuseppe Pignatone, ex procuratore capo di Roma, a carico del cardinale Giovanni Angelo Becciu (licenziato da papa Francesco il 24 settembre del 2020) potente ex-Sostituto agli affari generali della Segreteria di Stato Vaticano e di altre nove persone tra cui l'ex segretario del porporato, monsignor Mauro Carlino, Fabrizio Tirabassi, il laico che gestiva la cassa della Segreteria di Stato, gli ex vertici dell'authority finanziaria per l'antiriciclaggio, René Bruelhart e Tommaso di Ruzza, e poi - esterni al Vaticano - Cecilia Marogna, sedicente agente segreto di fiducia di Becciu, il banchiere Enrico Crasso, che per lunghi anni ha gestito gli investimenti vaticani tramite il Credit Suisse, l'avvocato d'affari Nicola Squillace, il broker Gianluigi Torzi (nel frattempo arrestato dalla Guardia di finanza di Roma e accusato dallo Stato pontificio di tentata estorsione) e Raffaele Mincione, il finanziere attorno al quale ruota l'intera vicenda.
Per fare chiarezza la vicenda di Cecilia Morgana non rientra in quella nell'immobile di Londra ma è confluita nel processo insieme ad altre pendenze contestate al cardinale Becciu. Nei mesi scorsi la donna è stata arrestata e poi rilasciata dalla Guardia di finanza di Milano su richiesta della magistratura vaticana e in diverse interviste si è presentata come un agente dei servizi segreti italiani cooptata da Becciu per operazioni di sicurezza in giro per il mondo. "Rivendico il risultato di aver costruito una rete di relazioni in Africa e Medio Oriente per proteggere Nunziature e Missioni da rischi ambientali e da cellule terroristiche", ha detto la donna al Corriere della sera. "Ho aperto la società in Slovenia per motivi geopolitici: pensavo che la prossima polveriera sarebbe stata quella dei Balcani. E per incrementare rapporti con Paesi come Georgia, Ucraina, Serbia, Bosnia, Slovenia. La mia società Logsic è specializzata in operazioni umanitarie". Inoltre la donna ha confermato di aver ricevuto un versamento di 500mila euro dalla Segreteria di Stato all'epoca in cui Becciu era Sostituto agli affari generali, ossia numero due dopo il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin: "Una grossa parte dei 500 mila euro era quella rimasta su un conto poi chiuso per mancata movimentazione. I conti erano due, appoggiati sulla Unicredit di Lubjana". L'avvocato del cardinale Becciu, Fabio Viglione, ha precisato che "i contatti con Cecilia Marognaattengono esclusivamente questioni istituzionali".


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Il magistrato, già procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone


In tutto i reati contestati agli imputati sono a vario titolo di: truffa, riciclaggio, autoriciclaggio, abuso d'ufficio, estorsione, corruzione, appropriazione indebita e peculato. Ad oggi, secondo le risultanze investigative, non vi è dubbio che truffa c'è stata, ma il nodo principale che dovranno sciogliere i magistrati sarà stabilire chi ha truffato e chi è stato truffato.
Il processo, avviato grazie alle modifiche apportate da Papa Francesco che consentono ai tribunali Vaticani di processare vescovi e cardinali, si tratta senza dubbio di un evento storico poiché mai nella storia recente della Chiesa Cattolica un cardinale si era trovato a dover rispondere in un tribunale della Santa Sede di peculato e abuso d'ufficio, nel caso specifico riguardante l'immobile al centro di Londra, a Sloane avenue 60, Chelsea. L'immobile è posto nella parte più ricca della capitale britannica e viene giudicato nelle cinquecento pagine di carte visionate dall'AGI come al centro di "un'operazione speculativa imprudente e irragionevole" che ha visto all'opera faccendieri, finanzieri, avvocati e figure femminili per creare un danno molto rilevante alle casse vaticane, dalle quali era uscito un flusso di denaro proveniente direttamente o indirettamente dall'Obolo di San Pietro. Infatti l'acquisto dell'immobile, secondo gli inquirenti, è stato avviato nel 2014, ossia quando Angelo Becciu era Sostituto agli Affari generali.
Inoltre l'ex Sostituto della Segreteria di Stato Vaticana è stato accusato anche di aver tentato di intimidire un teste chiave, di aver usato la sua posizione per spingere ad operazioni finanziarie non attinenti alla missione della Chiesa Cattolica, di aver invaso il campo riservato all'Apsa (l'ente per l'amministrazione del patrimonio immobiliare del Vaticano) e di aver usato fondi per spese personali o di aver coperto le spese di Cecilia Marogna, definita amministratrice di una società con sede in Slovenia finanziata dalla stessa Segreteria di Stato. Inoltre migliaia di euro sempre provenienti dalle casse vaticane sarebbero stati fatti giungere ad una cooperativa il cui rappresentante legale era il fratello del cardinale, Antonino Becciu. La richiesta di citazione a giudizio è stata firmata dall'Ufficio del Promotore di Giustizia, ossia la Procura, nelle persone del Promotore Gian Piero Milano, dell'Aggiunto Alessandro Diddi, avvocato al foro di Roma, e dell'Applicato Gianluca Perone.
Ma com'è venuta per la prima volta a galla l'intera vicenda?


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Papa Francesco e, alla sua destra, Angelo Becciu


Secondo gli inquirenti a settembre del 2018, quando Becciu è passato a cardinale presso la congregazione per le Cause dei santi, il papa ha richiesto all'ufficio del Revisore generale una 'revisione' sulla Segreteria di Stato 'propedeutica all'insediamento del nuovo Sostituto', il monsignore venezuelano Edgar Pena Parra. Al successore di Becciu in seguito è arrivata la notizia che il valore dell'investimento nel fondo Athena si è deprezzato e che gli altri investimenti hanno registrato perdite. Al che il porporato ha deciso di rilevare il 100% dell'immobile e di cedere le quote della società di Mincione. Per finalizzare l'acquisto, e chiudere l'intricata vicenda, ha tentato di coinvolgere lo Ior (Istituto per le opere di religione) con modalità che, però, hanno destato diversi sospetti. La stessa 'banca vaticana', infatti, non avendo ricevuto le dovute spiegazioni, ha denunciato tutto all'ufficio del Revisore generale e alla magistratura vaticana. Sulla vincenda è intervenuto lo stesso Bergoglio, il quale ha voluto precisare che "è la prima volta che in Vaticano la pentola viene scoperchiata da dentro e non da fuori". Oltretutto nello scorso agosto il papa aveva disposto con una lettera al cardinale Parolin che la cassa gestita autonomamente dalla Segreteria di Stato passasse sotto l'Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica (Apsa). La Segreteria di Stato aveva infatti gestito sino ad allora in autonomia due fondi, l'Obolo di San Pietro (pari al 6% del bilancio vaticano complessivo) e un'altra cassa di Fondi Intitolati che è stata creata da Paolo VI per gestire con discrezionalità le eventuali emergenze, pari al 3% del budget totale. Il primo a denunciare l'esistenza di un fondo fuori controllo gestito autonomamente dalla Segreteria di Stato è stato anni fa il cardinale George Pell, all'epoca prefetto della Segreteria per l'Economia. Ora Francesco ha deciso di dare un taglio netto e privare la Segreteria di Stato della sua cassa. Essa, ha spiegato il papa, "è senza ombra di dubbio il Dicastero che sostiene più da vicino e direttamente l'azione" del pontefice "nella sua missione, rappresentando un punto di riferimento essenziale nella vita della Curia e dei Dicasteri che ne fanno parte. Non sembra, però, necessario, né opportuno che la Segreteria di Stato debba eseguire tutte le funzioni che sono già attribuite ad altri Dicasteri. E' preferibile, quindi, che anche in materia economica e finanziaria si attui il principio di sussidiarietà, fermo restando il ruolo specifico della Segreteria di Stato e il compito indispensabile che essa svolge".


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L'ex prefetto della Segreteria per l'Economia vaticana, George Pell


Le ricostruzione delle indagini
Angelo Becciu, nunzio apostolico in Angola e poi a Cuba, nel 2011 è stato nominato da Benedetto XVI ai vertici della Segreteria di Stato al fianco del cardinale Tarcisio Bertone e nel 2013 ha valutato di investire i fondi a disposizione in un affare petrolifero proprio nel paese africano. A tal fine ha coinvolto Enrico Crasso - allora funzionario del Credit Suisse e storico investitore per il Vaticano - il quale, a sua volta ha contattato il finanziere Raffaele Mincione. Quest'ultimo, dapprima favorevole all'investimento nel petrolio angolano, ha proposto poi alla Segreteria di Stato un affare apparentemente più sicuro e remunerativo: l'acquisto, dilazionato nel tempo, di un immobile da lui precedentemente acquistato al centro di Londra, a Sloane avenue 60, un edificio che ha ospitato in passato i magazzini di Harrods ed ospita ora appartamenti ed uffici. A coadiuvare Becciu nell'affare, monsignor Alberto Perlasca, allora a capo dell'ufficio finanziario della Segreteria di Stato, e un dipendente laico della stessa, Fabrizio Tirabassi. Dalle carte emergerebbe che monsignor Perlasca (che non è imputato) ad un certo punto delle indagini ha cominciato a collaborare con gli inquirenti. Secondo la pubblica accusa, Mincione e i suoi soci, attraverso una serie di complicati meccanismi finanziari, hanno drenato le risorse alla Segreteria di Stato. Alla fine, secondo la stima di monsignor Nunzio Galantino, presidente dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (Apsa), il Vaticano ha perso una cifra che oscilla tra i 73 e i 166 milioni di euro.


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Vista aerea di Piazza San Pietro e della sede dello IOR


Le cause di una simile perdita, secondo la ricostruzione dell'ufficio del Promotore di giustizia, sono innanzitutto da individuare nell'iniziale valore sopravvalutato dell'immobile rispetto a quello di mercato. In secondo luogo anziché investire direttamente nell'immobile, la Segreteria di Stato ha aperto presso il Credit Suisse di Lugano - offrendo in garanzia i propri fondi - un debito di 200 milioni di dollari, pari a 166 milioni di euro, per poi rinvestirli nell'Athena Global Opportunities di Raffaele Mincione, che a quel punto gode di una notevole autonomia. In terzo luogo lo stesso Mincione ha usato una parte di questo denaro (pari al 45%) per l'acquisto dell'immobile, un'altra parte (pari al 55%) per investimenti mobiliari più o meno riusciti. Lo stesso Vatican News ne ha dato notizia scrivendo che tali investimenti 'erano in contrasto con le istruzioni della Segreteria di Stato'. Sull'acquisto dell'immobile inoltre, già gravava un mutuo con Deutsche Bank, al quale subentra a un certo punto un mutuo estremamente esoso presso un'altra entità, Cheque, sospettata dagli investigatori di essere a sua volta riconducibile a Mincione. Un ulteriore danno alle casse Vaticane è arrivato nel momento in cui lo Stato Pontificio ha cercato di sganciarsi da Mincione pagando un consistente conguaglio di 44 milioni allo stesso, ma lo fa affidandosi al broker Gianluigi Torzi il quale, secondo la pubblica accusa, era in realtà legato a Mincione. Tramite un escamotage quest'ultimo riesce con la sua società Gutt Sa a mantenere il controllo dell'investimento, che cede solo dietro compenso di altri 15 milioni di euro. Motivo per il quale il Vaticano, nell'estate dell'anno scorso, lo ha detenuto per alcuni giorni, accusandolo di tentata estorsione. A fine marzo - prima che la procura di Roma ne disponesse l'arresto con l'accusa di emissione e annotazione di fatture per operazioni inesistenti e autoriciclaggio - il giudice Tony Baumgartner, della corte di Southwark, aveva però scongelato i fondi di Torzi, affermando che sia Peña Parra che il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin avevano dato il loro assenso alla trattativa di Torzi. Una testata conservatrice statunitense, The Pillar, aveva peraltro scritto in quell'occasione che nella sentenza il giudice aveva riferito che Torzi aveva anche accusato Fabrizio Tirabassi di aver 'ricattato' diversi alti prelati. Quel che è certo è che ora il Vaticano ha messo sul mercato il palazzo di Londra. Sempre nei riguardi di Mincione l'ufficio del Promotore di giustizia, già nel 2013, aveva segnalato come attorno alla sua figura giravano voci che avrebbero dovuto allertare i piani alti della Segreteria di Stato, in particolare per la sua controversa gestione dei fondi Enasarco.

Foto © Imagoeconomica

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