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VIDEO - Il magistrato intervenuto alla conferenza organizzata da ANTIMAFIADuemila in memoria della strage di via d'Amelio





“La strage di via d’Amelio è ancora tra noi, non è finita”, a dirlo è il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato intervenendo alla conferenza di ANTIMAFIADuemila dal titolo "Strage di via d’Amelio, 29 anni dopo - continua la ricerca dei mandanti esterni" in corso a villa Trabia a Palermo. Ancora oggi infatti, secondo il magistrato, ci sono propaggini delle dinamiche che hanno riguardato quell’attentato, nonché le ombre dei personaggi che si pensa in esso coinvolti. “C’è una filiera che parte dal 1992 e arriva ad oggi”, ha aggiunto il magistrato “con tentativi di depistaggio attualissimi come quello di Maurizio Avola che dopo tanti anni dice che nella strage non c’è nessun mistero”. Poi, ha ricordato il pg, “ci sono i tentativi di depistaggio di Giuseppe Graviano che a Reggio Calabria ha depositato una memoria in cui, invece di difendere sé stesso, si preoccupa di difendere l’ex 007 Giovanni Aiello dicendo che non fu lui a partecipare alle stragi. E perché si fa carico di difenderlo? Dice inoltre che fu un magistrato e non i servizi segreti a rubare l’agenda rossa di Paolo Borsellino”. “Ecco perché - ha ribadito Scarpinato - sostengo che la strage di via d’Amelio è ancora tra noi. E questa è la cosa più inquietante. Questo potere che ha ordinato quella strage ha paura che qualche cosa possa cedere e quindi interviene chirurgicamente qua e là talvolta uccidendo. I tentativi di depistaggio, per questo, sono continui. Ci sono tentativi di depistaggio che l’opinione pubblica conosce ma ce ne sono altri che non conosce e che potrebbero passare”. “Quel che a mio parere è grave - ha aggiunto - è che la morte di Nino Gioè in carcere e quella di Luigi Ilardo sono state un atto di intimidazione, una lectio magistralis per cucire le bocche” a chi, ha lasciato intendere il magistrato, potrebbe pensare di parlare di certi temi delicati agli inquirenti. Personaggi come "Biondino, Bagarella, Graviano e Madonia, che stanno in carcere, sanno che c’è un potere capace di entrare nelle carceri e ucciderli. Sanno che se hanno dei figli un pirata della strada potrebbe investirli".


scarpinato roberto monitor


Scarpinato: “Non dobbiamo cedere a sconforto perché Borsellino non arretrò”

“Non bisogna cedere allo sconforto e in questo Paolo Borsellino ci ha dato una lezione che non possiamo dimenticare alla quale dobbiamo tenere fede. Lui non arretrò neanche davanti a quelle entità talmente forti da farlo sentire impotente sentendosi una sorta di vittima sacrificale, che doveva scendere nell’arena a scontrarsi con i leoni che lo avrebbero sbranato”. A dirlo è il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, in ricordo del giudice Paolo Borsellino, ucciso il 19 luglio 1992 con la sua scorta, durante la conferenza di ANTIMAFIADuemila “Strage di via d’Amelio, 29 anni dopo - continua la ricerca dei mandanti esterni”. “Quello che possiamo fare noi è molto meno, ovvero non rassegnarci nonostante tutto”. “Recentemente - ha raccontato - sono stato in un Paese straniero e in una stradina ho letto una scritta che mi ha fatto riflettere: “‘Se voi non ci lascerete sognare noi non vi lasceremo dormire’. Credo che possa essere un buon punto di partenza”, ha concluso il procuratore.


pettinari scarpinato

Scarpinato: “Sentenza CEDU ha abrogato decreto Falcone. Prescrizione? Si protegga anche Abele”

Se da un lato c’è un potere occulto che è in grado di intimidire i mafiosi qualora decidessero di parlare, dall’altro c’è la politica a facilitare questo lavoro e a rendere sconveniente la collaborazione con la giustizia cessando di considerarla la “conditio sine qua non” per poter accedere a benefici detentivi. E’ questo il senso che il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato ha voluto dare alle recenti pronunce della CEDU e della Consulta in merito all’ergastolo ostativo. “La sentenza della corte di giustizia europea e della corte Costituzionale hanno dato il colpo di grazia - ha detto Scarpinato intervenendo alla conferenza organizzata da ANTIMAFIADuemila in corso a Palermo. - perché hanno abrogato il decreto Falcone in quanto hanno stabilito che i cosiddetti boss irriducibili possono uscire dal carcere anche se non hanno collaborato”. “L’immediata ricaduta di questa decisione è la totale disincentivazione per la collaborazione. Perché mai un mafioso che si trova in carcere da trent’anni dovrebbe collaborare quando può uscire dal carcere semplicemente dissociandosi dopo 21 anni? Si tratta di 21 anni e non 26 perché il beneficio della liberazione condizionale si somma con un altro beneficio per cui c’è uno sconto e si arriva a 21 anni”. Tutto questo, ha sottolineato, “tenendo conto che la legge stabilisce già che i mafiosi che hanno avuto ruolo secondario possono uscire dal carcere anche se non collaborano proprio perché non hanno nulla da dire. Ma ora la si applica anche agli irriducibili, ma secondo quali diritti?”. La Corte costituzionale su sollecitazione della Corte Europea ha dovuto mettere mano alla norma vigente per tutelare i diritti anche degli irriducibili e per farlo si è dovuta adeguare passando la palla al Parlamento che, ha ricordato Scarpinato, ha un anno di tempo per rivedere la normativa. Ma in Parlamento, ha precisato il magistrato, “si giocherà una partita tutta politica perché se le forze politiche che sono impegnate in tante altre cose non trovano il tempo significa che tutto è messo nelle mani del magistrato di sorveglianza senza nessun criterio di legge. Oppure la battaglia sarà in commissione Giustizia e il clima che c’è e i rapporti di forza politici non lasciano assolutamente ben sperare se consideriamo quel che sta accadendo con la riforma del processo penale dove hanno stabilito che non conta più la prescrizione e il tempo di prescrizione per i reati”. Su questo punto, ha detto Scarpinato, “ci sono reati che secondo il codice penale si prescrivono in 30 anni, come il disastro ambientale, o il depistaggio, che si prescrive in 20 anni, non ha nessuna importanza. Se l’appello dura più di due anni e un giorno il processo si estingue. E cosa ne è delle vittime? Cosa ne è di quelli che hanno subito ingiustizia? Come si può prendersi preoccupazione soltanto di Caino e dimenticarsi di Abele? Qualcuno deve proteggere anche Abele in questo Paese”. E a proposito del clima politico, ha aggiunto, “saremo impegnati nei prossimi mesi con il referendum della giustizia che deve introdurre una pistola puntata alla tempia dei magistrati che non sono obbedienti, che non si fanno intimidire. Ogni cittadino con questo referendum potrà citare direttamente in causa il magistrato che non gli piace, il quale dovrà confrontarsi con i potenti da solo e con il loro stuolo di avvocati pagatissimi. Bisognerà difendersi continuamente da decine e decine di citazioni di giudizio”, ha affermato il procuratore. Non solo “c’è la volontà - ha ricordato - di abolire la legge Severino che stabilisce l’incandidabilità dei condannati per gravi reati”.


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Scarpinato, la macchina depistante e il Caso Scarantino come somma dei depistaggi d’Italia

“La costruzione del falso collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino è un paradigma, la somma di tutti i depistaggi realizzati dalla strage di Bologna ad oggi si palesano con quello di via d’Amelio. Dà il senso della continuità di questo potere malato che utilizza gli omicidi per motivi di carattere politico”. Ha parlato così il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato nel corso della conferenza di ANTIMAFIADuemila in merito al depistaggio di via d’Amelio ritenuto, secondo la sentenza di Caltanissetta, “il più grande della storia”, e in particolare in merito alla vicenda Scarantino. Il magistrato, nel corso del suo intervento, si è quindi concentrato sui vari depistaggi che hanno caratterizzato gli ultimi anni della prima Repubblica. “La cosa che fa riflettere è la continuità nel tempo di questo potere malato e omicida che prima utilizzò le stragi di Capaci e via d’Amelio per condizionare i nuovi assetti di potere dopo la fine della prima Repubblica e poi intervenne sistematicamente per impedire che potessero venire alla luce in sede giudiziaria le verità destabilizzanti per i nuovi soggetti politici che si celavano dietro la strage di via d’Amelio e le altre stragi”. A detta di Scarpinato si tratta di un potere “capace di intervenire tempestivamente, occultamente, chirurgicamente una volta che la maglia dell’impunità rischiava di sfilarsi in qualche punto aprendo una breccia attraverso la quale la luce della verità poteva illuminare il volto dei mandanti esterni”. Un intervento chirurgico sopravvenuto anche laddove si necessitava di silenziare voci pericolose come Nino Gioè (ex appartenente ai servizi segreti e conoscitore dei segreti sul piano stragista di Cosa nostra) o Luigi Ilardo (boss reggente di Caltanissetta divenuto infiltrato dei carabinieri). Tutti provvidenzialmente silenziati per sempre con morti inspiegabili. Morti inspiegabili come quella "del medico Attilio Manca", anche lui citato nel "ventaglio di circa 15 casi misteriosi di suicidi e omicidi che ci sono in questa vicenda delle stragi" illustrato da Scarpinato durante il suo intervento, "che ha curato Bernardo Provenzano a Marsiglia". Suicidi che hanno altresì avuto luogo all’interno delle carceri. Basti ricordare, come ha illustrato Scarpinato, il caso di Gioè, morto suicida in cella in condizioni misteriose prima che iniziasse a collaborare. Queste morti sono il segno di un “potere che riesce a entrare nel circuito più protetto, quello delle carceri”, ha concluso.

scorta scarpinato


Scarpinato: ''Borsellino ucciso per evitare facesse danni a interessi superiori alla mafia''

“Era essenziale prendere l’agenda rossa di Paolo Borsellino perché se l’agenda fosse finita nelle mani dei magistrati saltava tutto”.
A dirlo è Roberto Scarpinato, procuratore generale di Palermo e uno dei massimi esponenti della magistratura che si è occupata delle indagini sulla strage di via d’Amelio. Questa affermazione è stata fatta da Scarpinato durante il suo intervento alla conferenza di ANTIMAFIADuemila dedicata a Paolo Borsellino e alla ricerca della verità sulla sua uccisione. Un delitto, quello di Borsellino, che a detta di Scarpinato doveva avvenire insieme al furto immediato della famosa agenda rossa in quanto se la famosa agenda fosse stata letta dai magistrati, questi ultimi “avrebbero avuto le chiavi di lettura per dare un volto ai mandanti e ai registi esterni delle stragi. Ecco perché - ha spiegato il procuratore generale di Palermo - non bastava uccidere Paolo Borsellino ma bisognava prendere anche l’agenda rossa”. Del resto, ha ricordato il magistrato, “fu lo stesso Borsellino che capì, come disse alla moglie, che sarebbe stata ‘la mafia a farmi uccidere ma quando altri lo decideranno’ e quindi individuò in entità esterne superiori a Cosa Nostra coloro che volevano la sua morte”. Per Scarpinato Borsellino andava ucciso “per evitare che potesse fare un danno, non agli interessi mafiosi, ma ad interessi superiori ad essa. Bisognava evitare che andasse a Caltanissetta a raccontare tutto ciò che aveva capito sui mandanti esterni delle stragi e sul piano di destabilizzazione politica che c’era alla base delle stragi e sul ruolo dei servizi segreti”. Per fare ciò, ha commentato Scarpinato ai presenti, accorsi numerosissimi a Villa Trabia, si assistette a un “perfetto coordinamento tra i mafiosi che hanno fatto esplodere la bomba e i servizi segreti che hanno preso l’agenda”. Un furto ad opera indubbiamente di questi ultimi in quanto, ha precisato il procuratore, “per un boss mafioso era troppo rischioso prelevarla. Occorreva qualcuno che avesse una veste istituzionale insospettabile. E questo qualcuno era lì un minuto o due dopo l’esplosione, come testimoniato nei processi”.


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Scarpinato: “Strage via d’Amelio è capitolo di storia della lotta del potere in Italia”

“Più trascorrono gli anni e più si comprende che la strage via d’Amelio non è solo caso giudiziario, ma molto di più. E’ un capitolo della storia della lotta del potere in Italia, è una cartina tornasole del reale funzionamento del potere in Italia, il segreto, il ritratto di Dorian Grey e del volto feroce di alcuni settori della classe dirigente che la lotta del potere non l’hanno condotta solo con mezzi legali ma anche con stragi e omicidi”. A dirlo è il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato intervenendo a Palermo alla conferenza di ANTIMAFIADuemila organizzata in occasione delle giornate di ricorrenza dell’attentato che il 19 luglio 1992 tolse la vita al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta. Secondo Scarpinato questi fatti di sangue, come la strage di via d’Amelio, si sono verificate “dall’inizio della storia della Prima Repubblica, la cui nascita - ha sottolineato - viene tenuta a battesimo da una strage politico-mafiosa che è quella di Portella Della Ginestra di cui sono rimasti ignoti i mandanti. Dopo quella strage non c’è nessuna storia europea che si è costellata da una sequenza ininterrotta di stragi come quella d’Italia”. Una sequenza, ha ricordato, che va “da quella di Brescia sino ad arrivare a quelle del 1992-1993”.





Nuovo documentario di ANTIMAFIADuemila sulla strage di Via D’Amelio

Viene presentato questa sera nel corso dell’evento "Strage via d'Amelio: 29 anni dopo continua la ricerca dei mandanti esterni" il nuovo documentario di ANTIMAFIADuemila sulla strage in cui perse la vita il magistrato Paolo Borsellino.
“Questo documentario -
ha affermato il direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni - da un lato mostra la vicenda drammatica ed inquietante di quel 19 luglio del 1992 e dall’altro è anche un filmato che libera la nostra sete di verità. Si tratta di un video in cui raccontiamo la strage di via D’Amelio e nel quale parliamo anche dei mandanti esterni e di tutto ciò che è oscuro rispetto a quella vicenda. C’è un filo rosso che dalla strage di via D’Amelio conduce ad oggi e che ci porta fino al processo Trattativa Stato-mafia. Si tratta di un video in cui parleremo per la prima volta dei dettagli del progetto di attentato ai danni del magistrato Nino Di Matteo. Il dottore Di Matteo non è stato solo minacciato. Nel suo caso è stato effettuato un attentato sfumato per miracolo. E vedrete nel video i dettagli che a nostro giudizio sono importanti per capire che oggi, nel 2021, la mafia non solo c’è ancora ma vuole e potrebbe colpire. E mostreremo anche come la ‘Ndrangheta partecipava completamente e a pieno titolo all’attentato” ha concluso Giorgio Bongiovanni che ha anche ringraziato Lorenzo Baldo, vicedirettore di ANTIMAFIADuemila.


boccali beatrice ov


La ministra Cartabia è televisivamente simpatica, però esagera

di Saverio Lodato
Non vorremmo essere irriverenti, proprio in occasione del ventinovesimo anniversario dell’uccisione di Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Eddie Walter Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Agostino Catalano - strage di Via D’Amelio, giusto per capire di che stiamo parlando. Irriverenti verso chi ci ha lasciato la vita, per mano di mafia e di mafia e Stato e di Stato e mafia. Ci sia scusata la lungaggine, ma i retroscena di via D’Amelio sono assai controversi.
Ma il fatto è che la riforma della giustizia, di cui si sta discutendo in questi giorni, ci lascia assai perplessi.
Abbiamo letto, e abbondantemente, che questi primi sprazzi di possibile modifica, non piacciono a Gian Carlo Caselli, uno degli autentici decani della lotta alla mafia, a Palermo.
Si dice molto contrario Alfonso Sabella, che per molti anni, proprio a Palermo, lavorò con Caselli, e a stretto contatto di gomito. Addirittura sostiene che tale sarebbe la riforma di chi in vita sua non ha mai messo piede in un Palazzo di giustizia.

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tescaroli luca


Luca Tescaroli: "Convergenza di interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere che percepivano opera di Borsellino come pericolo"


"C’è innanzitutto un obbligo, un tributo al vivere democratico, alla memoria delle vittime, al dolore dei loro cari, al dolore dei sopravvissuti ed è la coscienza critica e morale della società civile, che impone questo dovere, perché senza verità non c’è giustizia. Ed è importante non dimenticare ciò che è accaduto". Queste sono state le parole di Luca Tescaroli, procuratore aggiunto del tribunale di Firenze, intervenuto in streaming alla conferenza organizzata dall’Associazione culturale Falcone e Borsellino, dal titolo “Strage via d’Amelio: 29 anni dopo continua la ricerca dei mandanti esterni”, tenutasi a Villa Trabia di Palermo.
“Sebbene vi sia un forte desiderio di dimenticare e di vivere una normalità diversa da quella che è accaduta in quegli anni del 92 e poi del 93, è molto importante che ci sia una riflessione collettiva su quello che è avvenuto. Noi dobbiamo partire da un dato di fatto che non è adeguatamente serbato nella memoria di tutti”, ha chiarito il procuratore Tescaroli. “Noi abbiamo comunque ottenuto dei risultati importanti che si condensano in un dato: quello della riconducibilità a Cosa Nostra dei mandanti e degli esecutori anche della strage di Via Mariano d’Amelio, che si è accompagnato anche alla cattura dei responsabili e all’individuazione dei beni riconducibili a costoro, alla scoperta dei depositi di armi e esplosivi. Si è riusciti ad eliminare quel terrificante potere militare di Cosa Nostra. È giusto dire che, nonostante tutto, lo Stato ha saputo reagire, lo Stato c’è ed è importante perché alimenta e deve alimentare la fiducia da parte dei cittadini verso chi opera e chi è impegnato nella ricerca continua della verità, una ricerca che non è mai venuta meno”.
Sicuramente su quella stagione stragista ci sono ancora molti quesiti a cui, come ha ripetuto più volte Tescaroli durante il suo intervento, è necessario dare una risposta: quesiti che riguardano anche e soprattutto responsabilità esterne a Cosa Nostra. Partendo proprio dalle “menti raffinatissime” di cui parlò Giovanni Falcone dopo il fallito attentato all’Addaura, il procuratore ha chiarito che “quello è un concetto che permea e attraversa tutto lo stragismo del triennio del 92-94 e alberga in ciò che si è appurato, ed è la base, probabilmente, dalla quale si possono ritenere sussistenti elementi rivelatori di presenze esterne nell’ideazione e nella esecuzione di questi attentati, che hanno fortemente condizionato lo statuto democratico del Paese”.


villa trabia fiori


Descrivendo poi il periodo che precedette il fallito attentato, il magistrato ha fatto riferimento alla “raffinata intossicazione dell’informazione finalizzata al discredito e all’umiliazione di Giovanni Falcone, con la falsa accusa contenuta in numerose lettere anonime diffuse a livello istituzionale, di aver impiegato il collaboratore di giustizia Salvatore Contorno per catturare latitanti e per eliminare appartenenti al gruppo dei corleonesi, e con la diffusione della falsa notizia dell’incontro a Palermo di Tommaso Buscetta con Antonino D'Onufrio. È stata un’attività preparatoria capace di giustificare dinanzi all’opinione pubblica l’uccisione del magistrato, di delegittimare collaboratori di giustizia, che costituivano elementi probatori fondanti del processo Maxi 1”. Il Procuratore ha poi chiarito che i “collaboratori di giustizia sono elemento centrale, fondamentale per l’accertamento della verità”. Tutto questo avveniva nel contesto storico della Prima Repubblica, fondata “su taciti accordi tra mafiosi ed esponenti dei partiti politici basati su una sostanziale non belligeranza in funzione anticomunista, che incominciava a mostrare i suoi primi cedimenti determinati sia dall’azione di magistrati, come Falcone e Borsellino, tanto osteggiati in vita, tanto osannati da morti, sia dalla progressiva caduta della contrapposizione internazionale est-ovest, e lì il germe di tutto ciò che poi si è venuto a creare”.
Ponendo infine l’attenzione sugli aspetti oscuri di quegli anni, Tescaroli ha ricordato le decine di quesiti su cui ancora non si è riusciti a fare piena luce, iniziando dall’incontro di Paolo Bellini con l’esecutore della strage di Capaci, Antonino Gioè, del “perché instillò il proposito di colpire la torre di Pisa, e ancora le ragioni e le modalità della morte di Antonino il 29 luglio del 1993 all’indomani degli attentati nelle città di Roma, Firenze e Milano, il 27 e 28 luglio del 1993. E ancora, perché e da chi sono stati manomessi alcuni supporti informatici di Giovanni Falcone”, così come la cancellazione di memorie. Inoltre ha detto Tescaroli “non sono stati verificati gli incontri di Francesco Di Carlo con esponenti dei servizi dei segreti nel carcere di Fulsatto, portatori del proposito di eliminare Falcone”, ancora “la possibile correlazione tra gli stessi con la strage di Capaci: colloqui nel corso dei quali Di Carlo indicava Gioè come soggetto idoneo allo scopo e poi verrà coinvolto nell’eccidio”. Così come “la partecipazione dell’artificiere Pietro Rampulla, tra i componenti del commando operativo, l’esperto artificiere, soggetto legato a estremisti di destra, come Rosario Cattafi, appartenente ad Ordine Nuovo”. Poi, il rinvenimento di oggetti nel luogo della strage: un “singolare del biglietto con annotazione ‘guasto numero 2 portare assistenza al settore 2’ con indicazione di una via e di un numero di telefono trovato nell’area circostante il cratere di Capaci, un guanto di lattice nell’area dell’attentato, con impronta genetica che potrebbe fare riferimento ad una donna: si noti che Gioacchino La Barbera nel descrivere le modalità esecutive dell’attentato aveva detto che coloro che hanno imbottito il condotto sottopassante l’autostrada, utilizzavano guanti di lattice tipo quello rinvenuto nel luogo dell’agguato”. Il procuratore ha poi continuato parlando dei diversi depistaggi che si sono susseguiti: quello di Francesco Andriotta, di Vincenzo Scarantino, di Salvatore Candura e di Calogero Pucci.
“Occorre comprendere se ci sia stata una finalità di occultamento delle responsabilità di altri soggetti nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere, che percepivano come un pericolo l’opera di Paolo Borsellino”, ha affermato Tescaroli, parlando prima di tutto della persona non appartenente a Cosa Nostra vista da Spatuzza nel garage oppure dell’appartamento chiesto da Giuseppe Graviano nelle vicinanze di Via D’Amelio. E ancora, le modalità di sparizione dell’agenda rossa, “una borsa passata di mano in mano. Abbiamo una certezza al riguardo: chi agì non apparteneva a Cosa Nostra”. “Abbiamo poi il dato relativo al segnale istituzionale nel corso del 92 che i mafiosi ricevettero, consistito nell’avvio della trattativa con uomini dello stato, attività svolta da esponenti delle istituzioni senza che fossero stati informati magistrati che si occupavano dalle stragi e senza una loro delega. Quindi - ha concluso il procuratore aggiunto - “ancora c’è molto da lavorare, anche se davvero importanti sono i risultati, ma noi abbiamo obbligo di continuare a lavorare per cercare di fare piena luce su quello che è accaduto".


donadio gianfranco monitor

Gianfranco Donadio: "Errore di prospettiva nel collocare Cosa Nostra al centro degli eventi stragisti '89-'94"

“Non c'è dubbio che la grande criminalità che fa affari e produce ricchezza, produce quella ricchezza perché tale ricchezza deve essere riciclata per poter tornare a integrarsi nei rapporti economico-finanziari del Paese e non solo del nostro Paese. Quindi l'equazione grande criminalità - riciclaggio è una equazione stabile direi fondamentale per comprendere la questione criminale”, ha affermato Gianfranco Donadio, magistrato della Direzione Nazionale Antimafia, intervenuto online come relatore alla conferenza intitolata “Strage via d’Amelio: 29 anni dopo continua la ricerca dei mandanti esterni”.
“Ma nella materia del terrorismo”, ha continuato, “esiste un'altra formidabile equazione che è quella che lega gli eventi terroristici al depistaggio delle indagini. Quindi come il riciclaggio rappresenta il senso dell'accumulazione della mafia, così il depistaggio rappresenta il senso per comprendere e dare spiegazione e proteggere le azioni terroristiche”. Ventinove anni dopo le stragi, Donadio ha riflettuto sul significato dell’espressione “errore di prospettiva”, utilizzata dal magistrato Gabriele Chelazzi, riferendosi alla visione che negli anni ’80 e ’90 si aveva della mafia e dei suoi rapporti con altri centri di potere emersi poi da indagini successive: “Interroghiamoci, chiediamoci, se forse noi investigatori, magistrati inquirenti, siamo o non siamo incorsi nel grande errore di prospettiva che consiste in poche parole nel collocare Cosa Nostra al centro degli eventi stragisti, dell'89 - '94 in una ricomposizione del presepe che mette in primo piano dei personaggi secondari e nasconde o colloca dietro le quinte o nell'ombra i personaggi più importanti”.


borsellino relatori streaming


Donadio: "Nelle parole di Falcone sulle menti raffinatissime c'è il suo testamento"

Donadio durante il suo intervento è ritornato sul significato che Giovanni Falcone aveva voluto attribuire all'espressione 'menti raffinatissime' dicendo che "erano menti in grado di orientare l'azione della mafia" allo stesso modo in cui "l'azione di certi ambienti eversivi veniva orientata da qualcuno" e che quelle entità erano, e sono, rappresentate da "centri occulti del potere che hanno interessi diversi da quelli di Cosa Nostra".
"Le parole di Falcone sono il suo vero testamento - ha ribadito - perché lui le scrive dopo l'Addaura" quando cioè "la morte ormai non era più un'ipotesi".
Inoltre il magistrato ha specificato che Falcone ha narrato le vicende dell'Addaura indicando entità esterne alla mafia come autori del progetto omicidiario nei suoi confronti.
Come rafforzativo al concetto che esistono altre entità oltre alla mafia che hanno agito e che stanno agendo sul piano decisionale delle organizzazioni criminali, Donadio ha raccontato che "un vecchio mafioso di Alcamo, recentemente sentito dinanzi alla Corte di Assise di Reggio Calabria, nell'ambito del processo 'Ndrangheta Stragista, questo mafioso ovviamente ha un nome, si chiama Giuseppe Ferro, ha parlato malgrado gli anni con voce ferma e convinta ai giudici togati e popolari di quella corte: che nella storia criminale di Cosa Nostra ci sono "dei fatti abbottonatissimi" che non potevano nemmeno essere conosciuti dagli esponenti di vertice dell'organizzazione". Un fatto estremamente importante poiché, ha detto, "se è vero, stravolge anche tutto quello che ci siamo detti e ripetuti sulla commissione, come centro di governo generale dell'organizzazione".
E poi ancora, "vale la pena di ricordare, mentre riflettiamo su questo 19 luglio, che quando parlava di 'fatti abbottonatissimi' Ferro stava parlando anche della strage di Via dei Georgofili" che a detta del magistrato era stata "la strage più feroce, più violenta, più devastante compiuta negli anni '90", dal momento che "la distruzione della famiglia Nencioni, e di tutti gli altri morti quella notte, non fu dovuta solo ai 120 chili di tritolo partiti da Palermo. In via dei Georgofili
esplosero all'incirca 250 chili di esplosivo, caratterizzato della presenza di sostanze chimiche degli esplosivi militari più evoluti".
Fu solo Cosa Nostra a preparare e ad eseguire la strage di Firenze?
"Questa ricostruzione dice che le 'menti raffinatissime' hanno effettivamente orientato le azioni della mafia - ha ribadito Donadio - e che l'ultimo e più oscuro capitolo della trattativa consiste, secondo il mio parere, in questo 'patto del silenzio' che ancora tiene uniti mandanti occulti, esecutori mafiosi e soprattutto co-autori".
Infine Donadio ha detto che allo stato attuale "abbiamo una capacità in più" rispetto al passato, ossia "siamo sempre più in grado di decifrare il depistaggio e attraverso il depistaggio risalire alla verità. Sembra assurdo ma come attraverso uno specchio, la ricerca e la spiegazione di tutti gli eventi di depistaggio, che hanno caratterizzato le vicende della mafia, ci aiutano a scoprire altre verità sulle 'menti raffinatissime' che hanno orientato le azioni della mafia".
Ed è proprio questo "il modo migliore di rendere omaggio a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ai poliziotti, ai carabinieri, agli altri magistrati e a tutti quelli che hanno dato la vita per non abbandonare la ricerca della verità".


relatori villa trabia

Bongiovanni: “C’è un filo rosso che unisce la strage di via d’Amelio con l’attentato a Nino Di Matteo”

“C’è un filo rosso che parte soprattutto dalla strage di Via D’Amelio e giunge ai giorni nostri. I magistrati a rischio sono tanti ma uno in particolare non è solo a rischio, non è stato solo minacciato di morte bensì condannato a morte dalla mafia e dalla criminalità organizzata tutta. Questo magistrato che noi seguiamo e saluto è Nino Di Matteo”. E’ così che il direttore di ANTIMAFIADuemila, Giorgio Bongiovanni, ha introdotto il  docuvideo inedito sulla strage di via d’Amelio e sul progetto di morte contro il consigliere togato del Csm.
“Perché via D’Amelio ha un filo rosso che conduce a Nino Di Matteo? Perché lui è il magistrato che aveva titolo e delega di indagine nella procura di Caltanissetta per indagare sulla strage di via d’Amelio. E nella strage di via d’Amelio è stato anche involucrato ingiustamente, ed è stato smentito, che lui non c’entra nulla con il depistaggio del falso pentito Scarantino. - ha proseguito Bongiovanni - Al contrario, non solo lui non centrava nulla, bensì Di Matteo è stato uno dei protagonisti delle indagini sui mandanti interni ed esterni a Cosa nostra. Interni in quanto nel cosiddetto processo ‘Borsellino ter’, che ha condotto lui assieme alla collega Maria Palma, sono stati condannati in via definitiva tutti i capi storici di Cosa nostra. Poi ha anche dato l’input per la ricerca sui mandati esterni a Cosa nostra assieme al collega Luca Tescaroli. Furono i primi ad indagare sui cosiddetti mandanti esterni Berlusconi e Dell’Utri perché i collaboratori di giustizia iniziarono a parlare in tal senso. Poi questo filo rosso giunge fino al processo Trattativa Stato-mafia. Ed è lì che le minacce subite da Nino Di Matteo diventano condanna a morte”.
Poi Bongiovanni ha evidenziato come per dire che c’è stato un attentato non è per forza necessario che scoppi una bomba: “Con le indagini che la procura di Caltanissetta ha svolto è dimostrato che c’è stato un attentato che è stato pianificato, il tritolo non è stato trovato, ma l’attentato è stato posto in essere in tanti luoghi della città.
Matteo è il simbolo dell’indipendenza della magistratura che non guarda in faccia a nessuno e vuole solo rispettare la legge nel nome del popolo. Ma questi potenti non vogliono ed hanno addirittura chiesto a Matteo Messina Denaro di uccidere Nino Di Matteo. Per fortuna Nino Di Matteo è ancora vivo, ma gli italiani devono proteggere questo magistrato. Come ha scritto Saverio Lodato Di Matteo è il Giovanni Falcone di oggi. E siccome ce ne hanno tolto uno di Giovanni Falcone noi non dobbiamo permettere che riaccada nuovamente”. Infine ha concluso: “La favoletta che la mafia non dipende da nessuno dobbiamo toglierla dalla testa. La mafia è il braccio violento dello Stato. E noi dobbiamo togliere gli uomini di Stato che abusivamente hanno occupano quelle istituzioni che usano la mafia affinché gli uomini veri dello Stato come Nino Di Matteo ed altri possano operare”.





Sonia Bongiovanni: “Pieno appoggio ai magistrati che portano avanti la lotta alla mafia e allo Stato-mafia con coraggio”

“A nome del movimento artistico e culturale Our Voice diamo il nostro pieno supporto ai magistrati che oggi portano avanti la lotta alla mafia e allo Stato-mafia con coraggio e impegno”
ha affermato Sonia Bongiovanni, fondatrice del movimento Our Voice. “Oggi siamo presenti con tanti giovani e questo mi dà tanta speranza e felicità per portare avanti quel sogno di cui poco fa parlava il procuratore Scarpinato. Salvatore Borsellino spesso racconta che suo fratello Paolo aveva un sogno: vedere questa terra, un giorno, bellissima. E questa terra è già bellissima perché sono presenti talenti e persone oneste, giovani cittadini e cittadine che ci onorano di essere italiani” ha continuato Sonia Bongiovanni che ha parlato a nome di centinaia di giovani artisti di diverse parti del mondo.
“Vorrei che si commemorassero i magistrati uccisi dalla mafia tutti i giorni e che la memoria diventi un’azione pratica da portare avanti quotidianamente. È una passione civile che noi giovani oggi abbiamo e ringrazio di cuore voi magistrati per il lavoro che fate perché noi siamo qui per appoggiarvi ed esprimerci. Lo facciamo attraverso l’arte che si rinnova nei popoli. Crediamo che l’arte possa contrapporsi a quell’orrore e a quelle ingiustizie che ancora esistono tramite la mafia, i problemi sociali e la criminalità organizzata presente anche nelle istituzioni. Dobbiamo impegnarci come giovani affinché lo Stato sia nostro perché lo Stato è nostro!”
così ha concluso la fondatrice di Our Voice che ha invitato tutti i presenti allo spettacolo ‘Il peso del sangue’ in scena il prossimo 20 luglio in Via d’Amelio a Palermo per ricordare Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta.





Giorgio Bongiovanni: "Luca Tescaroli uno dei rappresentanti dello Stato che vogliamo"

“Grazie procuratore per essere qui con noi. Volevo ricordare al pubblico che il procuratore Luca Tescaroli è stato il titolare delle indagini e dei processi sulla Strage di Capaci di primo e secondo grado e anche del processo sul fallito attentato all’Addaura. Oggi ovviamente non né può parlarne ma si sta occupando attualmente di indagini delicatissime che riguardano i supposti mandanti esterni delle stragi del ’93”
così ha presentato Luca Tescaroli il Direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni durante l’apertura dell'evento "Strage via d'Amelio: 29 anni dopo continua la ricerca dei mandanti esterni" organizzato dall’Associazione culturale Falcone e Borsellino a Palermo.
“Volevo ricordare anche che ANTIMAFIADuemila pubblicherà in esclusiva un documento in cui si racconta di come il procuratore nel ’97 fu oggetto di attentato. Molti non lo ricordano ma in Calabria un commando mafioso, probabilmente anche ‘ndranghetista (quindi Cosa nostra e ‘Ndrangheta dato che era nel territorio di quest’ultima) usò dei fucili e delle armi automatiche per attentare alla vita di questo magistrato. Ringraziamo di cuore Luca Tescaroli per essere presente qui con noi. Per noi è uno dei procuratori assieme a Roberto Scarpinato, Nino Di Matteo e altri che rappresentano il vero Stato” cosi ha concluso il suo intervento iniziale Giorgio Bongiovanni.


bongiovanni giorgio relatori


Salvatore Borsellino: “Con Paolo vivo la trattativa non sarebbe andata avanti”


“Quest'anno ho deciso di non parlare. Sono stanco di parole! Da trent'anni aspetto giustizia e verità ma queste non arrivano. Ho deciso di fare una cosa fortemente simbolica. Prima di tutto mi sono rifiutato di far unificare i due anniversari del 23 maggio e del 19 luglio. Sono cose diverse. È come se si volessero cancellare quei 57 giorni che sono stati terribili per Paolo”
così afferma Salvatore Borsellino. “Quei 57 giorni Paolo sapeva di dover morire e non è fuggito. Non ha abbandonato il suo posto. Ha continuato il suo lavoro sapendo che la morte sarebbe arrivata” continua il fratello del giudice assassinato.
“Mio fratello non è fuggito per amore. Perché Paolo, ne sono certo, sapeva che solo morendo avrebbe potuto continuare il suo lavoro. Infatti hanno fatto il più grosso degli errori: hanno fatto a pezzi lui e i suoi ragazzi ma quei pezzi sono finiti nel cuore di tanti di noi. E a tanti di noi hanno dato una forza che non sapevamo di avere” ha ribadito Salvatore Borsellino.
“Io non accetto che ci sia un giorno della memoria all'anno perché la memoria deve essere costante e non deve essere solo un ricordo”. Per questa ragione Salvatore Borsellino quest’anno ha voluto che per tutti i mesi delle stragi ci fosse un presidio di persone venute da ogni parte d'Italia in Via D’Amelio dove sua madre volle piantare un ulivo, simbolo d’amore e speranza.
“C'era qualcuno in quella strada che aspettava di togliere quell'agenda rossa dove Paolo aveva sicuramente scritto di quella scellerata trattativa stato-mafia che ha prodotto necessariamente l'accelerazione di quella strage” questa è la certezza che ha Salvatore Borsellino perché “con Paolo quella trattativa non sarebbe mai potuta andare avanti. Per questo motivo è stato eliminato e perché doveva sparire la sua agenda rossa".
Il 19 luglio l’ulivo di Via D'Amelio è stato illuminato da una luce tricolore in memoria di Paolo Borsellino e dei ragazzi della scorta: Agostino, Claudio Emanuele, Walter, Vincenzo, uniti in un simbolico abbraccio sotto quella bandiera italiana che hanno servito.
Sono state queste le parole di Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo Borsellino pronunciate durante l'evento organizzato dall’Associazione culturale Falcone e Borsellino, intitolato "Strage via d'Amelio: 29 anni dopo continua la ricerca dei mandanti esterni" tenutosi in Villa Trabia a Palermo.


baldo lorenzo relatori


Lorenzo Baldo: “Dopo 21 anni siamo ancora qui”

E’ iniziata a Palermo, a villa Trabia, la conferenza organizzata da ANTIMAFIADuemila dal titolo “Strage via d'Amelio: 29 anni dopo continua la ricerca dei mandanti”. Oltre 500 le persone presenti ad assistere all’evento, in ottemperanza alle misure anti-covid. All’evento partecipano in presenza il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, il direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni e in collegamento streaming i magistrati Luca Tescaroli (procuratore aggiunto di Firenze) e Gianfranco Donadio (membro della Direzione Nazionale Antimafia). Ad aprire la serata è stato il vice direttore della testata Lorenzo Baldo. “Eravamo qua, in questa villa, 21 anni fa quando presentammo per la prima volta il nostro progetto”, ha ricordato Baldo. “E oggi siamo ancora qua, un gruppo di amici pazzi e visionari che dietro l’intuizione di Giorgio Bongiovanni hanno voluto e vogliono portare avanti un messaggio e una lotta per rendere giustizia alle vittime di mafia, cercare la verità sulle stragi e sostenere magistrati antimafia come Nino Di Matteo così ha concluso il vice direttore di ANTIMAFIADuemila.

Foto © Paolo Bassani

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