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Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, con Alessandro Di Battista, intervenuto all'evento web organizzato da WordNews.it e Themis & Metis


20210709 lombardo dibattista play


"Ritengo compatibile con la nostra carta costituzionale mantenere l'attuale disciplina dell'articolo 4 bis e quindi mantenere inalterato quello che è l'assetto dei reati ostativi, in questo caso dell'ergastolo ostativo".
E' questo il parere del Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, intervenuto ieri all'incontro web organizzato all'interno della rubrica di WordNews.it, con Alessandra Ruffini e Francesca Scoleri (Pres. Themis & Metis). Ospite dell'appuntamento anche Alessandro Di Battista, ex deputato del Movimento Cinque Stelle, impegnato comunque nel dibattito politico. Gli argomenti affrontati sono stati molteplici, a cominciare proprio dal lavoro che attenderà il Parlamento a seguito della Pronuncia della Consulta sulla disciplina dell'ergastolo ostativo, espressa nell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario in cui si vieta di liberare i boss stragisti condannati all'ergastolo, se non collaborano con la giustizia.
Lo scorso 15 aprile la Consulta ha stabilito di “rinviare la trattazione delle questioni a maggio 2022, per consentire al legislatore gli interventi che tengano conto sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di perseverare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi”.
"Il problema - secondo Lombardo - non è legato agli interventi che fisiologicamente avvengano nell'ambito di normative complesse che certamente devono tenere in considerazione anche situazione nuove e le evoluzioni continue che le mafie e le componenti mafiose continuano ad avere. Soprattutto le spinte che per forza di cose provengono da determinanti ambienti. E' importante dire che nessuno si lascia condizionare, sopratuttto nell'ambito di quei ruoli indispensabili che passano dalla necessità di rivedere un apparato normativo che, a mio modo di vedere, necessità di interventi attualizzanti. Questo non significa che gli interventi attualizzanti debbano destabilizzare, o indebolire, il sistema antimafia italiano che, come è noto, è il più evoluto al mondo. Purtroppo abbiamo vissuto sula nostra pelle delle situazioni drammatiche che ci hanno reso particolarmente sensibili a quelli che sono gli strumenti di contrasto migliori da utilizzare nella continua ricerca di verità, difficili e scomode, ma io ritengo indispensabili".
Quindi ha proseguito: "Certamente si dibatte da anni di quelli che sono i limiti da utilizzare perché la legislazione antimafia sia particolarmente efficace. Il dibattito attorno ai cosiddetti reati ostativi, oltre che all'ergastolo ostativo, è un dibattito assolutamente aperto da tempo. Ed è necessario confrontarsi con serietà su queste tematiche, senza lasciarsi trasportare da un'emotività che non giova, a mio modo di vedere, in un dibattito complesso come quello riferibile agli istituti di cui ci occupiamo.
E' noto il contenuto dell'articolo 4 bis dell'ordinamento penitenziario. E' noto che i vincoli mafiosi non sono vincoli che si interrompono con la carcerazione, proprio perché la caratteristica propria delle organizzazioni criminali tende a creare vincoli indissolubili. E' noto che i precetti costituzionali devono assolutamente essere osservati, e devono essere osservati, come mi è capitato di dire più volte, considerando la Carta costituzionale come il primo e più importante strumento antimafia. Tutto deve essere reso compatibile, e io ritengo che sia ampiamente compatibile con la nostra Carta costituzionale, mantenere l'attuale disciplina dell'articolo 4 bis e quindi mantenere inalterato quello che è l'assetto dei reati ostativi, in questo caso dell'ergastolo ostativo".
E ancora ha aggiunto: "Questo non significa che non si debba affrontare il tema, in linea con tutta una serie di indicazioni che, a mio modo di vedere, anche la Corte costituzionale ha ritenuto di evidenziare, nel momento in cui ha scelto di non effettuare interventi demolitori dando la possibilità al legislatore di trovare una serie di correttivi che mantengano inalterato il contrasto antimafia senza distruggere in alcun modo quello che è un assetto normativo assolutamente indispensabile a fronte di verifiche di compatibilità costituzionale. Da questo punto di vista penso che sia arrivato il momento, forse, di discutere in maniera seria, approfondita e documentata di strumenti così importanti. E che questo credo sia corretto sia demandato al nostro legislatore nella misura in cui, certamente, è un dibattito che deve essere affrontato con soluzioni che poi debbano essere stabilizzate nel corso degli anni".
"Io - ha proseguito il magistrato - non sono mai stato a favore di interventi che in qualche modo vadano a occuparsi di situazioni straordinarie o eccezionali. Io ritengo che il vero contrasto antimafia si faccia quotidianamente applicando fino in fondo le regole e soprattutto avendo il coraggio di scelte che non sono certamente delle scelte facili".

La restaurazione del Governo Draghi
All'evento è intervenuto anche l'ex grillino Alessandro Di Battista il quale, senza mezzi termini, ha affermato di non trovarsi più d'accordo con le scelte del Movimento Cinque Stelle "che hanno pregiudicato il percorso di cambiamento del Movimento". A suo modo di vedere sarebbe "in atto una subdola restaurazione nel nostro Paese" testimoniata dal fatto che "non c’è nessuna indignazione al fatto che si potrebbe pensare a Berlusconi presidente della Repubblica. Non succederà ma c’è qualcuno che lo sta proponendo. E questo non indigna più nessuno. La verità è che oggi la lotta alla mafia non fa parte dell’agenda politica di questo governo. E secondo me è ridicolo pensare che un partito fondato da un uomo vicino alla mafia (Marcello Dell'Utri), condannato in via definitiva per concorso esterno, e che ha fatto da tramite tra Silvio Berlusconi e Cosa nostra palermitana - e c’è una sentenza definitiva che ce lo accerta e una in primo grado, quella della Trattativa, che dice addirittura che Berlusconi pagò Cosa nostra da presidente del consiglio - possa veramente portare lotta alla mafia". E tutto ciò avviene anche "con un centro sinistra che negli anni si è sporcato le mani".
Di Battista, intervenuto dalla Bolivia, ha parlato delle "enormi relazioni tra ‘Ndrangheta e produzione di droga in Latinoamerica. Sono tutte tematiche che Lombardo conosce perfettamente. Io ho studiato tematiche come la trattativa Stato-narcos che venne portata avanti in Colombia a cavallo tra la fine anni '80 e inizio anni '90. Anche in Colombia vi fu una trattativa dei cartelli di Medellin con il governo colombiano affinché Escobar continuasse a comandare in carcere. Il carcere duro non rompe il vincolo mafioso e Escobar è riuscito ad avere un accordo con lo stato. In quel caso furono i narcos a cercare lo Stato mentre qui in Italia è avvenuto il contrario, è stato lo Stato a cercare la mafia per mettersi d’accordo".
Secondo Di Battista "attaccare l’ergastolo ostativo, anche se lo faranno i migliori giuristi con le migliori intenzioni umanistiche e quasi religiose, non funziona perché la lotta alla mafia è una guerra. Oggi non c’è nulla che i mafiosi temano di più del carcere duro senza alcun tipo di privilegio e regalia in assenza di un reale pentimento".

L'allarme sui pentiti
Secondo Di Battista, in questo momento, vi è un forte attacco, da parte di certi giornali, dopo che "Forza Italia arriva al governo dopo diversi anni", verso "una serie di pentiti. Non tutti, ma quelli che citano la trattativa come Brusca". "Io - ha aggiunto l'ex pentastellato - credo che se Brusca non avesse tirato in ballo la trattativa dicendo che Riina gli aveva detto che 'si sono fatti sotto e gli ho fatto un papello lungo un chilometro'. Quindi ci sono attacchi ai pentiti, non tutti. Ci sono attacchi a una norma che mira a garantire soltanto a chi si pente, dopo aver verificato la veridicità del pentimento, sconti di pena. Oggi della lotta alla mafia non frega più nulla a nessuno, basta vedere una serie di semplificazioni sugli appalti che porteranno regalie al crimine organizzato, dal fatto che di trattativa non si parla più. E invece è importante parlarne perché i magistrati sono anche esseri umani e hanno necessità di un sostegno popolare. Ma come si può parlare di sostegno popolare se non si parla più di lotta alla mafia, se i pentiti vengono attaccati, se vengono costantemente nascosti i contenuti delle sentenze.
I magistrati sono sempre più abbandonati, minacciati come negli anni '90, sono minacciati, vivono una vita di inferno come i colleghi fatti saltare in aria dai boss, e in generale viviamo un momento in cui l’attenzione della pubblica opinione è molto molto bassa".
"Se la Costituzione venisse applicata - ha proseguito l'ex politico - è evidente che già la Costituzione sarebbe una lotta alla mafia, esattamente come ha detto Lombardo". E poi ancora: "In Europa conoscono poco la mafia e certe dinamiche, me ne sono reso conto parlando con parlamentari stranieri, perché la mafia così come noi non l’ha avuta nessuno e se ce l’hanno avuta è perché l’hanno esportata italiani. Trovare questo giusto compromesso ma aumentare ancor di più le armi in mano dei magistrati. Bisogna continuare ad essere duri contro gli irriducibili e serve fare un upgrade della lotta alla corruzione, strumento principale per le cosche di avvicinarsi alla politica. Oggi la corruzione non si fa più con le bustarelle, oggi la corruzione si muove con le maxi consulenze. Oggi le mafie hanno sacche di denari ancor più grandi perché la pandemia le ha favorite. Per questo serve un rafforzamento dei fondi anti-racket per evitare che nuovi poveri si infilino nel giro del racket che insieme all’usura e al traffico di droga, che anch’esso aumenterà per le conseguenze psicologiche della pandemia e delle sue conseguenze, sono le principali armi del crimine organizzato".

Il contrasto alle mafie
Sul tema del contrasto alle mafie è tornato nuovamente il procuratore aggiunto di Reggio Calabria. Secondo Lombardo "i concetti chiave sono tre: formazione, informazione e disinformazione. Il problema serio è che il contrasto alle mafie non può essere un contrasto estemporaneo. Richiede un lunghissimo percorso formativo che consenta di comprendere soprattutto che cosa è oggi il sistema criminale di tipo mafioso e come si manifesta un sistema enormemente più evoluto rispetto a quello ricostruito in passato.
Secondo dato: i dati giudiziari devono essere divulgati e conosciuti esattamente in linea con quello che è il contenuto dei processi. E' cioè necessaria una corretta informazione. Perché è evidente che al di fuori delle aule di udienze, quindi fuori dai circuiti professionali, quello che le mafie sono diventate nel corso degli anni non è adeguatamente raccontato. Non è correttamente ricostruito, questo genera distorsioni in quelli che sono i percorsi di conoscenza che bisogna rendere fruibili anche al di fuori del circuito dei cosiddetti tecnici o comunque degli operatori professionali". Secondo Lombardo tutto ciò non avviene. "Non so dire se perché non c'è un'adeguata formazione anche di chi è tenuto a raccontare che cosa sono le mafie oggi e quali sono i risultati raggiunti - ha proseguito - Certamente, da osservatore perché ancor prima di essere un magistrato sono un cittadino come tutti gli altri, vi dico che l'informazione sui fenomeni mafiosi non è aderente ai risultati processuali. E questo genera distorsioni di conoscenza che a loro volta, poi, provocano ricadute molto gravi in relazione a chi è chiamato a riconoscere la mafia nella vita di ognuno di noi, al di fuori di quelli che dicevo prima essere i circuiti professionali. Cioè il cittadino, attraverso un sistema che non lo informa, è in grado di rendersi conto di avere a che fare con un circuito mafioso oppure no?
Io ritengo che non sia in grado di capire, oggi, che cosa sono le mafie. Quindi non è in grado, come cittadino, di contrastarle. Perché il primo contrasto, ancor prima del lavoro al quale siamo chiamati a fare e sono chiamati a fare tutti quelli che operano in un determinato ambito, lo deve fare il cittadino quotidianamente. Ma per rendersi conto di qual è il primo ostacolo da frapporre alle mafie, ovviamente, le mafie devono essere riconosciute".
Lombardo si è poi concentrato sul terzo elemento, ovvero le "gravi forme di disinformazione". "Per arrivare a risultati definitivi nei confronti del sistema mafioso, e quindi delle grandi componenti mafiose, è necessario ed indispensabile obbligare ad una corretta informazione. Perché la corretta informazione diventa la base di virtuosi percorsi formativi. Siamo in grado di fare questo? Fino a quando questo non avverrà il circuito di cui stiamo parlando andrà incontro ad evidenti limiti operativi e, quindi, a risultati troppo parziali. Il sistema deve reagire in maniera unitaria e deve assolutamente beneficiare di circuiti informativi che racontino fino in fondo le mafie per quello che sono. Effettivamente certo che è una guerra. Dal momento che siamo chiamati a porre in atto azioni di contrasto nei confronti di un fenomeno che mi sembra assolutamente vivo e vitale, noi dobbiamo contrapporre azioni assolutamente decise. Senza però dimenticare quello che deve essere l'assoluto rispetto delle regole dettate dal legislatore tanto in ambito Costituzionale, quanto in ambito ordinario. Noi siamo chiamati a fare quel tipo di lavoro nel rispetto delle regole, ma le regole devono essere certe e soprattutto le regole che funzionano non vanno, a mio modo di vedere, cambiate. Questo è la base di tutto. Non voglio dire che non ci possono essere revisioni, ma devono essere revisioni ispirate davvero dall'intenzione di migliorare l'azione di contrasto, non di indebolirla".

L'indispensabile verità
"Io - ha evidenziato Lombardo - ho una consapevolezza che si è formata negli anni. La consapevolezza ruota attorno al fatto che la strada è ancora molto lunga. Ed è una strada lunga e difficile nella misura in cui percepisco che se non si riescono a mettere a posto quelle che sono le verità di base non si arriverà mai a fornire elementi di valutazione che consentano davvero la disarticolazione di un sistema criminale che genera un indotto mafioso spaventoso. Il problema non è soltanto ciò che è mafia. Il problema è in Calabria, visto che stavamo parlando di Calabria, tutto ciò che vive di mafia. E' questo che va spiegato fino in fondo. Proprio perché se non si interrompe questo circuito davvero deviato, vizioso, assolutamente inaccettabile in una realtà democratica come la nostra, non si arriverà mai ad allontanare le persone da quelle che sono le tentazioni che la mafia è in grado di generare. Siamo ancora lontani da questo tipo di risultato. E saremo sempre lontanissimi da questo risultato se non si riuscirà ad avviare un'inversione di tendenza nella capacità di raccontare quello che sono le mafie".
Nel definirsi preoccupato, sotto questo punto di vista, Lombardo ha evidenziato come "la verità sia indispensabile non solo perché va ricostruita quotidianamente, ma perché va raccontata per quella che è. Purtroppo gli ambiti mafiosi sono molto più ampi rispetto a quelli che sono stati finora descritti. Il vero sturmento antimafia su cui bisogna investire in tutti gli ambiti che in qualche modo sono parte di questo movimento di contrasto è proprio la sensibilità del cittadino che non è solo un problema culturale".

La scelta dei cittadini
Il nodo centrale, secondo il magistrato - è legato "alle alternative legali che bisogna dare in determinati territori. Cioè il cittadino non deve arrivare a dover scegliere tra legale e illegale. Nei nostri territori deve esistere solo la legalità. Noi ci batteremo per questo e dobbiamo farlo tutti insieme nelle sedi proprie, ognuno nell'ambito di sua competenza. Questo significa fare squadra. E per questo dobbiamo tutti impegnarci fino in fondo, costi quel che costi. Non ci sono alternative. Nessuno di noi ha alternative. Tutti dobbiamo fare fino in fondo il nostro dovere. Ci riusciremo? Se ci riusciremo e lo faremo nello spirito che sto cercando di argomentare, davvero inizierà il percorso che davvero porterà alla fine delle mafie. Purtroppo, però, questo percorso non mi pare che sia arrivato ad un punto di non ritorno che ci possa consentire, in un prossimo futuro, di pensare che i sistemi criminali di tipo mafioso possano essere sconfitti a breve. Questo non significa che il nostro impegno debba venire meno. Anzi vuol dire che da domani tutti noi dobbiamo impegnarci ancora di più. Io - ha concluso con forza - lo farò".

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