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L'avvocato Repici: "Scotto curava i rapporti con apparati deviati dello Stato"

"Intendiamo dimostrare che l'imputato Gaetano Scotto ha pianificato ed eseguito con Nino Madonia il duplice omicidio. Vogliamo provare ciò che è accaduto, a partire dai fatti: il poliziotto Nino Agostino svolgeva la ricerca di latitanti e per questo è entrato in contatto con ambienti dei Servizi tramite l'ispettore e amico Guido Paolilli, avendo modo di verificare il rapporto di contiguità di certi soggetti con Cosa nostra. E questo è uno dei motivi della sua eliminazione". E' così che il sostituto Procuratore nazionale antimafia Domenico Gozzo (applicato al procedimento e rappresentante dell'accusa assieme al sostituto procuratore generale Umberto De Giglio) ha introdotto davanti alla Corte d'Assise di Palermo presieduta da Sergio Gulotta (Monica Sammartino giudice a latere), l'atto di accusa nel processo per il duplice omicidio dell'agente Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, uccisi il 5 agosto del 1989. Imputati sono il boss Gaetano Scotto, accusato d'omicidio, e un amico della vittima, Francesco Paolo Rizzuto che risponde di favoreggiamento. 
Al contempo il sostituto Pg ha evidenziato l'interesse di esponenti delle istituzioni ad occultare le vere cause dell'omicidio "così come provato e riscontrato dai numerosi depistaggi successivi allo stesso omicidio che si inserisce all'interno di una catena di omicidi avvenuti tra il 1989 ed il 1990, in particolare quelli di Emanuele Piazza, Gaetano Genova e Gaetano Palazzolo".  
Al contempo, ha spiegato il magistrato alla Corte, si cercherà di dimostrare che Francesco Paolo Rizzuto "dopo essere uscito a pescare con Nino Agostino, il giorno prima dell'omicidio, ha poi assistito all'esecuzione, salvo poi tacere per lungo tempo e riferire poi fatti non rispondenti al vero". 
Anche l'avvocato di parte civile Fabio Repici, legale della famiglia Agostino, ha evidenziato come i boss di Scotto e Nino Madonia (questi già condannato all'ergastolo in abbreviato lo scorso 19 marzo) "hanno ideato, progettato ed eseguito l'omicidio di Nino Agostino e Ida Castelluccio. Scotto oltre ad essere uomo d'onore della famiglia Arenella unitamente a Madonia era delegato in Cosa nostra ad intrattenere relazioni tra l'organizzazione ed apparati deviati dello Stato". "Questa rete relazionale - ha aggiunto Repici - è nata ben prima del 1989 ed è il risultato di una convergenza di interessi, cointeressenza e compartecipazione attiva a pratiche criminali tra il mandamento mafioso di Resuttana, guidato da Madonia, gli apparati deviati della polizia di Stato, del Sisde e di esponenti neofascisti quali Pierluigi Concutelli, che aveva rapporti diretti con lo Scotto, e Alberto Volo".
Secondo Repici Agostino e la moglie sono stati uccisi per una "pluralità di causali, la prima delle quali lo svolgimento, da parte del poliziotto di attività ultronee rispetto a quelle di ufficio. Agostino aveva compiti di pattuglia nel commissariato di San Lorenzo, ma in realtà svolgeva attività, non a titolo personale, di ricerca dei latitanti più importanti di Cosa nostra". Inoltre "nella primavera 1989 aveva avvitato un'attività di collaborazione diretta con il magistrato Giovanni Falcone". "La partecipazione del poliziotto Agostino ad attività extra ordenem - ha aggiunto Repici - riguarda sia la ricerca di latitanti sia quando Alberto Volo era un testimone che rendeva dichiarazioni al dottore Falcone il quale aveva incaricato lo stesso Agostino di svolgere nei suoi confronti una attività di tutela. Volo infatti era uno snodo di dichiarazioni che riguardavano il territorio di Resuttana, in cui formalmente ricadeva il commissariato San Lorenzo (dove prestava servizio Agostino)".
L'omicidio, secondo il legale, avvenne anche per "impedire che Agostino denunciasse, avendole potute percepire dall'interno, le relazioni di contiguità tra gli esponenti degli apparati di polizia, in particolare della Polizia di Stato, e degli apparati di sicurezza, in particolare il Sisde, con Cosa nostra". In quel contesto si inseriva anche il poliziotto Giovanni Aiello, anche noto come "Faccia da mostro", in quanto "esponente di un grumo deviato di apparati di polizia e di intelligence - ha detto Repici - che ha visto partecipi anche il dottor Bruno Contrada, Arnaldo La Barbera, titolare delle indagini sin dall'immediatezza, e l'ispettore Paolilli, insieme ad altri". 
Sulle richieste delle parti, che hanno illustrato le fonti di prova e le liste testimoni che vorrebbero sentire nel processo, la Corte scioglierà la riserva nella prossima udienza, prevista il prossimo 9 luglio

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