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Nella requisitoria il procuratore aggiunto di Reggio Calabria spiega la trasformazione della criminalità organizzata calabrese, fino alla bomba del 2004 a Scopelliti

Non interlocutore, ma istituzione. Non semplicemente capace di infiltrare un sistema, ma in grado di governarlo. La direzione strategica della ‘Ndrangheta si è presa Reggio Calabria e le sue strutture politico-istituzionali e ne ha fatto strumento di un piano di dominio raffinatissimo, declinato su più livelli e pensato per durare decenni. È questo il quadro che emerge dalla quinta giornata di requisitoria, affidata oggi nuovamente al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e destinata a durare per ancora quattro udienze.

L'istituzionalizzazione della 'Ndrangheta e l'indotto mafioso
“Oggi qui - dice il magistrato - stiamo parlando di politica come fenomeno esclusivamente mafioso, senza in alcun modo fare ricorso ad artifizi verbali volti ad allontanare realtà che fanno parte del sistema criminale. Questo stiamo facendo qui oggi”. Perché questa è la terra “dell’indotto mafioso”, in cui “ci sono persone che non sono ‘Ndrangheta ma vivono di ‘ndrangheta. È questo il concetto nuovo di Gotha. E perché l’indotto mafioso sia penalmente perseguibile non bisogna fare un errore iniziale, cioè di considerare esterno chi esterno non è, perché nessuno si fa comandare per tanti anni da qualcuno che è esterno”. Nello specifico, emerge dal lungo intervento, gli avvocati Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, padroni indiscussi della politica reggina e veri registi dell’evoluzione politico-criminale della città e non solo.

Il ritorno “a casa” del crimine mandamentale
"Dal processo - sottolinea Lombardo - avete una certezza: i De Stefano la politica l'hanno fatta molto bene. L'hanno fatta consentendo alla 'ndrangheta di divenire padrona assoluta di tutte le dinamiche pubbliche. Questa è la risposta che il processo ci ha dato. E sono fatti che abbiamo pagato tutti". È accaduto ed è potuto accadere in un momento molto preciso, cioè quando il crimine mandamentale è tornato nelle mani di un De Stefano. Giuseppe, il secondogenito di don Paolino, ha ricevuto da Pasquale Condello “lo scettro” che il padre aveva passato al suo braccio destro dell’epoca nel 1982, “quando ha capito che il potere reale non si mostra”. E con la ‘Ndrangheta visibile nuovamente ai piedi di un membro del casato, l’avvocato Giorgio De Stefano è potuto tornare ad ambiti più defilati, invisibili e consoni al suo storico ruolo. Da lì è partita la strategia che ha trasformato i clan in istituzione. Un disegno "schermato agli occhi distratti di chi anteponeva al rilievo penale ricadute sociali” a cui De Stefano e Romeo lavoravano da tempo.

Il ruolo di Scopelliti
Per realizzarlo, servivano gli uomini giusti per garantirlo, come Alberto Sarra, e le pedine da muovere, come Giuseppe Scopelliti. Che non aveva i contatti, i rapporti, il pedigree e forse la stoffa per essere uno dei protagonisti, ma di quelle “meccaniche” era elemento. In quel momento storico “il braciolettone” - così lo definiva intercettato Paolo Romeo - era funzionale alla realizzazione di un piano ben preciso e per questo è stato scelto. Ma non ha mai potuto emanciparsi da chi come un golem lo ha sempre indirizzato. E lo ha imparato a sue spese quando ha tentato di farlo. Era il 2004, da sindaco “guidava” il Comune da scarsi due anni. O almeno, era lui la faccia pubblica di un’istituzione trasformata nello strumento di realizzazione di un programma criminale. “Il disegno - ricostruisce il procuratore Lombardo - è più grande di lui. Scopelliti ad un certo punto lo capisce indipendentemente dall’ambizione. Ci sono tantissime situazioni da armonizzare, perché ci sono spinte e controspinte che vanno bilanciate. C’è un progetto delicatissimo che riguarda le società miste, c’è lo strumento finanziario delicatissimo come il decreto Reggio, che ha un equivalente solo in Roma capitale che per questo ha una legge speciale. Roma Capitale d’Italia, Reggio capitale della mafia. Il decreto Reggio è uno strumento delicatissimo perché nel bilancio di Reggio - come la vicenda Fallara insegna - le voci sono fasulle, ma i soldi sono veri. E questi soldi veri in un determinato momento storico sono le società miste”.

Destino da cane di mandria
Che Paolo Romeo abbia un ruolo da protagonista in quella fase, ricorda Lombardo, lo dimostrano le conversazioni in cui - intercettato - spiega ai funzionari come si utilizzano i fondi del decreto Reggio, dimostrando una maggiore dimestichezza di chi per mestiere dovrebbe saperlo maneggiare. Del resto, quello strumento finanziario era fin da principio una delle leve su cui la direzione strategica della ‘Ndrangheta puntava a mettere le mani e il piano era congegnato da tempo nei minimi dettagli. E Scopelliti fin da principio è stato cesellato per esserne strumento. “Nel 2004 - spiega il magistrato - si sta realizzando quello che Romeo ha programmato: il “braciolettone” va sostenuto, deve fare il cane di mandria, ma deve essere circondato da persone di fiducia perché deve capire chi comanda. Quando necessario bisogna colpirlo, bisogna ricordargli chi ha le redini in mano”. E come Romeo aveva previsto, succede. Scopelliti “pensa di potersi rendere autonomo, si sente davvero sindaco, tenta di dimenticarsi chi lo ha messo lì e perché”. Ecco le tensioni dell’estate 2004, quando la sua maggioranza traballa e la sua popolarità tocca i minimi storici.

La bomba del 2004? Una pagliacciata
Ma Scopelliti - spiega Lombardo - “non può essere abbandonato, deve subire le pressioni che il sistema gli manda e deve capire che quel sistema è anche in grado di recuperarlo e ricollocarlo anche meglio di prima. Ecco l’esplosivo di palazzo San Giorgio, quella pagliacciata dell’esplosivo dell’ottobre 2004. A cosa serve quell’emerita pagliacciata? Quella bomba serve a creare Scopelliti sindaco antimafia e a mandare a Scopelliti una serie di messaggi: ‘Tu finisci quando diciamo noi e tu diventi il numero uno se noi decidiamo in quel senso’. Infatti superata quella crisi del 2004 Scopelliti torna ad essere il soggetto incaricato, torna ad 'essere e fare il cane di mandria'”.

Registi occulti
Di quella bomba che ai più sempre è sembrata sospetta, di recente ha parlato anche il neopentito Seby Vecchio - per sua stessa ammissione “ex poliziotto, ex politico, ex uomo del clan Serraino ed ex massone” - che di quella stagione è stato uno dei protagonisti e di Sarra era uomo. “Era una bufala” ha detto chiaramente in aula, proprio al processo Gotha. “Ho parlato in prima persona sia con i politici che persone della ‘ndrangheta. Era tutto preparato. Era un attentato per accreditare un peso politico maggiore a Scopelliti”. Ed ha indicato anche la regia. “I servizi - spiega - erano interessati a blindare la persona di Peppe Scopelliti affinché prendesse tutto e per tutto. Alla fine c’era sempre il lato economico. Più che fortificarlo Scopelliti, bisognava inventarlo, strutturarlo e portarlo avanti dal nulla nell’interesse delle consorterie ‘ndranghetistiche, di Paolo Romeo e dei De Stefano. È una convergenza tra consorterie ‘ndranghetistiche e servizi finalizzati a rendere più solida la figura di Scopelliti”.

Foto tratta da: Agenzia DiRE

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