Ieri sera la trasmissione Atlantide, condotta da Andrea Purgatori, è tornata ad occuparsi di mafia e sistemi criminali partendo dalla “casa delle stragi”, nel quartiere di Fondo Pipitone, a Palermo, dove Cosa Nostra incontrava agenti e funzionari di polizia, uomini dei servizi segreti e dove si decisero gli omicidi eccellenti di Rocco Chinnici, Carlo Alberto dalla Chiesa, Ninni Cassarà, dei due poliziotti Nino Agostino ed Emanuele Piazza e il fallito attentato dell’Addaura contro Giovanni Falcone.
Proprio questo delitto mancato è stato ricostruito grazie all'importante contributo del giornalista-scrittore Saverio Lodato, nostro editorialista che al tempo, come corrispondente de L’Unità, ottenne da Giovanni Falcone la famosa dichiarazione sulle “menti raffinatissime” che si nascondevano sull'attentato.
“L’attentato all’Addaura nella sua villa rappresenta un doppio simbolo della storia palermitana - ha ricordato Lodato a Purgatori -. Intanto perché segna il punto più alto dell’isolamento di Falcone all’interno del mondo dell’antimafia già tre anni prima della strage di Capaci. Ma sono anche un simbolo perché per la prima volta si dimostra la fallibilità di un attentato organizzato da mani mafiose. Ma oserei dire che c’è anche un terzo livello simbolico che avremmo tutti capito anni dopo, ma che Falcone capì quel giorno. Giovanni Falcone capì che ormai era finita la favoletta della mafia che a Palermo, in Sicilia, da 30, 50, 100 anni organizzava tutto da sola”.
Lodato ha quindi raccontato alcuni particolari di quella giornata: “Vengo a trovare Falcone quasi su sua sollecitazione perché quell’isolamento che precedeva il suo agguato all’Addaura avrà un’ulteriore sottolineatura naturalmente e Falcone ci teneva a dire una cosa: che aveva capito che dietro la mafia c’erano delle menti raffinatissime che guidavano e concordavano in perfetta sintonia quali erano gli obiettivi, scopi e tattiche della stessa mafia. In quell’occasione lui mi fece un nome: Bruno Contrada, uno dei massimi dirigenti del servizio segreto civile. Contrada, come noto, ha avuto modo di ritornare su questa mia dichiarazione e ricordo, precisando molto correttamente che lui non poteva sapere se Falcone me l’avesse detto o meno, ma volendo anche aggiungere che lui non riteneva di appartenere al novero delle menti raffinatissime alle quali faceva riferimento Falcone”.
Certo è che dopo quel fallito attentato contro Falcone si scatenò un “fortissimo 'tam tam' per dire che eravamo di fronte ad un attentato finto; che questo attentato se lo era organizzato Giovanni Falcone in preda al suo protagonismo per poterlo sventare e raggiungere il culmine della sua celebrità. Tempo dopo, dopo il 1989, ebbi modo di chiedere a Giovanni Falcone un giudizio su alcuni dei massimi rappresentanti della lotta alla mafia a Palermo. E anche in quella occasione Giovanni Falcone fu 'tranchant'. Era arrivato, nell’88, il nuovo capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera e si era insediato da qualche mese il nuovo alto commissario Domenico Sica”. Proprio quel La Barbera che “sarà l’autore principale, il regista e l’esecutore principale della creazione del finto pentito Scarantino. Si saprà dopo che era appartenente ai servizi e che era a libro paga di Cosa nostra. Tutto questo allora non si sapeva. Ma Giovanni Falcone di fronte a questi due nomi - Sica e La Barbera - mi disse testualmente: 'Sono venuti a Palermo per fottermi'”.
Secondo il giornalista “il giorno del fallito attentato all’Addaura è l’inizio dell’agonia di Falcone. Ma è anche l’inizio del tramonto della favola che Cosa nostra facesse o potesse fare tutto da sola. Da quel momento in avanti sarà sempre più chiaro che Cosa nostra era il braccio armato, il braccio militare di pezzi deviati dello Stato, dei servizi segreti, delle istituzioni, di pezzi della massoneria, di pezzi di un’imprenditoria siciliana e non solo. Questo blocco di potere viene in qualche modo svelato dall’attentato all’Addaura perché Falcone capisce che non è solo la mafia.
Il fatto stesso che a 32 anni di distanza non abbiamo ancora la certezza sul giorno esatto in cui dovesse accadere l’agguato, se cioè doveva accadere il giorno della scoperta del tritolo, quando in questa villa erano presenti ospiti di Giovanni Falcone la dottoressa Carla Del Ponte ed il giudice Claudio Lehman che venivano dalla Svizzera per incontrare Falcone, o il giorno prima, ci dice quanto sia stato difficile individuare questa verità”.
Rispondendo ad una precisa domanda di Purgatori su quella che fu la reazione, al tempo, degli organi di informazione Lodato ha ricordato amaramente che al tempo si era affezionati “ad una narrazione comoda che la mafia faceva tutto da sola, non prendesse input da nessuno anche se l’agguato all’Addaura aveva dimostro esattamente il contrario. Falcone, ancora in vita, poco prima dell’agguato che culminerà a Capaci con la strage, viene accusato da moltissimi giornali e televisioni di essere stato colui che aveva richiamato Tommaso Buscetta - in quel momento sotto protezione in America - per farlo venire clandestinamente a Palermo armandogli la mano per fargli uccidere i Corleonesi che stavano sterminando la vecchia mafia di allora”. Ed infine ha concluso: “Se parliamo di depistaggio l’Addaura è la sede, l’atto di nascita della grande madre di tutti i depistaggi che poi sarebbero venuti negli anni a venire con la strage di Capaci e quella di via d’Amelio”.
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La rubrica di Saverio Lodato
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