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L’attore in occasione del 25 aprile: “Per l’Italia dovrebbe essere la giornata più importante”

E’ in pensione Moni Ovadia ma è sempre occupato con mille idee e progetti. Il telefono gli squilla di continuo, anche durante la nostra intervista. Lui però si dimostra sempre disponibile e “polite” (come direbbero gli inglesi). Una disponibilità ancora maggiore se il motivo per cui viene interpellato ha a che vedere con la festa della liberazione dal nazifascismo di cui oggi si celebra il 76° anniversario. Un tema, questo, carissimo all’attore di origine ebraica sefardita che da sempre, da uomo di sinistra (quella vera), è in prima linea contro i rigurgiti neo fascisti in Italia che affronta con discorsi taglienti, durissimi (memorabile il suo intervento a Parma il 25 aprile di due anni fa) e i suoi spettacoli teatrali. Denuncia e arte, dunque. Sono questi i cavalli di battaglia di Moni Ovadia a sostegno della lotta antifascista che, dice, “è il sinonimo della democrazia”.

Oggi, 25 aprile, Alcide De Gasperi, padre della Patria, istituì la festa della liberazione. Quale importanza assume questa giornata per Moni Ovadia? E quanto è significativa per la nostra comunità?
Io sono un antifascista per storia personale e per vocazione, quindi per me questa è ovviamente una giornata dalla massima importanza. Io l’antifascismo lo pratico da tutta la vita, non solo il 25 aprile. Per l’Italia questa giornata dovrebbe essere la più importante perché dalla resistenza antifascista è uscita la Costituzione Repubblicana. La legge che governa tutti i cittadini italiani, cioè la legge prima, è antifascista. Quindi coloro che continuano a rifiutare l’antifascismo e che continuano ad avere nostalgie del fascismo devono rendersi conto che questo mette in predicato il senso della loro appartenenza all’Italia perché cittadino italiano è quello che ha un rapporto di lealtà e di osservanza della Costituzione repubblicana e l’antifascismo è strutturalmente parte della Costituzione. Dunque la festa del 25 aprile dovrebbe essere proprio la festa di tutti gli italiani, nessuno escluso. Dico dovrebbe perché non lo è ancora.

Come ha fatto l’Italia a cadere nella morsa del fascismo?
Le ragioni sono molteplici. Alcune di queste affondano nella prima guerra mondiale, l’Italia la combatté dalla parte dei vincitori ma fu una guerra che portò gravissimi danni economici al Paese oltre alla frustrazione dovute al fatto che l’Italia non ottenne tutto ciò a cui aspirava. Naturalmente questo ha suscitato i risentimenti di una parte della popolazione italiana, ha mobilitato gli ultranazionalisti. Cominciò quindi questo movimento di impianto reazionario rivendicante i valori del nazionalismo, non della nazione. Cominciò una sorta di pandemia nazionalista. Il nazionalismo porta per sua vocazione regimi di tipo totalitario. Al tempo iniziarono a dire che la patria era stata tradita per colpa di qualcuno, come i socialisti e i comunisti. E allora venne promossa un’ideologia che mirò a gettare colpe su tutti quelli che non aderivano al progetto fascista. Poi ci sono altre ragioni strutturali per come si è costituita l’Italia. Forme di conformismo, servilismo, provincialismo, opportunismo molto diffuse in una parte della popolazione che temeva di perdere i propri privilegi e allora si guardava l’uomo d’ordine come colui che li avrebbe difesi. Parlo ad esempio della piccola borghesia, dei proprietari agrari e della borghesia industriale. E' così che il fascismo prese il potere con il sostegno di forze economiche che lo finanziarono e che permisero al fascismo di estendersi e costruire milizie armate che imperversavano per il Paese picchiando rappresentanti del mondo democratico: socialisti, comunisti, anarchici, liberali o cattolici. Se erano oppositori venivano picchiati e talvolta uccisi. Il re di fronte a queste cose dette a Mussolini il governo dopo la marcia su Roma e il Duce nel corso di poco distrusse la democrazia, abolì i sindacati e cancellò la libertà di stampa.
Il fascismo dunque nasce da una debolezza culturale dei ceti che sono meno strutturati nel valore della democrazia e che sono pronti ad appoggiare l’uomo forte che risolve tutti i problemi. In realtà però l’uomo forte portò poi il Paese in una guerra catastrofica.


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"25 aprile 1945 - Donne partigiane" by Comune di Reggio Nell'Emilia is licensed under CC BY-NC-ND 2.0


Unione, libertà, fratellanza, trasparenza. Questi sono i valori e i sentimenti nobilissimi che hanno caratterizzato quel momento storico e gli anni successivi con la fondazione della Repubblica e la nascita della Costituzione. Ma qualcosa è andato perduto in questi anni, di chi è la colpa?
C’è una precisa responsabilità. Nel dopoguerra ci fu un governo di unità nazionale e l’allora ministro della giustizia Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista, fece una cosa che si doveva fare in qualche modo, ovvero concesse l’amnistia alla stragrande maggioranza degli ex fascisti. Questo anche su sollecitazione degli americani che non si fidavano dei partigiani delle formazioni della sinistra al governo perché il nuovo nemico era diventato l’Unione Sovietica. Agli americani andavano più a genio gli ex fascisti, perché più manipolabili data la loro feroce natura anticomunista e antisocialista e i loro sentimenti revanscisti. Questi uomini ritornarono nei gangli vitali dello Stato, furono messi ai vertici della polizia, delle prefetture e dei servizi segreti. In qualche modo hanno lavorato contro la democrazia italiana. A questo dobbiamo anche la gran parte delle stragi di Stato, ecco perché pian piano il Paese è regredito dal punto di vista di una vera democrazia.

Cosa rappresenta la Costituzione per le giovani generazioni?
La Costituzione dovrebbe essere la bussola della vita sociale ma anche relazionale. Purtroppo però non lo è perché in troppi non la conoscono. Fossi ministro della Pubblica Istruzione metterei l’obbligo dello studio della Costituzione e non farei uscire nessuno dalla scuola dell’obbligo se non si conoscono almeno i primi articoli a memoria e commentati. Perché questo vuol dire essere cittadini, altrimenti siamo sudditi. Un giovane deve sapere che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, questo ha un significato sociale e politico.

Cosa pensano i partigiani sopravvissuti e ancora in vita dell’Italia di oggi?
Molti partigiani si sono sentiti traditi. Fortunatamente però i movimenti politici della sinistra sono stati al loro fianco in questi anni, ma diventando sempre più deboli perché la sinistra non ha saputo elaborare le sconfitte della storia e si è trovata in condizioni di immobilità culturale e ha ceduto moltissimi dei suoi valori per il potere.

A questo proposito, negli ultimi anni una fetta della popolazione italiana in condizione di povertà estrema si è avvicinata ai partiti di destra, alcuni dei quali palesemente nostalgici del fascismo. Partiti che cavalcando l’onda del disagio hanno promesso interventi sociali e politici a sostegno dei lavoratori e delle piccole medie imprese. Insomma tutti quei baluardi che hanno caratterizzato i partiti socialisti e comunisti. In questo senso possiamo dire che la sinistra ha fallito?
Certo, e lo possiamo dire a voce alta! I partiti della destra hanno capito e hanno occupato questo territorio lasciato libero dalla sinistra. D’altronde quando un partito come il Partito Democratico, che si dichiara di centro-sinistra, prende i voti ai Parioli e non li prende in periferia hai detto tutto...

Il Pd ha preso i voti di Parioli, quartiere della Roma bene, quando ancora era segretario Matteo Renzi, oggi leader di Italia Viva. Cosa pensi di lui?
Io ho il sospetto che abbia ricevuto incarico e indicazioni da qualche potentato finanziario di distruggere la sinistra in Italia. E lui ha addirittura il coraggio di dirsi di sinistra...

Tu dici sempre che i "popoli non esistono", cosa intendi?
Quando dico che i popoli non esistono voglio dire che non esistono per come li vedono i nazionalisti perché se ci fosse stato un popolo italiano, ad esempio, gli italiani fascisti non avrebbero abbandonato gli italiani antifascisti nelle mani dei tedeschi, avrebbero detto “sono nostri cittadini risolviamo noi la questione”. Ma gli italiani fascisti se ne sono assai fregati, e allora dov’è questa unità di popolo? E questo non vale solo per l’Italia, vale per tutti i paesi. In realtà se ci fossero i popoli non ci sarebbero le guerre civili: come si può ammazzare un compatriota? Non c’è quell’idea di popolo che piace a certa gente per farne uno strumento politico e per affermare che c’è un popolo e che tutti quelli che non sono d’accordo sono nemici del popolo. Invece no, il popolo sono gli uni e gli altri. Ma questo è pura retorica. Io mi sento per esempio molto più vicino a un francese con cui condivido le idee di uguaglianza e giustizia sociale che con un italiano che invece crede nella forza e nella disuguaglianza. Quello che conta sono i sentimenti.

E quindi cosa unisce gli italiani?
Beh, la nazionale di calcio! (ride, ndr). La terra, la lingua, il popolo, il sangue… tutte frottole, sono ipostatizzazioni romantiche. Il concetto di popolo, come dicevamo, anche se la mia è una linea polemica, è un concetto molto ambiguo e labile ed è bene diffidare da quelli che fanno appello al popolo.


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"25 aprile 1945 - Parata a Reggio Emilia (Fototeca Panizzi) 2" by Comune di Reggio Nell'Emilia is licensed under CC BY-NC-ND 2.0


Tornando alla festa della liberazione. Molto spesso in piazza scende anche la comunità palestinese in Italia, provocando l’indignazione della comunità ebraica e di certa politica. Perché questa reazione?
Perché la comunità ebraica non ha capito il valore, non solo nazionale, ma universale della resistenza antifascista italiana che era combattere per la libertà, la dignità e l’indipendenza di tutti i popoli. Il popolo palestinese ha tutti i titoli per partecipare alle manifestazioni del 25 aprile. La comunità ebraica porta le bandiere dello Stato di Israele che non ha relazione con la resistenza antifascista, perché è la bandiera di uno Stato formato anche se è vero che gli ebrei hanno combattuto con le truppe del generale Alexander nella brigata ebraica dell’esercito britannico. Quelle insegne sulla base formale sono legittime ma lo sono allo stesso modo anche quelle palestinesi, quindi io ritengo che le proteste della comunità ebraica siano strumentali perché le dirigenze delle comunità ebraiche italiane sono in realtà al servizio di ciò che chiedono loro i rappresentanti israeliani. Una comunità ebraica dovrebbe essere la comunità di tutti gli ebrei, quelli che la pensano in un modo e quelli che la pensano in un altro, invece io siccome la penso in un altro sono stato insultato come se fossi un criminale per le mie idee. Io le mie idee le esprimo, non è così che si deve fare in una comunità? Infatti proprio per questo motivo sono uscito dalla comunità ebraica. La mia coscienza mi dice di lottare con quello che posso per la libertà e la dignità del popolo palestinese e continuerò a farlo finché avrò fiato in gola.

Casa tua è il teatro e l’anno appena trascorso è stato senza spettacoli con pubblico fisico. Lo stato è intervenuto male nel sostegno dei lavoratori dello spettacolo?
Assolutamente sì, siamo stati i più penalizzati di ogni ceto lavorativo. Io non parlo per me che sono privilegiato perché in pensione e dirigo un teatro. Io parlo per quei migliaia di elettricisti, macchinisti, attrezzisti, scenotecnici, trasportatori, facchini. Insomma lavoratori con famiglie che pagano i mutui e le tasse. Sono stati i più abbandonati. Inoltre, aggiungo, il teatro poteva essere tenuto aperto con le dovute cautele e poteva essere un luogo molto sicuro.

Cosa dovrebbe fare ora il governo?
Ora sembra che stanno riaprendo al 50% degli spettatori. E’ un qualcosa, ma si poteva cominciare molto prima.

Foto di copertina © Imagoeconomica

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