di Aaron Pettinari
La "grande opera" che interessa la mafia
“Ponte sullo Stretto. Rilancio e sviluppo italiano che parte dal Sud”. E' questo il nome dell'Intergruppo parlamentare composto dalle molteplici anime di Forza Italia, Italia Viva e Lega Nord. Tutte unite, appassionatamente, in nome di quell'idea che ciclicamente viene riproposta come "soluzione per il rilancio del Paese".
Riaccade anche oggi, durante il neonato governo Draghi, con i fondi del Recovery Fund che vengono visti come un'occasione ghiotta "coinvolgendo diversi protagonisti della scena politica, caratterizzati da percorsi differenti ma animati da un’ambizione condivisa" così come è scritto nella presentazione. Questi i primi firmatari della proposta, per Italia Viva: Vono, Faraone, Magorno, Scoma, Sudano, Ungaro; per Forza Italia: Barboni, Barachini, Bartolozzi, Berardi, Caligiuri, Cannizzaro, Cesaro, D’Attis, Gallone, Giammanco, Mallegni, Mazzetti, Occhiuto, Papatheu, Paroli, Perosino, Prestigiacomo, Rizzotti, Russo, Schifani, Siclari, Siracusano, Sozzani; infine per la Lega: Furgiuele, Pagano, Pepe, Rixi, Rufa. "Nello spirito unitario che contraddistingue il governo Draghi", scrivono i parlamentari, “come Italia Viva, Forza Italia e Lega abbiamo deciso di condividere questa attività per dare un sostegno concreto alla ripresa dell’economia in un periodo in cui le idee devono riacquistare valore al di là di ideologie per il buon governo dell’Italia”.
Contro l’iniziativa degli alleati di governo, sono intervenuti i senatori M5s in commissione Lavori pubblici parlando di "insistenza miope che sa davvero di amarcord anni ’80" e di "baldanza dei tre partiti... sfociata addirittura in un intergruppo parlamentare del cemento dedicato ad hoc". Per poi evidenziare come sia sancito "l’ingresso di Matteo Renzi nell’alleanza-calderone del centrodestra. Un habitat naturale sicuramente più congruo al suo partito".
Sul progetto del Ponte sullo Stretto la ministra del Mezzogiorno Mara Carfagna ha posto un primo freno ("Senza il potenziamento dell'Alta velocità sulla Salerno-Reggio Calabria, il Ponte sullo Stretto rischia di diventare una 'cattedrale nel deserto'").
Ma al di là delle schermaglie politiche è chiaro che il tema non può essere affrontato in maniera leggera. Perché non è solo una questione di priorità per le infrastrutture del Paese, o di costruzioni di "cattedrali nel deserto". Ma dietro vi sono interessi ben più grandi e gravi: quelli delle mafie.
A raccontarlo sono diverse inchieste e le relazioni della Dia che si sono susseguite nel corso degli anni. Basta leggerle per comprendere il ruolo che la criminalità organizzata potrebbe avere nella costruzione di questa grande opera.
E il problema non riguarda solo la vecchia pratica dell'estorsione-protezione, con l'accaparramento di subappalti, la fornitura di materiali, il reclutamento di manodopera o affini.
Il livello raggiunto oggi dalle organizzazioni criminali, infatti, dimostra l’evoluzione della mafia che mira sempre più all’universo finanziario e che è capace di insinuarsi all’interno di grandi gruppi imprenditoriali.
Le più recenti inchieste sulle grandi opere, come quella sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria, hanno spesso messo in evidenza un forte intreccio di interessi tra grandi imprese, famiglie mafiose, storiche ed emergenti, politici e amministratori.
Nel 2016 l'operazione "Sansone", che aveva smantellato il clan Condello di Archi, aveva mostrato proprio gli interessi dei boss per le trivelle necessarie alle opere propedeutiche al Ponte che dovrebbe collegare Calabria e Sicilia.
Prima ancora va ricordata la relazione della Dia, trasmessa al Parlamento nel novembre 2005, in cui si affermava: “La mafia è pronta ad investire il denaro del narcotraffico nella costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina”.
Una relazione che si basava particolarmente su quanto dimostrato dall’inchiesta “Brooklyn” in cui si individuava un’operazione concepita da Cosa Nostra per riciclare 5 miliardi di euro provenienti dal traffico di droga proprio nella realizzazione dell’infrastruttura.
E' in quell'inchiesta che compariva il nome dell'italo-canadese ingegner Zappia. Un personaggio con una lunga esperienza nel campo delle grandi opere che in un'intercettazione affermava anche che qualora fosse riuscito a fare il ponte avrebbe fatto tornare don Vito Rizzuto. Uno dei personaggi chiave dell’internazionalizzazione di Cosa nostra.
In un'altra inchiesta che vedeva Impregilo accusata di falso in bilancio, false comunicazioni sociali ed aggiotaggio (indagini poi archiviate) vi era un'intercettazione telefonica in cui l’economista Carlo Pelanda, proprio alla vigilia dell’apertura delle buste per l'affidamento della gara d'appalto per il ponte, annunciava all'allora presidente di Impregilo Paolo Savona l'imminente vittoria dell'azienda ("La gara per il Ponte sullo Stretto la vincerà Impregilo"). E in quella stessa telefonata Pelanda spiegava di avere avuto assicurazioni in merito dal senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri, già presidente di Publitalia ed amministratore delegato di Mediaset poi condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
Certo è che il business che ruota attorno al Ponte sullo stretto è gigantesco.
Basta ricordare che da quando è stato firmato il contratto, era stato messo nero su bianco che nel caso che il progetto si fosse arenato per problemi economici o giudiziari, lo Stato avrebbe dovuto pagare una penale del 10% pari a 460 milioni di euro. Cifre impressionanti. Per questo c'è chi sostiene che il ponte andrebbe comunque fatto. Ma chi afferma ciò dimostra nient'altro che la propria miopia.
Senza parlare poi del terribile impatto ambientale che avrebbe sul territorio un'opera di questo genere. In pochi sanno che nel 2003 fu elaborata dal Comune di Messina una relazione tecnico-urbanistica per descrivere gli impatti sul territorio dei lavori di realizzazione del Ponte dello Stretto.
Un documento di cui ha parlato più volte il collega Antonio Mazzeo in cui si riferisce di "gravi dissesti ambientali, della trasformazione di aree abitate in cave e discariche, l'assoggettamento di interi comuni della Sicilia orientale ai cantieri del manufatto". Non solo. Si parla anche di "intere colline sventrate, boschi che si trasformano in enormi discariche di inerti, viadotti e piloni innalzati su complessi edilizi ed impianti sportivi, persino un cimitero investito dalle colate di cemento armato. Un territorio lacerato da decine di cantieri a cielo aperto, villaggi antichissimi devastati da tralicci e cavi d'acciaio, le arterie centrali di una città, già ostaggio dei mezzi pesanti, spezzate da gallerie e reti ferroviarie".
Se si considera che il nostro è un Paese in cui la Corruzione viaggia ai livelli più alti di sempre, in cui l’illegalità viene considerata una risorsa e l’impunità è all’ordine del giorno, un’opera come quella del Ponte sullo Stretto diventa un’occasione “imperdibile”. Un affare per tutti? Sì, per le mafie pronte a ringraziare.
Rielaborazione grafica by Paolo Bassani
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