di AMDuemila
Dopo il rinvio della scorsa settimana, dovuto al protrarsi della testimonianza del pentito Giuseppe Comito, oggi nell'aula bunker di Lamezia Terme si è tenuta l'audizione del collaboratore di giustizia siciliano Gaspare Spatuzza, nel processo Rinascita-Scott. L'ex boss di Brancaccio, le cui dichiarazioni sono state ritenute attendibili da svariate Procure, così come aveva fatto al processo 'Ndrangheta stragista, è tornato a parlare di quel rapporto tra Cosa nostra e la 'Ndrangheta non solo negli affari ma anche nel progetto di attacco allo Stato dei primi anni Novanta.
Uno degli interlocutori di quel rapporto tra criminalità organizzate vi sarebbe stato anche l'imputato principale del processo, il Supremo, Luigi Mancuso. Perché altri collaboratori di giustizia hanno riferito che lo stesso sarebbe stato contrario a quella strategia stragista.
Ma quella sarebbe stata una facciata. Quella "falsa politica" descritta in maniera efficace da Giuseppe Lombardo nella requisitoria del processo 'Ndrangheta stragista.
Così emerge che Mancuso avrebbe ospitato gli incontri tra le grandi famiglie calabresi e gli emissari di Totò Riina.
Rispondendo alle domande del pm Anna Maria Frustaci, ha raccontato il travaglio vissuto dopo l'arresto fino ad arrivare al proprio pentimento: "Il mio è stato un percorso morale e spirituale. Già nel 2001, senza collaborare né dissociarmi formalmente, presi comunque le distanze dalla famiglia. Iniziai ad affrontare il carcere in solitudine. Intrapresi in seguito la collaborazione con la giustizia, ma non ero stato mai indagato per Capaci e via D’Amelio. E mi autoaccusai perché era giusto così, perché fino ad allora erano stati condannati erroneamente all’ergastolo degli innocenti. Poi ci sono stati i processi e ho riportato condanne definitive per queste stragi. Alla fine hanno prevalso la verità e la giustizia. C’erano anche dei passaggi rimasti nell’ombra per gli attentati di Milano e Firenze e io ho reso dichiarazioni anche su questo, malgrado fossi già stato condannato per queste stragi".
Parlando dei rapporti tra la mafia siciliana e quella calabrese è tornato a parlare di quel rapporto tra i fratelli di Brancaccio, Giuseppe e Filippo Graviano, con i fratelli Notargiacomo. "Negli anni ’80 - ha detto - i Graviano ospitarono i fratelli Notargiacomo al villaggio Euromare che era di proprietà dei Graviano e di Tullio Cannella, oggi collaboratore di giustizia. I Notargiacomo erano amici di Antonino Marchese, cognato di Leoluca Bagarella. Ricordo che uno di questi fratelli era stato ferito, perché coinvolti in una faida in Calabria".
Gli incontri con i calabresi vi furono anche nei periodi di detenzione. "A Tolmezzo con noi c’era Mommo Molé, persona stimatissima da Mariano Agate e dai fratelli Graviano - ha proseguito - Eravamo, noi siciliani, coinvolti nel processo Golden Market. Mi dissero di ricusare il presidente della Corte d’Assise di Palermo all’ultima udienza. Io sono stato stralciato. Molti così furono condannati, ma io fui successivamente assolto per gli omicidi. Quando arrivammo in Cassazione, ci arrivammo con due processi, io assolto e altri invece condannati. Il giorno successivo al nostro arrivo a Tolmezzo, Giuseppe Graviano ci disse che aveva dato due botte di 500 milioni di vecchie lire a Mariano Agate per aggiustare un processo grazie agli 'amici calabresi' ed il riferimento era alla cosca Piromalli-Molé, con la quale c’era un rispetto profondo".
Sugli altri rapporti tra siciliani e calabresi, invece: "Ho avuto un traffico di hashish e armi con i Nirta, per conto della famiglia mafiosa di Brancaccio. Poi ho conosciuto nel carcere di Ascoli Piceno Pasquale Tegano, Nicola Arena e Franco Coco Trovato. Mariano Agate aveva ottimi rapporti anche con Tegano e Coco Trovato".
La colpa del 41 bis
Un punto chiave della deposizione è sicuramente stato il dialogo avuto con Filippo Graviano sul coinvolgimento di calabresi e campani negli attentati: "A Tolmezzo contestai a Filippo Graviano che napoletani e calabresi si lamentavano che se c’era il 41 bis la colpa era dei palermitani. Graviano mi rispose 'Questi che si lamentano dovrebbero prima parlare con i loro padri'". Ovviamente, nel corso della deposizione è stato affrontato anche il tema del noto incontro a Roma, nel gennaio 1994, con Giuseppe Graviano: "A gennaio del ’94, quando eravamo a Roma per l’attentato all’Olimpico, mentre si aspettava l’input di Giuseppe Graviano, al bar Doney lui mi disse che i calabresi si erano mossi, alludendo all’attentato fatto in Calabria contro i carabinieri, e quindi si poteva fare la strage allo stadio che poi è fallita. L’esigenza di fare presto a Roma, ci fece accantonare l’idea di ammazzare Contorno, che noi sapevamo dove fosse. Dovevamo fare un attentato pure a Napoli. Da quello che mi disse Graviano, compresi che c’era sinergia tra siciliani e calabresi nelle stragi, per questo mi disse che napoletani e calabresi dovevano parlare con i loro padri prima di lamentarsi, perché pure loro erano coinvolti nelle stragi". Spatuzza ha quindi parlato di "sinergia stragista tra Cosa Nostra e la 'Ndrangheta" riferendosi ai tre attentati compiuti in Calabria tra dicembre e gennaio 1993/1994, ai danni di tre pattuglie dei carabinieri, uno dei quali costo' la vita a due militari, aggiungendo che "anche a Napoli c'era un progetto stragista perche' era stato mandato dell'esplosivo".
ARTICOLI CORRELATI
'Ndrangheta stragista. Lombardo: ''Il riscontro di Spatuzza è nelle parole di Giuseppe Graviano''
Spatuzza, al processo 'Ndrangheta stragista, snocciola i rapporti tra Calabria e Sicilia
Spatuzza: ''Dietro le stragi un'ottica che non ci appartiene''
Il maxi processo Rinascita-Scott al via. Ed è già battaglia
Rinascita-Scott: la deposizione ''Fiume'' dell'ex uomo dei De Stefano