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di Alessandro Di Battista

Non ho paura e non pago il pizzo”. Libero Grassi paura non ne ha avuta e per questo ha pagato con la vita. Libero Grassi venne ammazzato trent’anni fa a Palermo. Venne ammazzato perché non pagò il pizzo ma soprattutto perché lo disse pubblicamente. Prese posizione e lo fece pienamente consapevole dei pericoli che avrebbe corso.

D’altro canto la Sicilia in quegli anni sembrava il far west. Piersanti Mattarella era stato assassinato nel 1980, Pio La Torre nel 1982. Pochi mesi dopo persero la vita il generale Dalla Chiesa, sua moglie ed il poliziotto Domenico Russo.

Nel 1984 i sicari di Cosa Nostra assassinarono a Catania il giornalista Giuseppe Fava. Nel 1985 cadde Beppe Montana, pochi giorni dopo Ninni Cassarà spirò sulle scale di casa, tra le braccia della moglie, crivellato dai colpi di Kalashnikov.

Nel 1988 toccò a Mauro Rostagno, nel 1989 ad Antonino Agostino, freddato, a Villagrazia di Carini, insieme a sua moglie Ida, incinta di due mesi. Giovanni Falcone, alla camera ardente di Agostino, confidò al commissario Saverio Montalbano che si trattava di un omicidio contro di lui.

Vincenzo Miceli, imprenditore che, come Libero Grassi, denunciò i tentativi di estorsione da parte di Cosa Nostra, venne assassinato nel 1990. Nel 1991, mentre era in vacanza in Calabria, fu ucciso il giudice Scopelliti, reo di rappresentare la pubblica accusa nel Maxiprocesso istruito anni prima da Falcone e Borsellino e soprattutto di non essersi lasciato corrompere da offerte miliardarie da parte mafiosa.

Questo era il clima e Libero Grassi lo sapeva. Mentre la mafia assassinava giudici, politici, poliziotti, giornalisti e imprenditori, Marcello Dell’Utri, uno dei fondatori di Forza Italia, non faceva altro che rafforzarla. Come? Convincendo Silvio Berlusconi a versare ingenti somme di denaro a Cosa Nostra.

Sono passati sette anni dalla condanna di Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Sette anni non sono pochi, soprattutto nell’era dell’infodemia, ovvero il bombardamento quotidiano di informazioni, molte delle quali del tutto effimere, al quale siamo sottoposti.

Per questo gran parte della pubblica opinione l’ha dimenticato, come ha dimenticato (e probabilmente in molti non le hanno mai conosciute) le ragioni di tale condanna.

Dell’Utri è stato condannato per aver contribuito agli obiettivi criminali della mafia. In sostanza, pur non prendendo parte direttamente all’organizzazione mafiosa, le sue scelte, le sue azioni, i suoi suggerimenti e le sue relazioni hanno permesso il rafforzamento di Cosa Nostra, ovvero l’organizzazione criminale che ha fatto saltare in aria Falcone e Borsellino.

Tra le azioni messe in campo da Dell’Utri per fortificare la mafia c’è l’intermediazione che svolse tra Cosa Nostra e Berlusconi. Ecco alcune parti della sentenza della Cassazione: “Grazie all’opera di intermediazione svolta da Dell’Utri, veniva raggiunto un accordo che prevedeva la corresponsione, da parte di Silvio Berlusconi, di rilevanti somme di denaro in cambio della protezione a lui accordata da parte di ‘Cosa nostra’ palermitana”.

“Tale accordo era fonte di reciproco vantaggio per le parti: per Silvio Berlusconi esso consisteva nella protezione complessiva sia sul versante personale che su quello economico; per la consorteria mafiosa si traduceva, invece, nel conseguimento di rilevanti profitti di natura patrimoniale”.

L’accordo Berlusconi-Cosa Nostra ha prodotto vantaggi per entrambi. Per raggiungere un accordo le parti devono incontrarsi. Ebbene, Berlusconi si sedette al tavolo con illustri esponenti mafiosi. L’incontro è provato ed avvenne a Milano tra il 16 maggio 1974, data dell’arresto di Luciano Liggio - boss dei corleonesi, ovvero il punto di riferimento di Riina e Provenzano - ed il 26 maggio del 1974, giorno in cui venne arrestato Stefano Bontate, uno dei partecipanti all’incontro con Berlusconi.

In molti ritenevano Bontate, prima che venisse ammazzato su ordine di Riina, il capo dei capi di Cosa Nostra. Cinque anni prima dell’incontro con l’ex-cavaliere, Bontate aveva organizzato la strage di viale Lazio, il blitz realizzato da Riina, Provenzano e Bagarella per uccidere il boss Michele Cavataio.

Bontate aveva appena ricostituito la Commissione, ovvero la Cupola di Cosa Nostra insieme a Liggio e a Badalamenti (quel Badalamenti che, qualche anno dopo, fece assassinare Peppino Impastato) quando Dell’Utri lo presentò a Berlusconi.

Bontate era Cosa Nostra in persona. Sembra un film dell’orrore ma è la verità. Scrivono i giudici: “Tra il 16 e il 29 maggio 1974 si svolgeva a Milano un incontro cui prendevano parte Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi, Gaetano Cinà (legato alla ‘famiglia’ mafiosa di Malaspina), Stefano Bontade (capo della ‘famiglia’ mafiosa di S. Maria del Gesù ed esponente, fino a poco tempo prima, insieme con Gaetano Badalamenti e Luciano Liggio, del ‘triumvirato’, massimo organo di vertice di ‘Cosa nostra’), Girolamo Teresi (sottocapo della ‘famiglia’ mafiosa di S. Maria del Gesù), Francesco Di Carlo (‘uomo d’onore’ della ‘famiglia’ mafiosa di Altofonte di cui, all’epoca, era consigliere e di cui, in seguito, sarebbe diventato sottocapo)”.

Bontate venne assassinato a Palermo nel 1981 e da quel giorno i corleonesi iniziarono a dettare legge. Il cambio di “governo”, tuttavia, non compromise l’accordo con Berlusconi.

“I pagamenti di Berlusconi in favore di ‘Cosa nostra’… erano proseguiti senza soluzione di continuità” e “dopo la scomparsa di Stefano Bontade e di Girolamo Teresi, erano stati effettuati ai fratelli Pullarà, divenuti reggenti del mandamento di S. Maria del Gesù”.

Dunque anche i corleonesi, la frangia più violenta e stragista di Cosa Nostra, ottennero vantaggi grazie al patto con Berlusconi.

Torniamo all’incontro a Milano del 1974. Da una parte Berlusconi e Dell’Utri, dall’altra Bontate, Cinà, Teresi e Di Carlo. Il curriculum di Bontate è stato appena menzionato. Veniamo agli altri.

Gaetano Cinà, vecchio amico di Dell’Utri, venne considerato il tramite tra lui e Cosa Nostra. Di lui si ricorda una condanna a 9 anni di carcere e una cassata da 10 kg fatta recapitare a Berlusconi nel Natale del 1986, poche settimane prima che l’imprenditore rilevasse il Milan.

Teresi, sottocapo della famiglia mafiosa di S. Maria del Gesù, era braccio destro di Bontate. Secondo diversi pentiti - tra cui Tommaso Buscetta, colui che spiegò per filo e per segno il funzionamento di Cosa Nostra permettendo a Falcone e Borsellino di istruire il Maxiprocesso - fu proprio Teresi, su ordine di Bontate, a rapire nel 1970 Mauro De Mauro, un giornalista che stava indagando sulla morte di Enrico Mattei e che, sempre secondo Buscetta, si stava avvicinando troppo alla verità. Di De Mauro non si seppe più nulla.

Francesco Di Carlo, uomo d’onore di Altofonte, era specializzato in traffico di droga. Secondo il pentito Francesco Marino Mannoia, fu De Carlo ad uccidere Roberto Calvi, trovato appeso ad una corda sotto il ponte dei Frati Neri di Londra. De Carlo, diventato anch’egli un pentito, negò. Tuttavia ammise che Pippo Calò, cassiere di Cosa Nostra nonché punto di riferimento della Banda della Magliana, gli chiese disponibilità per quell’omicidio.

Questo è il quadro legato alla condanna definitiva di Dell’Utri ed è bene sapere e ricordare perché è la memoria che rende liberi i cittadini. Tuttavia il quadro è peggiorato il 20 aprile del 2018, con la sentenza, di I grado (quindi - va specificato - non definitiva), sulla Trattativa Stato-Mafia.

Quel giorno, mentre Berlusconi dichiarava che avrebbe messo gli esponenti del Movimento 5 Stellea pulire i cessi di Mediaset”, i giudici di Palermo condannavano mafiosi e generali dei carabinieri per aver realizzato la “Trattativa”. Marcello Dell’Utri, anch’egli imputato, è stato condannato a 12 anni di carcere per essere stato uno dei protagonisti di una trattativa che, secondo i giudici, ha aumentato il potere di Cosa Nostra, spingendo i mafiosi ad osare di più (quindi a piazzare più bombe) fino all’ottenimento di una serie di garanzie politiche.

La sentenza di primo grado ha messo nero su bianco un fatto sconvolgente: Berlusconi continuò a pagare la mafia anche da presidente del Consiglio, dunque anche dopo la strage di Capaci, quella di via D’Amelio, quella di via Palestro a Milano e quella dei Georgofili a Firenze che costò la vita, tra gli altri, a Caterina, una bimbetta di appena 50 giorni.

Dell’Utri aveva rapporti, anzi rafforzava la mafia, mentre fondava Forza Italia insieme a Berlusconi, Previti, Martino, Urbani e Antonio Tajani, attuale vice-presidente del partito e indicato, da molti, come possibile ministro del Governo Draghi.

Viviamo in una crisi. Crisi pandemica, economica. Anche una crisi etica. Il miglior vaccino per la crisi etica è la memoria. Le imprese chiudono e molti imprenditori si affidano all’usura, ovvero ad una delle armi in mano alle cosche. Quelle cosche, queste cosche.

Non è accettabile dividere questioni economiche da questioni morali. Perché nella nostra Italia vi sono stati esempi virtuosi. Imprenditori che non hanno chiuso solo per scelte politiche sbagliate o per la sistematica distruzione della classe media della quale, molti neo-salvatori, sono stati artefici. No. Hanno chiuso perché sono stati assassinati per essersi opposti al pizzo.

E l’hanno fatto mentre un imprenditore che oggi viene ricevuto con tutti gli onori nelle stanze del potere romano non ha fatto altro che pagare, pagare e ancora pagare. Ed oggi rischia di tornare al governo del Paese.

Tratto da: tpi.it

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