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Lombardo: "C'è un indotto mafioso che non è mafia, ma che vive di mafia"

La holding del mare, che gestisce in regime di monopolio il traghettamento privato tra le due sponde dello Stretto, per sei mesi sarà amministrata da manager scelti dallo Stato. Così hanno deciso i giudici accogliendo la richiesta della procura antimafia guidata da Giovanni Bombardieri, all’esito di un’indagine meticolosa della Dia che ha messo insieme e sviluppato tutte le inchieste in cui sia saltato fuori il nome della Caronte. Un’indagine gigantesca, coordinata dagli aggiunti Giuseppe Lombardo e Gaetano Paci, insieme ai pm Walter Ignazzitto e Stefano Musolino, che ha portato ad una inequivocabile conclusione: la Caronte&Tourist per anni, se non decenni, ha finito per agevolare i clan con subappalti, commesse, assunzioni a richiesta.
“Non parliamo di controllo dell’azienda da parte dei clan, ma dell’agevolazione che i clan hanno avuto grazie ai servizi di cui si sono appropriati - ha sottolineato il procuratore capo Giovanni Bombardieri - Questo provvedimento è mirato a bonificare la società dall’inquinamento della ‘Ndrangheta”. Per il procuratore aggiunto Lombardo “l’articolo 34 del nuovo codice antimafia serve esattamente a questo, a ripulire. E non si può che concordare con quanto i giudici specificano nel provvedimento, sottolineando come altri strumenti allo stato siano inutili per un’efficace opera di bonifica”.


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Reggio Calabria, 10 luglio 2020. Giovanni Bombardieri (a sinistra), Procuratore Capo, e Giuseppe Lombardo, Procuratore Aggiunto, durante la requisitoria del processo "'Ndrangheta stragista" © Emanuele Di Stefano


Il milionario indotto di Caronte nelle mani dei clan
Necessaria. Perché se è vero che l’azienda è “terza” - come previsto dalla norma - molti degli appalti e subappalti sono finiti in mano alle famiglie di Villa San Giovanni. Servizi come ristorazione, biglietteria, prenotazioni, pulizie sono finiti in mano a società direttamente o indirettamente collegabili ai clan di Villa San Giovanni. È “l’indotto mafioso”, così lo definisce il procuratore aggiunto Lombardo. Quello che per le grandi aziende sono briciole distribuite sul territorio, ma per i clan una prova della capacità di controllarlo e del potere che vi esercitano. In più, sono guadagni per milioni di euro.
Caronte&Tourist è una holding del valore di mezzo miliardo di euro e con 2.4 milioni di capitale sociale, detenuta per quote pressoché identiche dalla famiglia messinese dei Franza, dai calabresi Matacena e dall’autunno 2020, anche da un fondo inglese, la Basalt Infrastructure partners, cui farebbero capo diverse società di navigazione. I servizi che ruotano attorno a questo colosso consentono fatturati a molteplici zeri.

Infiltrazione attuale
Gli ultimi “intestatari” diretti o indiretti delle imprese che se li sono aggiudicati sono Massimo Buda, figlio del boss Santo Buda, condannato a 14 anni e 8 mesi come reggente dell’omonimo clan, e Domenico Passalacqua, condannato per associazione mafiosa. Dipendenti, sulla carta. Il primo, protagonista di una folgorante quanto inspiegabile carriera, il secondo retribuito anche da latitante e da carcerato. Ma soprattutto reali terminali di una serie di imprese che hanno gestito tutti i servizi che attorno al traghettamento ruotano. E - su questo sono precisi i giudici - in nome e per conto.
Le agevolazioni ottenute da Buda e Passalacqua - si legge nelle carte - non sono che “il riflesso specifico di una complessiva strumentalizzazione dell'impresa agli interessi della 'Ndrangheta (in particolare, ma non solo, della sua articolazione territoriale nota come cosca Buda-Imerti) di cui anche i due citati sono portatori”. E si tratta - specificano - “di infiltrazione da ritenersi attuale, atteso che, come già accennato, non appare pienamente convincente il percorso seguito dalla società né possono essere positivamente valutate le terapie interne, adottate dall'impresa, al fine li contenere il pericolo li reiterazione nelle precedenti condotte agevolative”.





Eredità criminale
Protocolli di legalità e il coinvolgimento di soggetti “ritenuti meritori di considerazione, certamente ma incapaci di attuare un'autentica verifica delle debolezze aziendali che hanno consentito l'infiltrazione mafiosa”. Su Caronte&Tourist deve essere lo Stato a mettere ordine. Del resto, l’infiltrazione non è episodica ma antica. Quanto meno per il ramo calabrese dell’azienda - è stato accertato - risale fin dalla sua fondazione, quando il patron Matacena, pur di sbaragliare la concorrenza, si è affidato, secondo un memoriale finito agli atti della procura, anche “ai fascisti di Zerbi e a un po’ di mafiosi”. Da allora, il boss Bruno Campolo, che aveva “i rapporti con Araniti e con i De Stefano ... Perché a quei tempi quelli che contavano erano gli Araniti e i De Stefano” dice il pentito Liuzzo, ha sempre gestito biglietti e ristorazione. Una “tradizione” che si è tramandata fino ad oggi quando a gestirli sono finiti parenti e nipoti. In mezzo, c’è tutta la parabola, politica ed imprenditoriale dell’ex deputato Amedeo Matacena, tuttora latitante a Dubai, che delle sue quote in società si è disfatto poco prima di darsi alla fuga all’estero per dribblare una condanna definitiva per concorso esterno come referente politico del clan Rosmini. Più di recente sono state invece le indagini Sansone e Cenide a mostrare come i clan avessero porte aperte e facoltà di controllo su servizi ed assunzioni all’interno della società. Dati confermati anche da diversi pentiti, come Vincenzo Cristiano e il boss imprenditore Giuseppe Liuzzo.
"La società che ha gestito il traghettamento sullo Stretto storicamente ha suscitato gli interessi mafiosi - sintetizza il procuratore aggiunto Gaetano Paci - Quello che è stato focalizzato con il provvedimento di oggi è che questi interessi mafiosi nel tempo hanno trovato un radicamento attraverso lo sfruttamento delle capacità imprenditoriali della società”. Durato fino ad oggi.


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L'ex deputato Amedeo Matacena, latitante a Dubai © Imagoeconomica


I terminali dei clan
A Massimo Buda, figlio di Santo, di recente condannato a 14 anni e 8 mesi in appello come reggente dell’omonimo clan di Villa San Giovanni, non solo era stata garantita un’assunzione e una folgorante carriera, ma anche facoltà di gestire le assunzioni, le controversie con dipendenti e fornitori e la distribuzione di biglietti e attraversamenti gratuiti. In più a lui sono anche finite in mano disinfezione e derattizzazione, assegnate alla Carist, e i servizi di prenotazione per l'imbarco degli autotrasportatori affidati alla Cam service. Nei suoi confronti, la sezione Misure di prevenzione del personale ha disposto un sequestro beni del valore di 800mila euro, fra cui due ditte, 5 terreni di cui uno edificabile, due appartamenti ed un garage a Villa San Giovanni, un appartamento a Lissone, in provincia di Milano, più diverse disponibilità finanziarie.
Domenico Passalacqua, condannato per associazione mafiosa, non solo era un bigliettaio a tempo indeterminato della Caronte&Tourist, che ha beneficiato del regolare pagamento dello stipendio anche durante latitanza e detenzione. A lui sono finiti anche in mano tutti i servizi di ristorazione assegnati alla Caap service e quelli di disinfestazione, derattizzazione e sanificazione fomiti alla Caronte&Tourist Spa da parte della V.E.P. Services Soc. Coop, con contratti in essere fino a non molti mesi fa.
“La nostra attività - sottolinea il procuratore Lombardo - ritengo debba estendersi per comprendere come opera nel nostro territorio l'indotto mafioso che non è mafia ma spesso e volentieri vive di mafia e beneficia delle sue logiche. Speriamo che quest'esperimento possa servire anche da modello per operazioni simili da svolgere in futuro beneficiando di tutti gli strumenti per noi indispensabili nel contrasto alla 'Ndrangheta".

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