Gratteri: "Un nuovo collaboratore, Gaetano Cannatà, ci ha raccontato delle riunioni organizzate per pianificare le strategie per dilatare i tempi del procedimento"
Una selva di banchi e microfoni, oltre 600 toghe fra cui si muovono medici e infermieri del dispositivo anti-Covid, tre file di monitor che mostrano i collegamenti in corso con carceri e istituti di pena di mezza Italia. In un'aula grande quasi come un campo di calcio è iniziata questa mattina la prima udienza del processo con rito ordinario Rinascita-Scott, il primo maxi contro la ‘Ndrangheta del vibonese.
Alla sbarra, oltre 300 imputati di piccoli e grandi clan della zona che orbitano nella galassia criminale del clan Mancuso. Ma a difendersi da oltre 400 capi di imputazione che la procura antimafia di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri, contesta non sono solo boss, luogotenenti, picciotti e garzoni di ‘Ndrangheta. A rispondere di contatti, legami e affari con i clan del vibonese in generale e con il potentissimo casato Mancuso in particolare, saranno anche amministratori, uomini delle forze dell’ordine, politici.
Fra loro c’è anche il senatore di Forza Italia, poi passato a Fdi, Giancarlo Pittelli, imputato nel troncone di processo immediato, che oggi a quello ordinario dovrebbe essere riunito, con buona pace delle proteste dei legali. Anzi, ad unità dovrebbero essere riportati tutti i vari procedimenti stralcio, che a colpi di istanze e ricorsi sono finiti di fronte ai tribunali territoriali di Vibo Valentia e Cosenza. Così ha chiesto il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, che di Rinascita-Scott è stato la testa e l’anima. I clan lo sanno e hanno deciso di fargliela pagare. Nei mesi immediatamente successivi al blitz, nuove e serie minacce di morte hanno reso la vita di Gratteri ancora più blindata, più fitto il dispositivo di sicurezza che protegge il procuratore ovunque vada.
Il procuratore capo Nicola Gratteri, di spalle, e Nicola Morra, Presidente della Commissione Antimafia
Anche in aula, dove è lui a guidare l’accusa contro la ‘Ndrangheta del vibonese in tutte le sue articolazioni. Dopo anni di ricostruzioni parcellizzate e forse al ribasso, di uno spaccato criminale ricostruito a compartimenti stagni, Rinascita-Scott per la prima volta ha scattato una fotografia tridimensionale della galassia delle ‘ndrine che tra Vibo Valentia e hinterland radicano e attorno al clan Mancuso orbitano, permettendo di comprendere macro-strategie, specializzazioni funzionali, gerarchie. Anche per questo forse Rinascita-Scott è un processo che agli imputati e ai loro clan di riferimento dà fastidio e fa paura.
“Un nuovo collaboratore, Gaetano Cannatà, ci ha raccontato che sono state organizzate vere e proprie riunioni per pianificare la strategia necessaria per dilatare i tempi e far scadere i termini di custodia cautelare” ha detto oggi in aula Gratteri, per spiegare perché sia necessario fare presto, economizzare gli sforzi, non disperdere l’istruttoria in mille rivoli.
Ecco perché l’istanza di riunire i procedimenti in ordinario in un unico troncone. Sulla questione però non potrà decidere il presidente Tiziana Macrì che in origine era stata designata. La Corte d’Appello ha accolto l’istanza di ricusazione presentata dalla Dda di Catanzaro per la giudice, che in passato aveva già valutato l’associazione mafiosa al centro del processo Rinascita-Scott, autorizzando una richiesta di intercettazione. Una decisione dagli immediati riverberi anche nel troncone ordinario, presieduto da identico collegio. E subito motivo di immediate polemiche.
A dare fuoco alle polveri, il procuratore capo della Dda. “Abbiamo presentato istanza di ricusazione oltre un mese fa, ma solo questa mattina apprendiamo che la presidente decide di astenersi”. Eppure ragioni non solo di economia processuale ma anche di urgenza - c’è il rischio che in molti escano dal carcere per scadenza termini - avrebbero consigliato determinazioni più celeri, tuona Gratteri. “Abbiamo perso un mese di tempo” sottolinea. Macrì si difende. “Io non ritengo di essere incompatibile, tuttavia in ossequio alla pronuncia della Corte d’Appello, ritengo di avere il dovere di rispettare e prendere atto della statuizione dell’organo superiore, e decido di astenermi”.
Clima per nulla disteso che si arroventa quando a prendere la parola sono i legali, con cui le schermaglie sono iniziate già ai tempi dell’udienza preliminare celebrata all’aula bunker di Roma. Contro la riunificazione dei procedimenti promettono barricate. E forse anche contro la ricusazione della presidente. Il processo è appena iniziato. La battaglia pure.
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