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di Aaron Pettinari

La decisione del Gip nonostante l'opposizione della famiglia

Era il 2018 quando la famiglia del Procuratore Capo di Torino Bruno Caccia, assassinato il 26 giugno del 1983, aveva presentato opposizione alla richiesta di archiviazione delle indagini nei confronti di Rosario Pio Cattafi, soggetto ritenuto vicino all'estrema destra e alla mafia siciliana, e Demetrio Latella (entrambi iscritti nel registro degli indagati per il delitto dal 2 luglio 2015), avanzata dalla Procura di Milano. Due anni dopo, ed in particolare solo a seguito di un esposto disciplinare presentato dal legale della famiglia, Fabio Repici, il gip di Milano Stefania Pepe ha emesso il provvedimento di archiviazione. Un documento di 7 pagine in cui il gip parla di "labili indizi emersi a carico di Cattafi e Latella" e sostiene che la ricostruzione del legale della famiglia Caccia "non appare supportata da concreti elementi di prova".

Giustizia mancata

Ma a ben vedere, di fronte ai giganteschi buchi neri che ruotano attorno alla morte del magistrato, resta difficile pensare che il delitto sia stato solo materia di 'Ndrangheta, come viene sancito anche dalla recente sentenza contro. Rocco Schirripa, panettiere di Torrazza Piemonte, condannato nel febbraio scorso all'ergastolo come esecutore materiale dell'omicidio, o contro il boss Domenico Belfiore, in precedenza condannato in via definitiva come mandante. Possibile che un magistrato come Caccia potesse essere ucciso senza interessanze esterne alle organizzazioni criminali?
Anche in questo caso, come spesso accade in Italia, la ricerca dei mandanti esterni si è arenata. Eppure c'era una pista che permette di guardare oltre le 'ndrine, evidenziando gli interessi di Cosa Nostra per i casinò del nord Italia e i rapporti con i servizi segreti. Proprio la famiglia Caccia aveva presentato una denuncia nel 2015 evidenziando anche i depistaggi che si sono susseguiti, oltre alle inerzie nelle indagini da parte di alcuni magistrati torinesi e milanesi.
Da allora era stato aperto un provvedimento contro Cattafi e Latella ed oggi l'archiviazione contro i due, appare come una porta in faccia sbattuta sul volto dei familiari Guido, Paola e Cristina Caccia, che non si sono mai accontentati di quanto emerso fino ad oggi. Perché troppi sono gli interrogativi aperti, a cominciare dal motivo per cui al processo non è stato mai sentito il figlio, Guido, che raccolse delle importanti confidenze dal padre ("Nei prossimi giorni succederà una cosa enorme"), poco prima di essere ucciso.

Motivazione apparente
"Il penosamente tardivo provvedimento di archiviazione del Gip di Milano (dopo oltre due anni dall’udienza, esattamente 756 giorni) riesce a essere insoddisfacente non solo nella decisione di chiudere, allo stato, le indagini in realtà mai avviate nei confronti degli indagati Cattafi e Latella, ma anche nella motivazione di quella decisione, che è un sunto della richiesta di archiviazione formulata quasi quattro anni fa dal pm Tatangelo e che non dice praticamente nulla sugli atti di indagine suppletiva che nell’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione" commenta Fabio Repici la notizia dell'archiviazione. "Praticamente - aggiunge - un provvedimento con motivazione solo apparente, che ha impegnato il Gip, calcolando a spanne, per meno di mezza riga al giorno. Si tratta dell’ennesima occasione persa dalla giurisdizione milanese per rendere un po’ più di verità e giustizia alla memoria del Procuratore Bruno Caccia. Purtroppo, per l’ennesima volta gli sforzi fatti dai familiari di una vittima - e che vittima!, la più alta personalità istituzionale mai uccisa dalla criminalità mafiosa al Nord Italia - ricevono una beffa ad opera degli apparati dello Stato. Quegli sforzi naturalmente proseguiranno".

Csm e Ministro della Giustizia si attivino
L'avvocato infine conclude: "Ci si augura che Ministro della giustizia, Procura generale della Cassazione e CSM attivino la propria attenzione sulle disfunzioni della giurisdizione milanese in relazione all’omicidio Caccia; che gli organi giudiziari che ancora si occupano e saranno chiamati a occuparsi dell’omicidio Caccia lo facciano in modo più adeguato; che la Commissione parlamentare antimafia, gli organi di informazione e la cittadinanza attiva mostrino nel futuro su quel delitto eccellente un atteggiamento meno servile di quello avuto, salvo poche e per questo ancora più apprezzabili eccezioni, nei confronti di quei pezzi del potere che in questi decenni sull’assassinio di Bruno Caccia hanno mostrato riottosità, se non orrore, davanti alla ricerca libera e completa della verità. Che purtroppo a oggi è stata limitatissima e parzialissima, visto che non si conosce l’identità dei due killer, si sa ben poco dei mandanti e ancor meno delle ragioni e degli interessi altissimi che imposero proprio in quel momento l’eliminazione del Procuratore della Repubblica di Torino".

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