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di Aaron Pettinari
Centododici. E' questo il numero della lista di nomi tra boss e trafficanti di droga che, ottenuto il differimento di detenzione per l'emergenza coronavirus, non sono più ritornati nelle patrie galere. A svelare il dato è questa mattina il quotidiano "La Repubblica" dopo averli ricevuti dallo stesso ministro della Giustizia.
L'emorragia delle scarcerazioni (così l'aveva chiamata il Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho), era iniziata tra marzo ed aprile.
Il mix di responsabilità su quanto avvenuto passa certamente dall'interpretazione delle norme da parte dei giudici dei Tribunali di Sorveglianza, anche con provvedimenti molto discutibili nella misura in cui si va oltre al semplice "diritto alla salute", ma anche nell'indirizzo politico che era stato dato nel momento di emergenza del Covid-19.
Per non parlare poi del peso oggettivo che ha avuto anche la circolare del Dap del 21 marzo, con cui si chiedeva ai direttori delle carceri di comunicare "con solerzia alla Autorità giudiziaria, per le eventuali determinazioni di competenza", il nominativo di quei detenuti che hanno più di 70 anni e sono affetti da determinate patologie.
Il dato reale è che in quel momento furono scarcerati capimafia importanti come Vincenzino Iannazzo, boss di Lamezia Terme condannato a 14 anni e mezzo di condanna in appello per associazione mafiosa e altro, Rocco Santo Filippone, imputato con Giuseppe Graviano nel processo ‘Ndrangheta stragista, fino ad arrivare ai boss al 41 bis Francesco Bonura e Pasquale Zagaria.
Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, in un'audizione alla Commissione parlamentare antimafia, riguardo i detenuti che si trovano in regime di carcere duro (41bis) e in Alta sicurezza ai quali gli furono concessi arresti domiciliari, per il rischio legato al contagio del Coronavirus, aveva spiegato come il primo numero fornito all'ufficio indicasse 498 detenuti scarcerati. Poi il Dap, che nel frattempo aveva vissuto una rivoluzione con le dimissioni di Francesco Basentini e le nomine in successione di Roberto Tartaglia come vice e Dino Petralia come capo, dopo un attento e approfondito esame su ogni provvedimento, ha potuto verificare che il numero di detenuti effettivamente scarcerati per motivazioni legate in tutto o in parte al rischio determinato dal Covid-19 era di 223 (102 sottoposti a misura cautelare, 121 a condanna definitiva). Gli altri, spiegava il Dap, erano finiti ai domiciliari per "cause diverse e indipendenti dalla pandemia" come le "fisiologiche cause processuali, applicazione di benefici previsti dalla legge, oppure motivazioni sanitarie pregresse, del tutto distinte dal rischio Covid".
Il dipartimento di amministrazione penitenziaria è comunque intervenuto sulla discussa circolare del 21 marzo, sospendendola.
Successivamente il Guardasigilli ha emesso un nuovo decreto legge che, pur mantenendo intatta l'autonomia e l'indipendenza dei giudici nelle valutazioni, obbliga a sentire la procura nazionale Antimafia e le singole procure prima di liberare i boss. Un provvedimento criticato dagli avvocati difensori e dagli stessi giudici dei tribunali di sorveglianza che hanno chiesto alla Consulta di intervenire ravvisando una questione di legittimità costituzionale sul decreto.
Sul punto si vedrà nei prossimi mesi come andrà a finire. Intanto sono tornati in carcere (gli stessi Bonura e Iannazzo; o figure come Franco Cataldo Nino Sacco o Rosalia Di Trapani, moglie del boss Lo Piccolo), ma ne restano fuori ancora la metà.
E su questi dati si è concentrata La Repubblica. Così si è scoperto che sono ancora liberi Pino Sansone, boss costruttore ed ex vicino di casa di Totò Riina, Gino Bontempo, il ras della mafia dei pascoli; il capomafia di Caltagirone ed ergastolano Ciccio La Rocca; Giuseppe Libreri, di Termini Imerese, Stefano Contino, di Cerda; e Diego Guzzino, di Caccamo ed altri.
Tra cavilli, interpretazioni delle leggi e questioni burocratiche le responsabilità vengono fatte rimbalzare da un ufficio all'altro.
Sulla vicenda delle scarcerazioni, così come la mancata nomina di Di Matteo al Dap nel 2018, la Commissione parlamentare antimafia presieduta da Nicola Morra ha compiuto degli approfondimenti e il ministro Bonafede non ha ancora dato tutte le risposte. Di fronte alla serie di errori commessi nella gestione dell'emergenza pandemica dal Dap, dipartimento che risponde al ministero della Giustizia, avrebbe dovuto assumersi la responsabilità su quanto avvenuto. Così non è stato e la pezza messa non nasconde i buchi perché la sostanza è semplice: i capimafia, in un modo o nell'altro, sono riusciti a tornare, anche per poco, a casa, nei propri territori. Il segnale che si coglie dentro e fuori alle organizzazioni criminali è devastante e i boss ascoltano, prendono nota e tornano a sperare.

Foto © Imagoeconomica

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