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di Karim El Sadi - Video
Per il consigliere togato “c’è un disegno per smantellare il 41 bis"
E sulla mancata nomina di Di Matteo al Dap: “Sarebbe stato un ottimo direttore

Io non avrei mai firmato una circolare come quella e penso che nessuno dei direttori dell’ufficio detenuti lo avrebbe fatto”. Basterebbero queste semplici parole, pronunciate da Sebastiano Ardita, per nove anni direttore dell’ufficio detenuti del Dap e oggi componente del Csm, per comprendere la sconsideratezza che ha accompagnato la redazione e la delibera della famosa circolare del 21 marzo del Dap. La circolare che di fatto ha consentito a quasi 400 detenuti, tra cui boss mafiosi al 41bis e narcos, di "forzare" le serrature delle carceri, metaforicamente parlando, ottenendo un differimento della pena con detenzione domiciliare per scongiurare il rischio di contagio da Coronavirus in cella. Ardita, intervistato da Massimo Giletti per la trasmissione “Non è l’arena”, andato in onda ieri sera su La7, ha spiegato quali sono le ragioni che lo portano a considerare quel provvedimento del Dap come “inopinato”.
La circolare, infatti, è arrivata a seguito del “fatto più grave della storia penitenziaria”, ovvero le rivolte carcerarie dei primi giorni di marzo. Quell’atto “contraddice la sostanza dell’attività dell’amministrazione penitenziaria che consiste nel garantire che in condizioni di sicurezza e di erogazione dei servizi sanitari ai detenuti questi rimangano in carcere”, ha spiegato Ardita per poi aggiungere che “certamente non è una circolare che è nella filosofia della storia dell’ufficio detenuti del ministero della Giustizia”.
Il consigliere togato del Csm si è poi soffermato sulle dinamiche che hanno portato alla delibera della circolare firmata il 21 marzo scorso, su mandato di Giulio Romano che quella mattina era assente per ragioni di salute e la garanzia dell’assenso di Francesco Basentini, dalla funzionaria di turno, Assunta “Susy” Borzacchiello, la direttrice del Cerimoniale e relazioni esterne dell'Ufficio del Capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria. “Quella circolare - ha spiegato Ardita - non poteva essere firmata dalla funzionaria di turno perché la funzionaria di turno del Dap, lo ricordo bene in quanto sono stato io ad aver istituito il turno dei funzionari, doveva firmare solo i trasferimenti urgenti per motivi di salute. I turni andavano fatti il sabato e la domenica. Il compito era solo questo quindi - ha sottolineato - durante il turno non si può firmare altro. E’ una regola insuperabile. Pertanto quella circolare, avendo un contenuto enormemente rilevante sotto il profilo politico e dell’ordine pubblico, non solo doveva essere firmata, o dal capo dipartimento o dal direttore generale dell’ufficio detenuti, ma andava accompagnata prima della sua emissione, da un appunto al capo di Gabinetto del ministero della Giustizia o addirittura al ministro della Giustizia stesso”. E di questi fatti, come in seguito ha detto in studio il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, già pm a Catanzaro “non abbiamo ancora ricevuto spiegazioni dagli stessi interessati. Lo stesso Giulio Romano mi pare non abbia detto nulla a riguardo”.

Il ruolo del Dap
Nel corso dell’intervista di Massimo Giletti a Sebastiano Ardita si è parlato in maniera approfondita dell’importanza nevralgica del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, dove Ardita ha lavorato intensamente e professionalmente per lunghi anni.
Il Dap è un posto di grandissima responsabilità nel quale il ministro, assumendosi questa responsabilità, nomina chi vuole. - ha premesso il magistrato catanese - Il problema principale però è che questo è un posto che ha una storia, ed oggi è affidato a una dirigenza di complemento che finisce per non conoscere la realtà. Se tutto va bene per anni e non succede nulla è un conto, ma poi se ci si trova dall’oggi al domani in guerra, come avvenuto nel caso delle rivolte carcerarie, accade che anziché esserci a capo dell’armata il generale che conosce il territorio, la storia e le problematiche, c’è un ufficiale di complemento appena arrivato che normalmente sarebbe stato un addetto al rifornimento delle acque minerali”, ha detto metaforicamente il componente del Csm. “Questo, purtroppo, è ciò che è accaduto nel nostro Paese”.

“Di Matteo sarebbe stato un ottimo direttore del Dap”
E di questo problema, ha aggiunto Ardita, “occorre farsene carico perché il Dap non è una realtà che si può affidare al primo che passa”. “Nel Dap - ha affermato - sono morte persone che per anni hanno svolto quel ruolo tenendo la schiena e sono morte perché non hanno avuto paura di fronte alle rivolte, ai problemi dei carcerati, né alle questioni che riguardavano la mafia e i ricatti allo Stato che sono sempre passati dalle carceri”. In questo senso, ha detto Ardita, “sicuramente Nino Di Matteo è una persona che avrebbe fatto benissimo il capo del Dap perché anzitutto ha una conoscenza qualificata dei problemi, poi perché ha una grandissima umanità, la capacità di credere con passione nel riscatto degli ultimi. Questa - ha spiegato il magistrato - è una delle qualità principali che deve avere il direttore del Dap. Questo perché l’antimafia nel Dap non c’entra. Io vengo da quella cultura e per nove anni ho fatto rispettare le regole che è l’unica legge che paga nel mondo carcerario”.
Parlando della mancata nomina di Nino Di Matteo, anche lui consigliere togato del Csm, a direttore del Dap sono intervenuti anche Luigi De Magistris e la giornalista Sandra Amurri. “Bonafede non sceglie un uomo che avrebbe dato garanzie certe come Di Matteo e preferisce uno come Basentini”, ha esordito il sindaco di Napoli. “Basentini non era l’uomo più adeguato per fare il capo del Dap. Inoltre la lettura della valutazione di professionalità da parte del ministro riguardo Basentini la trovo sminuente”.
Luigi De Magistris ha poi fatto un’altra considerazione politica sulla scorta dell’intervento a inizio puntata del segretario del Pd Matteo Renzi. “Se Matteo Renzi dice che il tema è come mai si è scelto Basentini? Dato che fanno parte della stessa compagine di governo e della maggioranza a questo punto io credo che all’interno della maggioranza vada posto il tema se il contrasto alle mafie, il mantenimento del 41bis e la chiarezza di fronte al Paese sono temi principali o sono chiacchiere da bar”.
In merito alla poca chiarezza e alla nebulosità del governo, anche la giornalista Sandra Amurri, riprendendo la delicata questione della mancata nomina di Nino Di Matteo al Dap da parte del ministro della Giustizia ha affermato che “il Paese deve sapere la verità e Bonafede deve dare spiegazioni”. La Amurri, inoltre, ha voluto rivolgere tre domande importanti durante il suo intervento dirette proprio al Guardasigilli. “Da cronista vorrei porre due domande al ministro Alfonso Bonafede. Se la circolare non è stata la causa delle scarcerazioni per quale ragione si è dimesso chi quella circolare l’ha scritta e chi l’ha approvata? Oppure sono state dimissioni spintonate? E perché queste persone si sono sacrificate? Per coprire chi?”.
"Queste - ha detto la giornalista - sono le domande da cui si può ricostruire tutto”.

Tentativi di smembramento del 41bis
In ultima analisi durante l’intervista Sebastiano Ardita, rispondendo alle domande di Giletti, ha infine dichiarato che c’è “certamente un disegno di smembramento del 41bis”. “E’ la storia ad insegnarcelo”, ha continuato. “La storia del contrasto a Cosa nostra è fatta di questo: del tentativo di lavorare con ogni mezzo possibile per smantellare il 41bis, per far cadere le carcerazioni a vita. E’ l’obiettivo primario di un’organizzazione che sta agendo non solo sotto il punto di vista militare ma anche sotto quello dei rapporti economici, politici, istituzionali, che cercherà di sfruttare per abbattere il 41bis. Noi come Stato - ha spiegato il magistrato catanese - dobbiamo difenderci con un carcere civile che rispetti i diritti ma mantenga la detenzione. Il carcere è un baluardo, un luogo nel quale le persone pericolose sono tenute distanti dalla società e sono libere di essere rieducate per poi rientrare in società in condizioni diverse. Questo è il carcere per l’opinione pubblica. Se viene meno questo baluardo e vengono date a fuoco le carceri e i detenuti escono la gente cosa penserà? Sono i fondamenti dello stato di diritto”, ha concluso.

Il puzzo di ‘ndrangheta
Nella vicenda delle scarcerazioni dei boss, di cui si discute da settimane, il sindaco di Napoli, ex magistrato in prima linea nel contrasto alla criminalità organizzata calabrese e i suoi radicati rapporti con le istituzioni, ha detto chiaramente di “sentire la puzza di ‘ndrangheta”. Di fatti furono proprio quegli ambienti grigi in cui mafia e politica convivono, a premere per l’allontanamento di De Magistris dalle sue inchieste a Catanzaro, dopo che lo stesso ex pm venne addirittura indagato e poi archiviato da alcuni magistrati di Salerno, tra i quali, Gabriella Nuzzi, anche lei intervistata ieri da Giletti, che ha raccontato di essere stata a sua volta trasferita e aver subito “una sorta di stalking giudiziario”. Un caso, il suo, poi archiviato. “Questa è la vera mafia”, ha spiegato De Magistris. E la ‘ndrangheta, ha aggiunto, è “l’organizzazione mafiosa avente la maggior capacità di arrivare là dove nessuno può immaginare”.
Quindi, tornando alla questione dei moti carcerari, “non mi sembra normale che non si sappia nulla degli 80 evasi e dei morti seguiti alle proteste e sulle circa 500 persone scarcerate. E che tutto ciò sia stato liquidato con un semplice dibattito in Parlamento durante la mozione di sfiducia. Il Paese merita rispetto così come chi ha combattuto la mafia come Piera Aiello (anche lei intervistata in studio, ndr). A me sembra che le responsabilità politiche ogni giorno che passa sono sempre più clamorose. A mio avviso ci sono altre responsabilità”, ha affermato. “Più c’è un clima di nebulosità più penso che si sta andando nella direzione giusta. - ha detto con tono ironico - Bisogna comprendere se non ci sia stata anche una forma di trattativa, anche se non voglio usare questo termine. Il fatto che le cose svaniscono come la nebbia con un po’ di vento… non vorrei che ci fosse qualcuno che si è mosso. E se qualcuno si muove - ha concluso - di sicuro non è il funzionario”.

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