di AMDuemila
“Se crolla la sensibilità pubblica verso il pericolo rappresentato da ‘Cosa nostra’, questo può influire nel bilanciamento tra il valore della salute del detenuto e le conseguenze prodotte dalla scarcerazione di un boss, e cioè il rischio che torni a dirigere un clan. Meno si ritiene grave il pericolo della mafia, meno grave - e dunque possibile - viene considerata l’ipotesi che i mafiosi tornino in libertà”. Ancora una volta il magistrato e oggi consigliere togato del Consiglio dell’autogoverno della magistratura, Sebastiano Ardita, in un’intervista al quotidiano “La Sicilia”, ha voluto lanciare l’allarme sulle scarcerazioni dei boss mafiosi, di cui molti, negli ultimi giorni, hanno varcato la porta d’uscita grazie all’epidemia del Coronavirus. Il consigliere togato “senza entrare nel merito” della questione legata alla scarcerazione di boss come Pasquale Zagaria, Francesco La Rocca e Bonura, ha spiegato che la “decisione della scarcerazione è sempre del magistrato e del Tribunale di Sorveglianza. Il Dap è competente a individuare la migliore collocazione del detenuto per l’assistenza sanitaria. Ma se non fa di tutto per garantire l’assistenza sanitaria, se non assicura che lo stato di detenzione non può nuocere alla sua salute, il rischio di scarcerazione è sempre dietro l’angolo”. Riguardo alla proposta del ministro Bonafede di chiedere un consulto alla Direzione nazionale antimafia, prima della decisione della scarcerazione, Ardita ha detto che “sembra una riforma strategica nell’ottica della circolazione delle notizie sulla pericolosità dei clan mafiosi. Più che opportuna, mi appare una modifica indispensabile. - ha poi aggiunto - Speriamo che quando verrà approvata questa norma non sia già troppo tardi, come i proverbiali ‘capelli di sant’Agata’”.
Ma come mai c’è un calo di sensibilità legato al tema della mafia? Il magistrato ha spiegato che “a quasi 29 anni dalle stragi (Capaci e via d’Amelio, ndr) non si avverte più Cosa nostra come una minaccia per le Istituzioni e la società. Questo allentamento complessivo ha portato nuovamente a respirare una organizzazione che a metà degli anni Novanta sembrava agonizzare”. Questo effetto, secondo Ardita, è “dovuto alla perdita di memoria rispetto a quel che accadde negli anni ’90, ma anche al cambio di strategia delle organizzazioni. Mafiosi travestiti da imprenditori e da politici, con l’aiuto di imprenditori e di politici, hanno trovato nuovi territori da conquistare. Per fare ciò non è più servita la violenza, ma solo la capacità di ‘persuasione’ che è insita nella mentalità mafiosa, unita alla capacità di corruzione che è stata una prassi diffusa nelle deviazioni del mondo pubblico ed economico”. Questo avrebbe comportato, secondo il magistrato catanese, “nella migliore delle ipotesi, mafiosi e colletti bianchi in affari - se non sono proprio diventati alleati - hanno fatto un pezzo di strada insieme e affrontano gli stessi problemi: come ad esempio sottrarsi al riconoscimento della loro responsabilità, ai processi, alle confische e in generale alla attenzione sociale e istituzionale. La strategia comune ha sortito degli effetti, se è vero che la società non ha avvertito più come pressante il pericolo della mafia; e le istituzioni che operano in nome del popolo in molti casi si sono adeguate al calo di tensione”.
In conclusione, Ardita ha parlato della crisi di fiducia che l’opinione pubblica ha nei confronti dei magistrati. “I magistrati vivono purtroppo una grave crisi di consenso pubblico, che sarebbe sciocco ignorare, e la loro rappresentanza ha dimostrato di essere affetta da gravi problemi quanto quella dei cittadini. - ha concluso - Per tutto il resto posso solo dire che non esistono zone franche dell’esercizio di pubbliche funzioni e ogni categoria, anche quella dei magistrati, può essere oggetto di critiche che, nei limiti della civiltà, possono riguardare gli errori commessi nelle loro scelte istituzionali”.

Foto © Imagoeconomica

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