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di Aaron Pettinari
Per il giudice "al 41 bis è protetto dal rischio contagio"

Appena pochi giorni fa l'avvocato del boss catanese Benedetto 'Nitto' Santapaola, Lorenzo Gatto, aveva affermato di voler presentare un'istanza di sospensione pena per il proprio assistito, stragista (condannato per la strage di via d’Amelio) e mandante di decine di omicidi, tra cui quello del giornalista e direttore de 'I Siciliani' Pippo Fava.
Al momento, però, la risposta del Tribunale di Sorveglianza sarebbe negativa. Così come riportato da ilfattoquotidiano.it, secondo il giudice proprio il regime di 41bis, a cui è sottoposto da anni il capomafia, lo protegge dal rischio contagio Covid-19.
Il Tribunale di Sorveglianza di Milano lo scrive, nero su bianco, dopo aver ricevuto una relazione sanitaria dal carcere di Opera.
Il direttore del istituto penitenziario, Silvio Di Gregorio, nella sua missiva evidenzia che Santapaola è un soggetto "di elevata pericolosità sociale, uno dei massimi esponenti dell’organizzazione criminale denominata Cosa nostra" e al contempo allega una relazione sanitaria che riferisce lo stato di salute all'11 aprile. Così si apprende che l'ottantunenne boss catanese è “affetto da pluripatologie che possono esporlo a eventi patogeni”.
Dunque rientrerebbe tra i detenuti che potrebbero essere colpiti dal Coronavirus, anche in base a quella circolare che, lo scorso 21 marzo, il Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) ha inviato ai direttori delle carceri in cui si chiede di comunicare "con solerzia alla Autorità giudiziaria, per le eventuali determinazioni di competenza", il nominativo di quei detenuti che hanno più di 70 anni e sono affetti da determinate patologie.
E il boss Santapaola rientra nella casistica.
Secondo il tribunale di Sorveglianza, però, almeno per il momento, Santapaola deve restare in carcere.
Lo si evince nella risposta che lo stesso giudice, secondo quanto riportato nel sito de il Fatto Quotidiano, avrebbe dato nei giorni scorsi (il 21 aprile) al direttore del carcere di Opera. Dapprima si invita a "tenere aggiornato questo ufficio circa le condizioni di salute del detenuto", poi si stabilisce che "non ravvisandosi allo stato i presupposti per procedere ex art. 146 c.p., atteso che il Santapaola è ristretto in regime di 41bis o.p. e quindi in celle singole e con tutte le limitazioni del predetto regime che lo proteggono dal rischio di contagio". Dunque il boss al 41bis sarebbe più protetto che a casa.

Altro che "monitoraggio" Dap
Questo "scambio" dimostrerebbe in maniera chiara che quella circolare del 21 marzo va oltre il "semplice monitoraggio", come diversamente sostenuto in una nota dallo stesso Dap in risposta agli allarmi sollevati da diversi ambienti giudiziari. Per ottenere i domiciliari, dunque, non sarebbe necessaria né una legge speciale né una formale istanza di scarcerazione. Come richiesto nel documento che veniva trasmesso per conto del Direttore generale del Dap Giulio Romano, agli istituti di pena basta indicare ai magistrati di sorveglianza quali sono i detenuti affetti da determinate patologie o che hanno oltre settanta anni. Poi "la palla" passerà ai singoli giudici che dovranno decidere di volta in volta.
Sempre il Tribunale di Sorveglianza di Milano, nei giorni scorsi, era intervenuto valutando un altro caso di differimento pena, stavolta su istanza degli avvocati, per Francesco Bonura, boss dell'Uditore ed ex "colonnello" di Bernardo Provenzano. A quest'ultimo, a differenza di Santapaola che è pluriergastolano, mancavano appena undici mesi di detenzione. Così il tribunale ha ammesso la detenzione domiciliare, sia per le precarie condizioni che per l'emergenza sanitaria.
Sicuramente la decisione del giudice milanese sul boss Santapaola può essere colta in maniera positiva, ma si deve tener conto che la decisione non fa giurisprudenza.
Ogni giudice di sorveglianza, infatti, sarà chiamato ad esprimere le proprie valutazioni a seconda delle varie situazioni che verranno prospettate, tenendo sulle proprie spalle il peso totale della scelta.
A riprova del fatto il dato che, sempre il Tribunale di Sorveglianza di Milano, pochi giorni fa ha ottenuto i domiciliari un altro capomafia catanese, Ciccio La Rocca, 82enne fondatore della famiglia di Cosa nostra di Caltagirone. E' notizia di oggi, inoltre, che il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha disposto gli arresti domiciliari per Pasquale Zagaria, fratello del boss dei Casalesi Michele Zagaria, che sta scontando una condanna a 20 anni di reclusione, rideterminata dal Tribunale di Napoli e passata in giudicato lo scorso 23 marzo. La motivazione è sempre per "gravi problemi di salute", per i quali il detenuto non può proseguire la cura a Sassari a causa dell'indisponibilità della struttura sanitaria riconvertita per la cura del Covid-19. Dunque trascorrerà i domiciliari per 5 mesi in una località del Nord Italia. Come riportato da alcune agenzie nel provveidmento si dà atto che i magistrati di sorveglianza, per evitare la scarcerazione del camorrista, avevano anche chiesto al Dap il suo eventuale trasferimento in un altro istituto penitenziario, attrezzato per la tipologia di trattamenti di cui aveva bisogno. Però dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria non sarebbe giunta alcuna risposta.
Certo è che, nonostante si stia andando verso la fine del "lockdown" per il coronavirus, tra i detenuti nelle carceri c'è un grande fermento e in massa, tramite i propri avvocati, stanno riempiendo le cancellerie di istanze di scarcerazione.
In "lista d'attesa" c'è anche il boss della Camorra Raffaele Cutolo e tra i nomi "pesanti" che potrebbero tentare il "colpaccio" vi sono capi indiscussi come il corleonese Leoluca Bagarella, al cassiere della mafia Pippo Calò, o gli 'ndranghetisti Pasquale Condello, Giuseppe Piromalli e Umberto Bellocco.
E al contempo scattano alcune domande. Può un giudice di un distretto diverso da quello in cui il reato è stato consumato, che non necessariamente conosce né la storia del detenuto, né il contesto in cui andrebbe ai domiciliari, decidere in tempi brevi della sua sorte solo sulla base delle valutazioni che arrivano dai sanitari o dal carcere? Valutazioni così dirompenti possono essere lasciate nelle mani di singoli giudici?
Sul punto c'è chi, come il magistrato Alfonso Sabella, oggi Giudice del Riesame di Napoli, ha già lanciato un grido d'allarme sostenendo che così facendo si stanno "creando dei bersagli". "Queste decisioni - aveva detto pochi giorni fa in un'intervista al Fatto - anche per urgenze, andrebbero prese in modo collegiale. Non da organo monocratico". Su questo punto sembra si inizi a lavorare. Fonti vicine a via Arenula fanno sapere che al Dap si starebbe lavorando ad una nuova circolare secondo cui le istanze, in arrivo alla magistratura di sorveglianza, di quei detenuti appartenenti al circuito dell'alta sicurezza o sottoposti al 41 bis dovranno essere trasmesse alla procura nazionale antimafia e a quella distrettuale. Un primo passo, quantomeno, per rendere più ponderata una decisione così delicata. 

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