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di Aaron Pettinari
La storia dell'ex Sisde in una sentenza mai revocata

La Corte d'Appello di Palermo, presieduta da Fabio Marino, ha accolto la richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione presentata da Bruno Contrada, ex numero due del Sisde, condannato a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Un provvedimento in applicazione della sentenza della Corte di Strasburgo, in cui si dichiarava che l'ex poliziotto non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa perché, all'epoca dei fatti, il reato non “era sufficientemente chiaro”, e si condannava l'Italia ad un risarcimento.
Adesso, con ordinanza depositata il 6 aprile 2020, la Corte d'Appello di Palermo, superando le obiezioni della Procura generale e dell'Avvocatura dello Stato, ha liquidato a favore dell'ex 007 una somma di 667 mila euro. Una cifra decisamente superiore a quanto Strasburgo aveva stabilito nell'aprile 2015 per i danni morali (una somma di 10mila euro).
Ovviamente soddisfatto l'avvocato di Contrada, Stefano Giordano, ed è facile aspettarsi, tra oggi e domani, il solito "giro di dichiarazioni" sulla “persecuzione” nei confronti di Bruno Contrada, di “ingiustizie subite” e di “restituzione dell’onorabilità”.
Del resto gli organi di informazione insistono nell'affermare che nel 2017 la sentenza di condanna a dieci anni di carcere contro l'ex Sisde sia stata "revocata" della Corte di Cassazione, ma la realtà è ben diversa.
In realtà, però, nel dispositivo dei Supremi giudici non vi era alcun riferimento alla revoca della sentenza divenuta definitiva nel 2007, ma si dichiarava “ineseguibile e improduttiva di effetti penali la sentenza di condanna”. Un dettaglio non da poco se si considera che l’ordinamento giuridico prevede la revoca di una sentenza per intervenuta depenalizzazione del fatto di reato (e non è questo il caso) oppure dopo una revisione del processo (che non c’è stata) e che fu anzi dichiarato inammissibile proprio dalla Cassazione.
Non solo. Guardando nuovamente alle valutazioni fatte dai giudici europei si evince in maniera chiara che gli stessi non sono mai entrati nel merito dei fatti per cui lo stesso Contrada è stato ritenuto colpevole. E lo stesso hanno fatto i giudici della Suprema Corte. Infatti nelle motivazioni della sentenza con cui sono state recepite le indicazioni della Corte di Strasburgo, non una parola viene spesa nell’analisi dei fatti che hanno visto Bruno Contrada protagonista, né compare la parola “revoca della sentenza” che ha portato alla condanna. Né, tantomeno, si parla di “assoluzione” dell’ex numero tre del Sisde. “Nel caso di specie - si legge nel documento - non vi è in effetti alcuno spazio per revocare il giudicato di condanna presupposto, la cui eliminazione non è richiesta, né direttamente né indirettamente, dalla Corte EDU”. Diversamente è messo nero su bianco che “la sentenza emessa nei confronti di Bruno Contrada dalla Corte di appello di Palermo il 25/02/2006, divenuta irrevocabile il 10/05/2007, deve essere dichiarata ineseguibile e improduttiva di effetti penali”.
Nulla a che vedere con i fatti accertati nel corso dei processi e scritti nelle sentenze che evidenziavano l'esistenza di rapporti, da parte di Contrada, di grave collusione con la mafia.
Tra gli episodi accertati si può ricordare la concessione della patente ai boss Stefano Bontate e Giuseppe Greco; ma anche l'aver agevolato la latitanza di Totò Riina e la fuga di Salvatore Inzerillo e John Gambino; o ancora l'intrattenimento di rapporti privilegiati con Michele e Salvatore Greco; per non parlare degli incontri con boss come Saro Riccobono e Calogero Musso. Durante il processo era emerso come l’ex poliziotto rivelava segreti d’indagine in cambio di favori e regali.
Più volte l’ex funzionario dei servizi si è difeso dicendo che le accuse nei suoi confronti verrebbero solo da collaboratori di giustizia (dunque ex mafiosi) che lui stesso aveva contribuito ad arrestare in passato. Ma le accuse nei suoi riguardi furono esposte anche da autorevolissimi testimoni come i magistrati Carla Del Ponte, Antonino Caponnetto, Mario Almerighi, Vito D’Ambrosio, Giuseppe Ayala ed anche Laura Cassarà, la vedova del commissario Ninni, assassinato dalla mafia, ed altri ancora che su di lui avevano nutrito una pesante diffidenza.
Nel corso del suo processo Contrada fece ricorso anche a falsi testimoni a propria difesa. Un esempio è il caso dell'imprenditore bresciano Oliviero Tognoli, arrestato in Svizzera nel 1988 come riciclatore della mafia. Secondo Carla Del Ponte, che lo interrogò a Lugano insieme a Falcone, Tognoli ammise che a farlo fuggire dall’Italia era stato Contrada. Poiché terrorizzato da quel nome, rifiutò di metterlo a verbale per poi ritrattare.
La storia dei fatti, reali, non può essere cancellata. Ma nel Paese dalla memoria corta e senza vergogna accade anche questo. A futura memoria.

Foto © Ansa

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