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di Aaron Pettinari
E sulle cose distrutte aggiunge: "Il riferimento era a cose di casa mia che erano in uno sgabuzzino"

Quando si compie un tradimento c'è una "regola non scritta". Negare, negare, negare sempre e comunque, anche di fronte all'evidenza. E' la sensazione che questa mattina si è avuta al Tribunale di Palermo quando l'ex poliziotto Guido Paolilli, in passato indagato per favoreggiamento in concorso aggravato (inchiesta poi archiviata dalla Procura di Palermo per avvenuta prescrizione, ndr) ha testimoniato davanti al giudice del tribunale civile di Palermo, Paolo Criscuoli, nel procedimento in cui è pendente la richiesta di risarcimento danni da 50mila euro presentata dai familiari dell'agente Antonino Agostino, (ucciso il 5 agosto 1989 insieme alla moglie, incinta, Ida Castelluccio a Villagrazia di Carini).
Il Presidente ha posto poche domande partendo dalla famosa intercettazione con il figlio, registrata nel febbraio 2008 nella sua casa di Montesilvano, in Abruzzo, mentre guardavano un servizio della trasmissione "La Vita in diretta" in cui parlava il padre di Nino, Vincenzo Agostino, raccontando del biglietto trovato nel portafoglio del figlio - dove era scritto “se mi succede qualcosa guardate nell'armadio di casa”.
In quel preciso momento il figlio di Paolilli (intercettato) domandava al padre: “Cosa c'era in quell'armadio?”. “Una freca di cose che proprio io ho pigliato e poi ho stracciato”, gli aveva risposto Paolilli senza tergiversare.
Così come aveva fatto davanti ai pm che lo avevano interrogato sul punto, anche oggi Paolilli ha negato di essersi espresso in quei termini. "Non mi riferivo a quello" ha ribadito in aula spiegando che con il figlio non aveva parlato del delitto Agostino.
E quel riferimento alla 'freca di cose' distrutte? "Non erano cose importanti, riguardavano alcune carte che erano contenute in uno sgabuzzino di casa mia".

La relazione di servizio sulla perquisizione
Ma vi è anche dell'altro. L'ex poliziotto, oggi in pensione, ha fatto anche riferimento alle perquisizioni svolte in casa di Agostino dicendo di averne fatta "una sola" e di aver scritto "una relazione di servizio di cui non è in possesso perché gli fu poi sequestrata in una perquisizione".
Dell'esistenza di una relazione di servizio a firma Paolilli era in effetti emerso nel corso delle indagini che furono compiute dalla Procura di Palermo. Un documento che fu inviato al capo della Squadra Mobile. In quel documento veniva evidenziato come nel corso delle indagini sul delitto Agostino erano state effettuate “tre perquisizioni presso quella abitazione (di Agostino, ndr) e, solo nel corso della terza, durante la quale a differenza delle altre partecipava anche lo scrivente, in uno stanzino venivano rinvenuti 6 fogli su cui l'Agostino aveva scritto di proprio pugno, tra l'altro, di temere per la propria incolumità. I 6 fogli venivano opportunamente sequestrati e posti a disposizione della S.V. per i relativi accertamenti”. Nella richiesta di archiviazione i pm avevano quindi evidenziato come questi sei fogli non fossero stati inseriti tra i documenti acquisiti fin qui dalla Procura e come i verbali agli atti evidenziavano solo due accessi di perquisizione all'interno dell'abitazione di Agostino. Peraltro Paolilli, quando fu ascoltato nel luglio del 2013, non aveva minimamente chiarito la questione.
Nel decreto di archiviazione dell'indagine nei suoi confronti il Gip Maria Pino evidenziava come lo stesso Paolilli “non ha offerto interpretazioni alternative” su quella “gravissima affermazione” ed anzi, “con dichiarazioni palesemente irricevibili” proprio per quella negazione, nonostante l'evidenza dei fatti (“Non è possibile... non è possibile... E che cosa dovevo stracciare... Io ho detto ste cose a mio figlio?... Non l'ho detto caspita... non c'era nessuna carta... io non ho stracciato niente”).
Inoltre, nero su bianco, si affermava che “la condotta accertata ed ascrivibile a Paolilli integra gli elementi costitutivi del reato” di favoreggiamento aggravato. E il Gip ravvisava “plurime e gravi anomalie riscontrate in ordine ai tempi, alle modalità ed agli esiti delle perquisizioni effettuate dagli investigatori presso l'abitazione di Altofonte dell'agente Agostino”.

Attesa di giustizia
Adesso le parti (per la famiglia era presente l'avvocato Calogero Monastra in sostituzione dell'avvocato Fabio Repici) hanno chiesto l'escussione di ulteriori teste ed il Presidente del Tribunale si è riservato di decidere.
Al termine dell'udienza odierna Vincenzo Agostino ha così commentato: "Paolilli deve spiegare cosa ha fatto e deve pagare. Oggi non ha detto la verità ed ha cambiato ancora una volta versione sui documenti di mio figlio. Ma non è questo il procedimento più importante. Ora hanno arrestato Scotto e spero che possano esserci presto quelle risposte che cerco sulla morte di mio figlio nell'altro processo". Una pretesa di verità e giustizia che passa inevitabilmente dalla richiesta di rinvio a giudizio che la Procura generale di Palermo si appresta a chiedere contro i boss Antonino Madonia e Gaetano Scotto (sospettati di essere i killer), con quest'ultimo arrestato ieri in un'operazione della Dia.

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