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di Davide de Bari
Il “carcere duro” rischia di perdere la sua funzionalità di isolamento dei boss

Era il 7 agosto 1992 quando il Parlamento approvò la legge sul “carcere duro” ai mafiosi, dopo che fu introdotto con il decreto antimafia Martelli-Scotti nel giugno dello stesso anno, dopo la strage di Capaci che portò alla morte del magistrato, che ne fu promotore quando si trovava all’ufficio degli Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia, Giovanni Falcone insieme a sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta (Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani) il 23 maggio 1992. Falcone lo studiò proprio per fare in modo che i boss non potessero avere più contatti con l’esterno e far venir meno il vincolo associativo per portare i mafiosi sulla strada del pentimento. A distanza di ventisette anni, oggi il regime speciale per i mafiosi non è più così duro, visto che adesso i boss riescono a comunicare con l’esterno grazie a telefoni cellulari. Il settimanale l’Espresso ha pubblicato ieri la notizia che uno dei capi della Camorra, detenuto al 41bis nel carcere di Parma, Giuseppe Gallo, detto “Peppe o pazzo”, nella sua cella aveva nascosto un Iphone e due apparecchi Android, dotati di sim e perfettamente funzionanti. A scoprirlo sono stati gli uomini de GOM (Gruppo operativo mobile) della Polizia Penitenziaria e da quelli del Nic (Nucleo investigativo centrale) che hanno informato la Procura Nazionale Antimafia. Secondo le indagini il boss avrebbe utilizzato quasi ogni giorno il cellulare e gli investigatori ora si stanno muovendo per capire con chi parlasse e se fosse stato solo l’unico dei detenuti ad utilizzarlo.
L’episodio evidenzia come vi sia una falla nell’applicazione del “carcere duro” e pone un certo allarme sul punto. Nel recente passato erano già stati rinvenuti dei cellulari in possesso a detenuti che però non erano sottoposti al 41bis. Lo scorso mese, infatti, i carabinieri, nell’ambito di una indagine per omicidio collegata al clan Strisciuglio di Bari, hanno effettuato sequestri di minicellulari nelle carceri di Bari, Trani, Matera, Melfi e in Sicilia. Un altro caso è stato riscontrato nel carcere di Brindisi dove, nel gennaio di quest’anno, fu certificato il possesso di un cellulare ad un ergastolano affiliato alla Sacra Corona Unita.
Alla luce dei casi rappresentati è evidente che sia necessario un maggiore controllo sui detenuti.
Controllo che viene attualmente svolto dagli agenti del GOM, un gruppo non "speciale" che generalmente svolge un compito di tutela e scorta di collaboratori di giustizia ma che sempre più spesso è applicato al controllo dei boss al 41bis. Caso vuole che il loro reparto sia stato notevolmente ridimensionato. Una controtendenza rispetto l'emergenza che viene rappresentata.

Lo svuotamento del 41bis
Il “carcere duro” nell’ultimo anno è stato bersaglio di diverse criticità vista l’applicazione nel 2017 della circolare del ministero della Giustizia che prevedeva l’applicazione al carcere duro delle stesse regole nelle strutture penitenziarie dove è applicato. Dunque questo è stato poi impugnato dai detenuti che si sono rivolti al Tribunale di Sorveglianza che ha reso il 41 bis difforme tra i vari istituiti. Cercando di uniformarlo non si è andati a modificare molto degli aspetti della quotidianità dei boss detenuti. Si aggiungono poi i verdetti dei Tribunali di sorveglianza che avrebbero avuto dei risultati negativi sia per l’organizzazione che per la finalità, svuotandolo totalmente il 41bis. Inoltre, c’è la difficoltà per gli agenti della polizia penitenziaria ad attuare i regolamenti quando si trovano in situazione in cui le strutture non rispettano determinati criteri o ci sono mancanze di direttive specifiche.

L’arma più importante nella lotta alla mafia
E’ stato proprio il 41bis a fare la differenza nel contrasto alla criminalità organizzata. Infatti, Cosa nostra agli inizi degli anni ’90, quando mise in atto la strategia stragista a suon di bombe, stava cercando di eliminare la legge pensata da Falcone, come anche aveva chiesto nel papello Totò Riina consegnato tramite l’ex sindaco di Palermo ai carabinieri del Ros. La scorsa commissione parlamentare antimafia, come ha riportato L’Espresso, nella relazione conclusiva parlava proprio del 41bis che “rappresenta un insostituibile corollario della legislazione antimafia di cui si è dotato il nostro Paese”. “Il regime speciale continua a rivelarsi un importantissimo supporto per il contrasto alla criminalità mafiosa. - si legge nella relazione della commissione parlamentare - Proprio per questo, lo Stato dovrebbe compiere un ulteriore sforzo per fornire le strutture adeguate senza le quali si rischia di vanificare le restrizioni adottate e di conferire loro una portata afflittiva contraria ai principi dell’ordinamento”. Secondo il pm antimafia Maurizio de Lucia, sentito dall’allora commissione antimafia, “il regime del 41-bis ha cambiato un panorama che prima della sua introduzione era assolutamente devastante, perché l’espressione 'grand hotel Ucciardone' è stata coniata non dalla stampa o dai magistrati, ma proprio dai collaboratori di giustizia. Tutti, infatti, hanno raccontato cos’era il carcere (...) che non interrompeva il carattere di continuità di governo dei capi: quindi per loro era indifferente essere fuori o dentro il carcere, perché continuavano a comandare”.
Dopo questa falla nel sistema detentivo speciale si auspica che si intervenga da un punto di vista normativo, ma anche andando a potenziare i nuclei di polizia penitenziaria per fare in modo che si mantenga un controllo sempre più serrato.

Foto © Alamy

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