di AMDuemila
Azionare la Polizia penitenziaria "ma deve avere nuovi compiti sul territorio”
“Non funziona un sistema in cui la previsione circa il pericolo che si torni a delinquere si basa solo su dati teorici. In altri sistemi, dove le misure alternative funzionano, esiste una verifica quotidiana, con controlli mirati di polizia, sul comportamento tenuto da coloro che ottengono un beneficio”. Sebastiano Ardita, presidente della Commissione Csm sulla magistratura di sorveglianza ed esecuzione pena, è intervenuto così in un'intervista a Il Fatto Quotidiano sull’accesissima questione della concessione dei permessi premio agli ergastolani, in riferimento alla vicenda di sabato scorso quando al San Raffaele di Milano l’ergastolano Antonio Cianci, nelle 12 ore di permesso a lui concesse, ha accoltellato un 79enne. “È venuto il momento di puntare sulla polizia penitenziaria, l’unica forza di polizia che può fare funzionare le misure alternative, ma deve avere nuovi compiti sul territorio. Le misure - ha spiegato - dovrebbero essere concepite come dinamiche graduali e sottoposte a costante controllo. Se saranno riscritte così la loro incidenza si moltiplicherà e il carcere, come è giusto, sarà destinato prevalentemente ai detenuti più pericolosi. Sarebbe l’attuazione vera e non retorica del principio di pena rieducativa”. La questione assume toni ben più seri, appunto, allorquando si parla di detenuti irriducibili appartenenti alle organizzazioni criminali, tema, questo, sul quale di recente si sono espresse la Corte Europea dei Diritti Dell’Uomo (CEDU) e la Consulta. “Immagini quanto sia più difficile essere sicuri che qualcuno non ritorni a delinquere quando si tratta di una organizzazione mafiosa dal cui vincolo si può liberare solo con la morte. - ha detto Ardita alla giornalista - E non bisogna neppure dimenticare i debiti che si possono maturare nei confronti di Cosa Nostra, specie se questa, durante la detenzione, ha provveduto ad alcuni bisogni della famiglia”.
L’ex direttore del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) ha poi sottolineato l’importanza del Giudice di sorveglianza e di coloro incaricati a stilare relazioni determinanti sul processo rieducativo del detenuto. Queste figure istituzionali sono delicate e vanno tutelate “perché esistono anche i casi di detenuti che hanno cambiato vita e per costoro non sarebbe giusto pregiudicare la concessione dei benefici. Vorrei far notare - ha aggiunto - che nel caso citato (quello dell’ergastolano Cianci, ndr) il giudice aveva espressamente richiesto nel provvedimento un qualche accompagnamento del condannato per le prime concessioni. Quindi, si era reso conto di questa necessità di controllo e di gradualità. Peccato che ciò che è suggerito dalla logica non è previsto espressamente dalla legge. E soprattutto - ha concluso - manca una fase normata sul controllo di polizia”.
Foto © Imagoeconomica
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