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di AMDuemila
L’ex pm del processo Trattativa Stato-mafia commenta le sentenze Cedu e Consulta in un articolo su Il Fatto Quotidiano

Con un’analisi lucida, attenta e imparziale il sostituto procuratore della Repubblica a Palermo (oggi in pensione) Vittorio Teresi, in un articolo a sua firma pubblicato su Il Fatto Quotidiano, ha mostrato la linea da seguire per porre dei “paletti” alla discussa decisione della Corte Europea inerente all’ergastolo ostativo, poi dichiarato incostituzionale anche dalla Consulta. Per l’ex pm del processo sulla Trattativa Stato-mafia, che ha rilanciato la petizione de Il Fatto Quotidiano sulla vicenda, l’unico modo per ottenere una sorta di garanzia che i boss irriducibili richiedenti permessi premio una volta in libertà non si ricongiungano ai loro clan è invertire, tramite una nuova legge, l’onere della prova, obbligare i capi mafia a “dimostrare, con fatti e comportamenti univoci, che non sia più vincolato dal legame genetico con l’associazione e con i suoi esponenti e che abbia definitivamente reciso tutti i rapporti personali con costoro”. “Solo così - ha spiegato il magistrato - si potrà evitare che il singolo giudice di sorveglianza possa, con un certo margine di serenità, decidere sull’istanza senza essere costretto a basarsi, per la propria decisione, soltanto sulle relazioni degli operatori dell’Uiepe o delle forze dell’ordine o degli uffici giudiziari competenti, che troppo spesso contengono notizie e considerazioni generiche e datate e raramente offrono la reale condizione del detenuto e dell’ambiente in cui ha operato da libero”. Il magistrato si quindi dice convinto “che imponendo al detenuto l’obbligo di documentare il proprio definitivo distacco dall’organizzazione mafiosa d’origine, ci si muoverebbe nel solco delle decisioni assunte dalle due Corti e al contempo si acquisirebbero concreti elementi di giudizio per evitare di rimettere in circolazione pericolosissimi criminali nemici giurati dello Stato”. Ad ogni modo anche Teresi, che ha trascorso 40 anni della sua vita con la toga addosso, di cui 30 occupandosi di inchieste e processi di mafia, condivide le preoccupazioni dei colleghi sulla sentenza del CEDU. Nel corso della sua carriera infatti Vittorio Teresi si è “convinto dell’irredimibilità del mafioso non collaborante”. In quanto “il mafioso non collaborante che esce dal carcere (anche solo per un periodo di permesso in famiglia) è vincolato dall’originario giuramento di fedeltà all’organizzazione che gli impone (pena l’essere considerato un traditore e quindi pena la morte, né più né meno come un collaboratore) di tornare a essere quello che era stato prima della carcerazione: cioè un mafioso in servizio permanente effettivo, senza alcuna possibilità di distacco o di allentamento del vecchio vincolo”. Sul punto Teresi ha voluto precisare un altro fattore di particolare importanza. “La pena dell’ergastolo viene inflitta - ha sottolineato - a fronte di un giudizio di colpevolezza per uno dei delitti ritenuti più gravi dal nostro ordinamento (omicidio, strage) e diventa ergastolo ostativo quando quel delitto è stato commesso nell’ambito di una militanza in un’organizzazione di tipo mafioso. Quindi - si legge nell’articolo dell’ex pm - quando viene riconosciuto come un omicidio o come strage di mafia. Ma quasi tutti i capi delle varie componenti di Cosa Nostra attualmente all’ergastolo ostativo sono stati condannati non per un singolo episodio di omicidio o strage di mafia, ma per numerosissimi episodi”. “È chiaro che in sede esecutiva vengono chiamati alla fine a scontare un solo ergastolo, ma è altrettanto chiaro che si sono macchiati di una serie impressionante di quei gravissimi delitti per cui è previsto il massimo della pena. Mi chiedo se sia giusto che chi ha subito numerose condanne da ergastolo possa essere trattato alla stesso modo di chi si è macchiato di un solo episodio”.

Foto © Imagoeconomica

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