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di Aaron Pettinari
Non è sorpreso, Antonio Ingroia, dalla decisione che il Tar del Lazio ha comunicato questa mattina, confermando la revoca della sua scorta. Una battaglia contro la burocrazia che lo vede impegnato dal maggio 2018 quando, un paio di settimane dopo la sentenza sulla trattativa, il prefetto di Palermo gli comunicò che, d'intesa con il prefetto di Roma, l’Ucis, l’ufficio centrale interforze per la sicurezza personale, aveva valutato che non esisteva più per lui “una concreta e attuale esposizione a pericoli o minacce”, dunque gli viene revocata la protezione. Da quel momento è iniziata la "lotta" con tanto di lettere inviate, prima al Ministro degli Interni del governo Gentiloni, Marco Minniti, poi al successore Matteo Salvini. E poi i ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato, con quest'ultimo che a seguito del ricorso presentato dall'ex pm aveva riconosciuto i rischi per l'incolumità che possono essere connessi "alla sua pregressa attività di magistrato", tenuto conto che si tratta di un "soggetto che è stato a lungo impegnato nella lotta contro la mafia".
Ancora una volta, però, i giudici amministrativi, riesaminando la posizione di Ingroia, hanno deciso nuovamente "di non disporre misure a tutela".
Ma Ingroia non si arrende e già annuncia un nuovo appello davanti al Consiglio di Stato.
"Non sono sorpreso ma non mi arrendo perché è diventata una questione di principio - ha commentato l'ex magistrato -. Quindi appellerò la decisione del TAR ancora una volta davanti al Consiglio di Stato". "Vorrei capire - ha proseguito - perché il TAR ha deliberatamente deciso di ignorare quanto aveva scritto il Consiglio di Stato. Così come vorrei capire perché lo stesso TAR ha disposto che venga ripristinata la scorta per chi ha deliberatamente scelto di non perquisire il covo di Riina e di sospendere ogni attività di osservazione sul covo di Riina, così obiettivamente agevolandone lo svuotamento da parte dei mafiosi, e per chi, come ristoratore palermitano, ha subito anni fa intimidazioni estorsive, mentre ha ritenuto essere venuto meno ogni pericolo per chi - come me - la mafia l'ha combattuta per decenni da PM nella Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, anche come coordinatore della DDA, e quindi coordinando decine e decine di indagini che hanno portato all'arresto di tanti pericolosissimi latitanti, fatto condannare decine e decine di mafiosi per fatti gravissimi, e poi ha anche processato uomini dello Stato per collusione con la mafia, fino all'indagine sulla Trattativa Stato-mafia. Spero che non sia quest'ultima la colpa che mi si vuole far pagare: quello di non essersi limitato a processare e far condannare i mafiosi della mafia militare ma anche i suoi complici col 'colletto bianco'".

Foto © Imagoeconomica

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