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di Davide de Bari
Terminata la requisitoria, il pm: “Ha favorito la latitanza di Matacena”. Ma cade l’aggravante mafiosa

Quattro anni e sei mesi di carcere. E’ questa la condanna chiesta dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo, nei confronti dell’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, imputato nel processo Breakfast con l’accusa di aver agevolato la latitanza dell’ex onorevole di Forza Italia, Amedeo Matacena, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Nello stesso procedimento sono imputati anche la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, per cui il pm ha chiesto la condanna più dura a 11 anni, la segretaria di Matacena, Maria Grazia Fiordelisi e il collaboratore Martino Politi, per cui sono state chieste le condanne a 7 anni e 6 mesi. Per l’accusa vanno anche confiscati i beni degli imputati già bloccati dalla Direzione investigativa antimafia che ha condotta l’inchiesta Breakfast.
Lombardo ha anche contestato l’aggravante mafioso a carico della moglie di Matacena in quanto secondo l’accusa avrebbe agevolato la ‘Ndrangheta, insieme ai suoi collaboratori, portando avanti quel “patto” tra il marito (come sancito nel processo in cui Matacena è stato condannato per concorso esterno in via definitiva) e le cosche quando l’imprenditore si è dato alla latitanza. Amadeo Matacena era un imprenditore perfettamente operativo, dall’elevatissimo spessore criminale - ha detto il pm - con agganci e rapporti privilegiati per ottenere commesse ed appalti, anche grazie ad una fittissima rete relazionale di cui godeva. La moglie Chiara Rizzo era il prestanome e la prosecutrice delle imprese e delle attività - mafiose - del marito, con i suoi stessi legali che le consigliano in maniera inequivocabile di ‘evitare di fare il prestanome di suo marito’”. Secondo il magistrato Matacena tra gli anni ’90 e 2000 aveva “un ruolo paritetico con i soggetti di mafia” in quanto esibiva “serietà e concretezza degli impegni assunti nei suoi confronti delle cosche di Reggio”. Il pm, però, ha alleggerito le responsabilità della Fiordelisi in quanto “non ha fatto ricorso ad alcuna forma di reticenza durante gli interrogatori, fornendo un vero contributo alla giustizia quando ha spiegato i passaggi che l’hanno portata a diventare l’amministratore unico delle società di comodo di Matacena, operando sempre sotto le indicazioni dell’ex parlamentare e della moglie Chiara Rizzo”.
Per il procuratore aggiunto il “contesto imprenditoriale” di Matacena non sarebbe stato “estraneo a Scajola, quanto meno dal punto di vista materiale. “Scajola aveva una frequentazione - ha aggiunto - con i coniugi Matacena/Rizzo molto più solida e orientata al loro ruolo imprenditoriale rispetto a quello che lui ci ha raccontato in questa sede”.
Per quanto riguarda la posizione dell’ex ministro dell’Interno, nonostante la pesante richiesta di pena, il pm non ha contestato l’aggravante mafioso, di cui all’inizio era accusato, in quanto, dopo una serie di sentenza della Suprema Corte di Cassazione ha introdotto criteri più rigidi nel riconoscere l’aggravante mafioso. Dunque per i giudici ermellini per contestare la mafiosità c’è bisogno di provare anche “l’elemento psicologico di dolo specifico”, ovvero il motivo per cui Scajola avrebbe aiutato l’imprenditore in una precisa circostanza da referente politico della ‘Ndrangheta. Ma per Lombardo “al momento questa prova non si è formata”.

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L'ex parlamentare Amedeo Matacena con l'ex compagna Alessandra Canale © Imagoeconomica


L’aiuto a Matacena
Secondo il magistrato “Scajola presta un aiuto a Matacena, consapevole che è un soggetto che va tenuto operativo e che quell’operatività va mantenuta tramite la moglie Chiara. Sono rimasto estremamente colpito dall’insistenza con cui quest’uomo voleva fare qualcosa per aiutare un latitante di mafia”. E poi Lombardo si è domandato: “Come sia possibile che un uomo che ha avuto responsabilità elevatissime in ambito pubblico, quale Scajola Claudio, possa essersi determinato a porre in essere una serie di condotte di aiuto in favore di un soggetto che pacificamente sapeva essere latitante?”. Secondo la difesa, Scajola avrebbe aiutato la moglie di Matacena, Chiara Rizzo, per una sbandata amorosa. Cosa a cui l’accusa non ha mai creduto in quanto “Scajola non aiuta la Rizzo, aiuta Matacena anche attraverso un’intricata rete di relazioni e assume iniziative che la Rizzo conosce solo in una fase successiva”. Per il magistrato non era possibile che l’ex ministro non fosse a conoscenza della vicenda processuale di Matacena: “Ormai si studia nelle università e la sua famiglia la viveva, sulla propria pelle, da circa 15 anni. Era metabolizzata fino in fondo in relazione a quelle che potevano essere le conseguenze evidenti legate a un reato permanente che non si sarebbe prescritto. Se si prescriverà la pena, io questo non lo so”.

Il “comune” progetto Dell’Utri-Matacena
Secondo l’accusa Matacena avrebbe dovuto passare la sua latitanza in Libano a Beirut, stesso luogo dove il co-fondatore di Forza Italia, Marcello Dell'Utri, si è recato quando è scattata la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa. E secondo il pm il piano Matacena e Dell’Utri avrebbero avuto la stessa matrice. “Il progetto di spostare Amedeo Matacena risultava collegato alla latitanza di Marcello Dell’Utri - ha aggiunto il magistrato - e Vincenzo Speziali era il soggetto incaricato di svolgere le funzioni agevolatrici che avrebbero consentito di avere risposte dalla Repubblica del Libano. Speziali non era un soggetto qualsiasi e Scajola lo sapeva benissimo, e soprattutto sapeva benissimo che Speziali aveva stretti rapporti con una delle principali personalità politiche del Libano dal quale era possibile avere determinate risposte. Speziali non è uno qualunque ma sa perfettamente e nel dettaglio quelle che sono le dinamiche interne a un determinato movimento politico di cui facevano parte tanto Scajola quanto Dell’Utri. Il suo rapporto con Claudio Scajola è una chiave di lettura importante in relazione alla vicenda di Dell’Utri”. Dunque l’affare Libano sarebbe stato gestito dall’asse Speziali e Scajola e secondo Lombardo l’ex ministro sarebbe stato “il promotore di tutta una serie di iniziative. Era perfettamente consapevole delle dinamiche operative riferibili alla vicenda Dell’Utri che va in Libano perché Vincenzo Speziali è assolutamente affidabile e sa che i suoi rapporti sono reali. Questo elemento di conoscenza e di valutazione, che trasforma Vincenzo Speziali in un soggetto a cui credere, è lo stesso percorso che vive Claudio Scajola”.
Dopo tre udienze è dunque finita la requisitoria, dopo i lunghi cinque anni di dibattimento. La prossima udienza che si terrà l’11 novembre sarà la volta delle difese.

Foto © Imagoeconomica

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