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di Karim El Sadi
Tony Zermo: “La porta dell’ufficio di Ciancio era sempre aperta ed entravano farabutti e ministri

All’udienza del processo a carico di Mario Ciancio Sanfilippo per concorso esterno in associazione mafiosa, tenutasi giovedì a Catania, sono stati chiamati a riferire su alcuni episodi passati molto discussi nell’ambito della gestione del quotidiano diretto dell’imputato, quattro giornalisti, tutti passati per le scrivanie della redazione de La Sicilia: l’ex vice direttore Domenico Tempio, l'ex inviato Beppe Testa, l'ex redattore di Antenna Sicilia, Giuseppe Lazzaro Danzuso e l’inviato speciale del quotidiano e tutt'ora collaboratore Tony Zermo. Le domande dei giudici si sono incentrate proprio su quest’ultimo, considerato uno dei teste più importanti del processo (convocato da accusa e difesa) per via della sua decennale collaborazione col quotidiano. Durante la sua militanza all’interno della sede del giornale in viale Odorico Da Pordenone, infatti, Zermo è stato protagonista e testimone diretto e indiretto di vicende quanto meno anomale per una redazione giornalistica. Come quella volta in cui, nel 1993, il boss Giuseppe Ercolano sarebbe entrato nell’ufficio del direttore Ciancio Sanfilippo per lamentarsi di un articolo che riguardava l’azienda Avimec e i presunti collegamenti alla criminalità organizzata. “Quel giorno non c’ero, però ho saputo della vicenda. - ha rammentato il giornalista - Tuttavia non me ne sono stupito: la stanza del direttore Mario Ciancio era sempre aperta ed entravano ministri e farabutti”. Una dichiarazione di rilievo seguita da attimi di silenzio in aula. Ma le stranezze non finiscono qui. Un anno più tardi, nel 1994, il killer di fiducia di Aldo Ercolano e Nitto Santapaola, Maurizio Avola, iniziò a collaborare con i magistrati. In quei mesi, secondo il giornale etneo, il boss avrebbe rilasciato alcune dichiarazioni di rilievo concernenti, fra le tante, l’omicidio del generale Dalla Chiesa. Lo scoop venne pubblicato da La Sicilia e Il Giorno rispettivamente a firma del giornalista Salvatore Pernice e Tony Zermo. Fatto anomalo è che i due articoli avevano gli stessi testi e addirittura gli stessi errori di battitura, come ha fatto notare l’avvocato di parte civile Goffredo D’Antona. A seguito della pubblicazione la notizia, rivelatasi non vera, è stata a distanza di pochi giorni smentita con tanto di conferenza stampa dalla Procura di Catania che parlò di campagna stampa per delegittimare il collaboratore di giustizia. “Può darsi che sia stato Pernice a darmi la notizia e io l'ho pubblicata su Il Giorno”, ha spiegato Zermo in aula. Quindi il pm Antonino Fanara ha chiesto come mai non avesse verificato la soffiata. “Non ho fonti investigative - ha risposto ai magistrati - Pernice è un collega e io mi fidavo”. I dubbi sulla vicenda non si dissipano. Per quale motivo Pernice si sarebbe dovuto occupare di una notizia così delicata quando il quotidiano avrebbe potuto affidarsi al proprio giornalista di cronaca giudiziaria Salvatore La Rocca? Si è chiesta l’accusa. “Effettivamente mi sembrò strano ma non conosco i motivi”, ha replicato Zermo dopo qualche secondo di silenzio. Il giornalista La Rocca in realtà avrebbe cercato riscontri “tramite i suoi canali” ma senza successo, come riferito da Domenico Tempio, ex vicedirettore de La Sicilia, ma la notizia è stata ugualmente resa pubblica scatenando l’ira di La Rocca che avrebbe detto ai colleghi “cosa state pubblicando?!”. Una accesa discussione accompagnata da insulti rivolti, a detta di Zermo, alla dirigenza del quotidiano a seguito dei quali La Rocca venne "momentaneamente allontanato dalla redazione”.

Lettere e necrologi
I magistrati hanno poi incentrato le loro domande verso la vicenda del discusso rifiuto di pubblicare il necrologio del commissario di Polizia di Palermo Beppe Montana, assassinato da Cosa nostra il 28 luglio 1985, sulle pagine del giornale La Sicilia. Tema, questo, affrontato anche nella scorsa udienza. “Ho saputo che Piero Corigliano (il vicedirettore del quotidiano presente quel giorno, ndr) fece dire al padre di Montana di rettificare il necrologio perché c’erano dei giudizi e solitamente nel giornale non ci devono essere. - ha rammentato il teste - Era una voce che circolava, non so chi me l’abbia detto, se ne parlava negli ambienti del giornale”. Per il giornalista al diktat di Corigliano “si sarebbe dovuta fare un’eccezione perché quando si hanno davanti i parenti delle vittime di mafia bisogna andargli incontro per il dolore. Corigliano ha sbagliato” ha sentenziato Zermo. Dichiarazioni che colliderebbero con quanto scritto nel dialogo-intervista tra Pietrangelo Buttafuoco e lo stesso Tony Zermo pubblicata nel 2009 a seguito di un “pesante” servizio intitolato “Vicerè” della trasmissione Report su Catania e su Mario Ciancio Sanfilippo. Il giornalista, in quell’articolo, parlò delle possibili illazioni che sarebbero potute derivare da un testo in cui si parlava di ’alti mandanti’. Un passaggio totalmente assente dal necrologio che cita piuttosto la condanna della famiglia Montana “alla mafia e a tutti i suoi anonimi sostenitori”. Ad ogni modo se da un lato il quotidiano di Ciancio Sanfilippo non si è fatto scrupoli nel respingere la richiesta di pubblicazione del necrologio di un servitore dello Stato, dall’altro non ha battuto ciglio diversi anni più tardi, nel 2008, nel riportare una lettera del boss Vincenzo Santapaola, figlio del capomafia Benedetto, detenuto in regime di 41bis. “Abbiamo ricevuto una lettera degli avvocati di Vincenzo Santapaola che si trovava in carcere al 41bis. - ha rammentato l’inviato - Ho deciso io di pubblicare la lettera perché era una testimonianza importante, era il capo della mafia catanese che dopo anni di silenzio diceva delle cose”. Quindi il pm Fanara gli ha fatto notare che in quella missiva il boss dichiarava “che non era giusto che si trovasse al carcere duro e che era completamente innocente”. “Io sono dell’opinione che bisogna pubblicare tutto” ha risposto il teste. “Ma il 41bis non serve a non far uscire messaggi dal carcere?” ha chiesto nuovamente il magistrato. “Ma che me ne frega del 41bis, a me importa pubblicare la notizia” ha replicato cinicamente Zermo. Gli altri tre giornalisti sono stati sentiti per chiarire alcuni aspetti, già precedentemente discussi nella deposizione di Zermo, nel corso della loro esperienza, con varie mansioni, a La Sicilia. Le attenzioni dei magistrati fra questi ex dipendenti del quotidiano sono state rivolte in particolare verso l’ex vice direttore Domenico Tempio specialmente in riferimento alla questione della lettera dei legali di Santapaola. In quella occasione “mi lamentai in redazione dopo aver visto la lettera già pubblicata sul giornale perché non ero stato informato - ha rammentato Tempio - il direttore mi ha risposto motivando la cosa dicendo che ne aveva parlato col capo redattore di Cristoforo che era anche il capo cronista di Catania”. Versione, questa, che pare non collimare con quella dell’inviato Zermo che ha detto di aver autonomamente deciso di pubblicarla. Sul punto poi l’avvocato Dario Pastore, che rappresenta l’Ordine dei Giornalisti, ha chiesto all’ex vicedirettore: “Ma è possibile che nelle tre riunioni di redazione fatte quel giorno antecedenti alla pubblicazione non si fosse parlato di una cosa così importante come la lettera del figlio di Santapaola?”. “No, era una cosa normale che poteva accadere”, è stata la risposta secca di Tempio.

Foto © Imagoeconomica

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