di Lorenzo Baldo
Giovanna e Augusta non ci sono più. E nemmeno Agnese e Rita. Ed è meglio così. E’ una consolazione paradossale, ma serve ad andare avanti. A donne indomite come Giovanna Maggiani Chelli, Augusta Schiera Agostino, Agnese Borsellino e Rita Borsellino è stato risparmiato lo scempio di questi ultimi giorni: la pronuncia della CEDU sulla riforma della legge inerente l’ergastolo ostativo, così come la relativa decisione della Consulta. “Hanno ucciso di nuovo mio figlio Claudio Domino - ha scritto su facebook Graziella Accetta - un bambino che è stato sacrificato sull'altare dello stato, di quello stato che 33 anni fa non sapeva come condannare 475 delinquenti e che con quel "NOI" di Giovanni Bontate ci fu l'ammissione dell'esistenza dell'organizzazione mafiosa, Claudio sacrificato da quella parte di stato che oggi premia gli assassini”. A Graziella e a suo marito Antonio non sono state risparmiate la rabbia, il dolore e l’amarezza per aver appreso le vergognose decisioni di istituzioni nazionali e internazionali teoricamente preposte alla tutela della giustizia dei cittadini. Sul sito gliinvisibili.it, dedicato a 108 bambini, vittime innocenti della mafia, compare una scritta: “Non c‘è un posto sbagliato, non c‘è un momento sbagliato per una vittima innocente. Al posto sbagliato, al momento sbagliato ci sono sempre gli assassini, i mafiosi, i criminali”. Probabilmente andrebbe aggiunto che al posto sbagliato ci sono anche quelle figure istituzionali che attraverso decisioni gravissime si fanno carico del dolore di tutti i familiari delle vittime di mafia che - loro sì - sono condannati al “fine pena mai”. O forse, invece, chi da una sede istituzionale prende simili decisioni è “al posto giusto”, messo lì per continuare a mantenere fede ad accordi preesistenti. Quel maledetto “do-ut-des” tra mafia e Stato che di fronte a determinati scenari appare più concreto e attuale che mai.
“Se guardiamo con attenzione - si legge ancora sul sito gliinvisibili.it -, se parliamo di loro, delle vittime, se imprimiamo nella memoria i luoghi dove sono vissuti e dove hanno perso la vita possiamo rendere immortali persone che, con il loro sacrificio, hanno dato dignità al nostro paese e creare le condizioni per cui la loro morte non sia stata vana”. Un’impresa titanica. Perché in un Paese sottosopra come il nostro, il compito di renderli “immortali”, evitando che la loro morte sia stata vana, resta delegato ai loro familiari e a coloro che sentono la lotta alla mafia come causa di vita: una vera e propria minoranza di fronte alla palude politico-istituzionale e all’ignavia di tanti altri. “L'ergastolo ostativo ce lo portiamo noi addosso. Noi familiari di vittime innocenti”, ha ricordato qualche giorno fa Rosaria Costa, vedova dell’agente di scorta Vito Schifani. L’immagine di Rosaria ci riporta al 1992, durante i funerali di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e degli uomini di scorta, si era rivolta ai mafiosi dall’altare: “Vi perdono, ma dovete mettervi in ginocchio”. All’epoca questa giovane donna, rimasta vedova a 22 anni con un figlio di soli 4 mesi, non sapeva fino a che punto il braccio di Cosa Nostra era stato armato dallo Stato, in quella strage, e in quelle che da lì a poco sarebbero avvenute. Oggi però ci sono sentenze, come quella sulla trattativa Stato-mafia, che sanciscono nero su bianco l’esistenza di questo patto criminale.
“Dobbiamo evitare che si concretizzi uno degli obiettivi principali che la mafia stragista intendeva raggiungere con gli attentati degli anni '92-'94 - ha evidenziato dal canto suo il consigliere del Csm Nino Di Matteo -. Spero che la politica sappia prontamente reagire e, sulla scia delle indicazioni della Corte costituzionale, approvi le modifiche normative necessarie ad evitare che le porte del carcere si aprano indiscriminatamente ai mafiosi e ai terroristi condannati all'ergastolo”. E se la precisa e sacrosanta indicazione di Nino Di Matteo ha sollevato sterili polemiche politiche, avallate da un Tg come quello di La7, o da giornali come “Il Foglio”, è la dimostrazione plastica che si è andati a colpire un nervo scoperto. Quello di chi intende mantenere uno status quo di convivenza tra mafia e Stato, nel totale disprezzo del dolore dei familiari delle vittime di mafia. Non resta quindi che continuare a schierarci al fianco di chi ha già pagato un prezzo altissimo e che ora pretende una giustizia giusta. Nessuna forma di tortura - fisica o psicologica - può essere ammessa nei confronti anche dei peggiori assassini. Ma se di un loro possibile ravvedimento si parla, l’unica via dei boss irriducibili per accedere a benefici o a sconti di pena è quella della collaborazione con la giustizia. Che sia totale e definitiva, con l’ammissione dei propri reati, la rivelazione dei nomi e cognomi dei mandanti esterni delle stragi e di tutti coloro che dalla politica o dalle istituzioni hanno sostenuto Cosa Nostra. Solo così sarà possibile non rendere vana la morte di tutte le vittime. Che non possono più rimanere schiave di un sistema criminale, celato dentro i palazzi del potere, che imprigiona la loro memoria e la loro dignità calpestando il loro diritto alla giustizia e alla verità. “Vorrei dormire - scriveva molti anni fa la poetessa e attivista statunitense Frances Harper - dove nessun tronfio potere possa derubare l'uomo del suo più sacro diritto; il mio sonno sarà calmo in una tomba dove nessuno chiamerà schiavo il suo fratello. Non chiedo un monumento alto e maestoso che arresti lo sguardo dei passanti, tutto quello che il mio spirito ardentemente implora è non seppellitemi in una terra di schiavi”. Lo stesso desiderio di Giovanna, Augusta, Agnese, Rita e di tutti i martiri caduti in questa guerra.
Foto © Johann Heinrich Füssli/L'incubo
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