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di Jean Georges Almendras* - Foto
Si chiamava Pablo Medina, il giornalista paraguaiano ucciso all'età di 53 anni, il 16 ottobre 2014, lungo un’isolata strada vicino alla località balneare di Villa Ygatimi nella zona di Curuguaty, nel dipartimento di Canindeyú, a circa 350 chilometri da Asuncion. I sicari del narcotraffico spararono raffiche di fucile e di pistola di grosso calibro falciando la vita di Pablo. Nell'attacco criminale morì anche la sua assistente, Antonia Almada, di 19 anni. La notizia scosse e indignò la famiglia del giornalismo paraguayano. Si sentì sgomenta, oltraggiata. D’altra parte, era il 19º giornalista caduto dall’istaurazione della democrazia, dopo 35 anni di dittatura militare.
Ma il giornalismo libero paraguaiano non è stato l'unico ad essere stato colpito con le armi in America Latina, sono caduti (e continuano a cadere sotto i proiettili assassini del crimine organizzato), anche molti giornalisti messicani e centro americani. Il crimine organizzato si è diffuso (e continua ad estendersi), pericolosamente, sulle società democratiche. Alcune delle quali non sono altro che illusioni di democrazie, perché in realtà sono democrazie che non fanno altro che contribuire e facilitare ai criminali, le strade necessarie per concretare i loro affari illeciti, trasformandole in democrazie che sono il vivaio di governanti che si corrompono, in alcuni casi con i narcos, per cedere il passo ai narco Stati.
Ed a proposito di tutto questo scenario per niente incoraggiante mi sento nell'obbligo di denunciare, come una sorta di omaggio al nostro collega Pablo Medina e come istintivo meccanismo di autodifesa, di una professione che è stata oltraggiata e divorata da elementi del potere economico e politico del Paraguay perché dietro il doppio crimine di Villa Igatimi c’è una brutale ragnatela del sistema politico paraguaiano. Una rete di intrighi tesa per catturare la sua vittima: un lavoratore della stampa ed una giovane assistente le cui rispettive famiglie hanno vissuto le perdite con stoicismo ammirabile. Tutto una ragnatela di intrighi mirato a liberarsi dal nemico. Il nemico che denunciava con i suoi articoli il capo narcos della zona di Ipehjú: niente meno che il sindaco eletto per il Partito Colorado, Vilmar "Neneco" Acosta. E la sua denuncia, costante e ricorrente negli ultimi anni, è stata la causa del suo decesso.
Dopo il duplice omicidio, sia in Paraguay che oltre confine, c’era la certezza quasi assoluta che dietro ci fossero alcuni membri del sistema politico paraguaiano.
Nel novembre del 2014, appena un mese dopo il fatto di sangue, quando giornalisti italiani, argentini, uruguaiani e paraguaiani che conoscevano Pablo Medina organizzarono un evento pubblico in omaggio al collega nella Plaza de la Democracia, era ormai di dominio pubblico il fatto che la narco politica era coinvolta nel doppio assassinio. Come avvenuto con i 18 giornalisti assassinati dall’inizio della vita democratica in Paraguay. Primo tra tutti il collega Santiago Leguizamón il cui omicidio è ancora senza colpevoli, come quello di tanti altri.
Sia la cittadinanza che il giornalismo paraguaiano hanno indicato come complici della morte di Pablo e di Antonia certi personaggi della ragnatela politica installata nel Parlamento nazionale del paese fratello e in diverse posizioni politiche dell'interno del territorio guaranì. La morte di Medina, che lavorava per il giornale ABC Color, e di Antonia, quel tragico 14 ottobre 2014, scoperchiò la punta di un iceberg chiamato corruzione ai massimi livelli.
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Vilmar "Neneco" Acosta, era sindaco della città di Ypejhú per il Partito Colorado quando Pablo Medina fu colpito a morte. Era sostenuto (e lo è ancora oggi) dalla deputata del Partido Colorado Cristina Villalba soprannominata "La Madrina", come aveva scritto Pablo Medina stesso nel suo computer. E per di più, qualche minuto dopo l’attacco, la deputata avrebbe parlato con "Neneco" Acosta tramite cellulare. La comunicazione è stata confermata e verificata ma non investigata a dovere, perché la deputata si appellò ai suoi privilegi. Quindi la signora Villalba (il cui fratello è un personaggio strettamente coinvolto in vicende di contrabbando ed altre faccende illecite), rimane impunita. A non sfuggire alla giustizia, invece, sorprendentemente, è stato Vilmar "Neneco” Acosta che, sospettato di essere il mandante dell'attentato, si era dato alla latitanza e venne arrestato in Brasile. Cerco di eludere l'estradizione senza riuscirci, e fu processato e condannato a 39 anni di prigione accusato di essere stato il mandante del duplice omicidio. Per quanto riguarda i sicari che premettero i grilletti delle loro armi, uno di loro venne fermato in Brasile a causa di un episodio di violenza domestica: si tratta del nipote di "Neneco" Flavio Acosta Riveros la cui estradizione è stata sospesa ed è in attesa di processo in territorio brasiliano per il doppio crimine. L'altro sicario era il fratello di "Neneco" Wilson Acosta, che fino ad ora non è stato trovato, e ci sono dei sospetti che si nasconda in Paraguay presso le comunità indigene. Quel che è certo è che nel caso Medina abbiamo il mandante dietro le sbarre, un sicario detenuto ed un altro latitante. Per tanto l'impunità è sempre presente.
La ragnatela politica nell'assassinio di Pablo ed Antonia è emerso anche quando a seguito del duplice omicidio, il Ministro della Suprema Corte di Giustizia del Paraguay, Dr. Víctor Núñez dovette dare le dimissioni travolto da uno scandalo di grandi proporzioni per evitare di venire sottoposto ad un processo politico. Un processo politico che avrebbe dovuto affrontare (con l’inevitabile effetto mediatico), per il suo presunto legame con il clan Acosta e, ancora di più, con l’assassinio di un ex sindaco di Ypejhú (Julián Núñez) e con quello di Pablo ed Antonia, per un eventuale grado di complicità o di insabbiamento. I sospetti che Víctor Núñez avesse dei legami e dei rapporti disonesti con gli Acosta vennero alla luce pubblica molti mesi prima del crimine di Pablo, e Pablo stesso scrisse molto al riguardo, nel quotidiano ABC. La risposta di Víctor Núñez a Medina fu drastica e lapidaria: lo screditò pubblicamente. Ma i fatti hanno avuto l’ultima parola: Víctor Núñez si allontanò dal suo incarico e fu trasferito ad altro incarico in una importante istituzione con un elevato stipendio.
Questi avvenimenti sono avvenuti nel periodo di Horacio Cartes. E questo è di certo alquanto significativo. Non sorprende che, in tutte le proteste pubbliche di giornalisti e del popolo, a seguito del duplice crimine, le responsabilità nell'attentato ricaddero su Cartes ed il sistema politico.
Non c’erano striscioni né canzoni in strada, ma l’espressione di un popolo consapevole prima e dopo della realtà della loro terra.
Gli avvenimenti storici del Paraguay, precedenti la dittatura di Stroessner, durante e dopo, se analizzati in profondità, in realtà hanno anche una realtà di fondo dove, oltre al genocidio imposto dal Piano Condor, il narcotraffico e la vita politica si sono alleati per ottenere sostanziosi guadagni e potere e, in qualche occasione (i più frequenti), per togliere la vita di chi rappresenta un ostacolo ai loro scopi.
Come dicevamo prima, con l’omicidio di Pablo sono circa 20 gli omicidi di giornalisti in Paraguay.
Di questa cifra sconvolgente, i fatti di sangue su cui è stata fatta luce, raggiungono il 95%. Cioè, c'è quasi un cento percento di impunità, fino ad oggi. I criminali continuano a camminare per le strade del Paraguay come se niente fosse.
I criminali che hanno premuto il grilletto delle loro armi; ed i criminali che ordinano loro di eseguire esecuzioni; ed i criminali che li proteggono e garantiscono loro l’impunità, dalle privilegiate poltrone del potere: politico e giudiziale.
La ragnatela politica in Paraguay, includendo il narcotraffico, il contrabbando di sigarette, ed altri traffici illeciti, non sono per niente una metafora. È un fatto concreto e tangibile.

* Asuncion, Paraguay

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