di Aaron Pettinari
Per il Gup l'ex leader di Confindustria Sicilia era "il motore di un meccanismo perverso di conquista e gestione"
Servendosi degli "accessi abusivi al sistema informatico", riuscendo a "ottenere mediante sistematiche azioni di corruzione, notizie segrete" su "indagini" o sul contenuto "della banche dati della polizia" l'ex leader di Confindustria Sicilia Antonello Montante "non gestiva potere, ma lo creava" ed "utilizzava il potere conquistato negli Enti pubblici e privati quale bacino per collocare i clientes" come "moneta di pagamento per i favori illeciti che questi gli rendevano". Sono queste alcune delle considerazioni che il Gup di Caltanissetta Graziella Luparello ha scritto nelle 1.724 pagine delle motivazioni della sentenza del processo in cui lo stesso imprenditore è condannato a 14 anni di reclusione. "La sistemazione lavorativa o il trasferimento del pubblico ufficiale di turno, o di parenti o amici di questi - scrive il Gup - era la valuta spesa da Montante per remunerare i sodali; una sorta di ripartizione degli utili prodotti da un'impresa che, con modalità illecite, creava e gestiva il potere. Infine Montante era colui al quale va doverosamente riconosciuto il diritto d'autore sulla nascita dell''Antimafia confindustriale' quale forma di 'business' utile a garantire un posto ai tavoli che contano".
La sentenza ricostruisce il ruolo avuto da Montante in combutta con gli altri condannati: in particolare con il poliziotto Marco De Angelis e l’ex ispettore della squadra mobile di Palermo Diego Di Simone Perricone: "È evidente come Montante, Di Simone e De Angelis - è messo agli atti - fossero legati da un foedus (patto, ndr) da cui nasceva una organizzazione stabile, il cui oggetto sociale consisteva nella commissione di un numero indeterminato di accessi abusivi al sistema informatico". E secondo il gup è "altrettanto evidente come Montante fosse legato da analogo rapporto associativo con l’imprenditore Massimo Romano, con il colonnello Gianfranco Ardizzone (ex capocentro della Dia di Caltanissetta), gli ufficiali della Finanza Ettore Orfanello e Mario Sanfilippo, responsabili di avere orientato l’attività istituzionale - tra verifiche fiscali e indagini penali - verso il soddisfacimento dell’interesse personale di Montante, ricavandone apprezzabili e significative utilità (posti di lavoro e trasferimenti)".
In principio era "Provvidenza"
Secondo la ricostruzione del giudice la svolta nell'universo Montante sarebbe arrivata negli anni 2004-2005, ovvero "gli anni in cui si travestiva da uomo della Provvidenza, unto dal Signore per redimere i peccatori, fossero essi imprenditori, giornalisti o liberi professionisti, flagellarli per i loro misfatti e purificarli". E' nel 2004, infatti, che l'ex presidente di Confindustria Sicilia ha iniziato a denunciare atti intimidatori, "commessi da vacue sagome talmente impalpabili e diafane da sfuggire persino all'attenta percezione degli stessi appartenenti alla mafia - si legge nella sentenza -. Le denunce di quelle presunte minacce costituivano il primo sintomo di quella degenerazione superoministica che conduceva, lentamente, Montante alla deriva".
Montante viene descritto dal giudice come un "demiurgo non già del linguaggio dell'antimafia, ma dell'antimafia del linguaggio" che "autoinsignitosi 'paladino dell'antimafia', ha esteso l'etichetta ai suoi amici e sodali, dichiarando mafiosi i suoi avversari, in difetto di qualsiasi prova di mafiosità". Secondo il Gup, tramite quell'operato si è "assistito a un 'golpe' linguistico" con la parola "mafia diventata il luogo nominale nel quale confinare tutti gli eretici alla religione di Montante, volta alla costruzione di un sistema di potere formalmente corale, ma sostanzialmente egocatrico" mentre la parola "antimafia era il santuario degli osservanti morigerati del pensiero di Montante" per assicurarsi "ascesa sociale e occupazione di posti di potere".
"La presunta attività di contrasto alla criminalità organizzata - scrive il Gup - tanto agitata dalla difesa di Montante, si limitava all'azione di denuncia condotta da pochi elementi (tra i quali Cicero) che, con una sorta di involontario 'naif' comportamentale e senza raffinati filtri critici, si immergeva in azioni di contrasto contro soggetti, alcuni dei quali, si scoprirà essere stati oggetto di attenzione dossieristica da parte di Montante. Dunque - osserva il Gup - non regge affatto la tesi per cui Montante, lungi dall'essere il vertice del sodalizio criminale, era il paladino dell'Antimafia".
E in quel meccanismo l'ex leader di Confindustria Sicilia era "il motore di un meccanismo perverso di conquista e gestione occulta del potere che sotto le insegne di un'antimafia iconografica ha sostanzialmente occupato mediante la corruzione sistematica e le raffinate operazioni di 'dossieraggio' molte delle istituzioni pubbliche dando vita a un fenomeno che non è mafia bianca, ma trasparente, apparentemente priva di consistenza tattile e visiva e perciò in grado di infiltrarsi eludendo la resistenza delle comuni misure anticorpali".
Dossieraggi e vendette
"Il quadro che si profila - prosegue il Gup - è quello di una spiccata attitudine di Montante alla manipolazione della realtà, mediante manovre di varia natura, unificate, sul piano teleologico, dall'obiettivo di precostituire prove a sé favorevoli". In un altro passaggio delle motivazioni della sentenza viene fatto un esempio dei "sistemi di vendetta" che venivano applicati contro i "nemici": "Una delle dimostrazioni più eclatanti della serietà dei propositi di vendetta di Montante, aduso alla repressione del dissenso come nei più chiusi regimi dittatoriali, la si rinviene nell'attività, dallo stesso ordinata ed esercitata, di illecita acquisizione e conservazione di dati sensibili relativi ai suoi avversari, attuali o potenziali, dati che diventavano sovente il mezzo per ricattare gli oppositori e piegarne la volontà". "Tali dati - scrive la Luparello - unitamente a tanta altra documentazione rinvenuta nella villa di Montante, nella 'stanza diciamo della legalità', ossia email, articoli di giornali, trascrizioni di sms costituivano un imponente archivio funzionale a tale obiettivo: non già l'accumulo fine a se stesso, nell'ambito di una triste e caotica sillogomania, ma un autentico armamentario di informazioni da utilizzare all'occorrenza animo nocendi". Le "minacce di vendetta" lanciate dall'ex numero uno degli industriali siciliani nei confronti "dei 'traditori' o degli 'eretici', come pure possiamo definirli - si legge ancora nelle motivazioni della sentenza - non possono essere liquidate, semplicemente, come innocue manifestazioni di straripamento verbale, legate a contingenti situazioni di nervosismo, trattandosi in realtà dello strumento mediante il quale l'imprenditore di Serradifalco soggiogava chi gli stava intorno, consapevole che un atto di ribellione sarebbe stato pesantemente sanzionato. Actis, e non semplicemente verbis".
"Il controspionaggio sulle indagini"
Ma l'operato di Montante non si sarebbe limitato alla raccolta dei dati ma anche ad un'attività di "controspionaggio rispetto all'attività investigativa", con una "capacità di inquinamento" delle indagini "esercitata all'ostinato fine di detergere la propria immagine dalle imbarazzanti macchie della contaminazione mafiosa".
Proprio per mantenere quell'immagine di paladino dell'antimafia "mentre i collaboratori di giustizia rendevano dichiarazioni" sul suo conto, l'ex numero uno di Confindustria Sicilia "avviava una raccolta di informazioni nei loro confronti, in una sorta di controspionaggio rispetto all'attività investigativa". "Il 5 marzo 2010 Montante ordinava e otteneva l'accesso abusivo al sistema Sdi della Polizia di Stato nei riguardi di coloro che - Aldo Riggi, Pietro Riggio e Carmelo Barbieri - solo nel 2015 si scoprirà, per effetto della discovery giornalistica, essere stati i primi dichiaranti ad averlo accusato di sinistre relazioni con appartenenti alla mafia". Una circostanza che secondo il gup può essere spiegata "solo ammettendo che Montante, in quel periodo, avesse beneficiato di una gravissima fuga di notizie, coperte dal segreto investigativo, da parte di una fonte estremamente qualificata, come emerge dalla precisione chirurgica della notizia pervenutagli". In alcune ricostruzioni giornalistiche del 2015, infatti, tra i collaboratori che avevano tirato in ballo l'ex leader degli industriali dell'Isola compariva anche Crocifisso Smorta. Eppure, annota Luparello, l'imprenditore di Serradifalco "nel 2010, aveva ricevuto la notizia in maniera esatta, tanto da escludere il citato Smorta dal novero dei soggetti spiati. Circostanze particolarmente inquietanti, che dimostrano l'elevata pervasività del potere esercitato da Montante, capace di infiltrarsi persino nel Palazzo di giustizia". Nel tempo Montante avrebbe messo in atto "spasmodici tentativi di blindare il proprio sistema di potere, captando le notizie di indagine che lo interessavano e sviluppando i dati che gli pervenivano dagli accessi illegali alle banche dati in uso alle forze di polizia". E per farlo, scrive ancora il gup, ha cercato di "inquinare l'attività investigativa, ingerendosi nelle dichiarazioni che persone informate dei fatti, allo stesso legate da rapporti di prossimità di varia natura avrebbero reso agli inquirenti".
Foto © Imagoeconomica
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