di Aaron Pettinari e Giada Trobbiani
Sono già passati 31 anni da quando quella notte del 26 settembre 1988, il giornalista e sociologo Mauro Rostagno veniva assassinato, colpito dai colpi di un fucile calibro 12 ed una pistola calibro 38, mentre faceva ritorno alla comunità Saman alla guida della sua Duna bianca. Aveva soltanto 46 anni.
La sua è una storia che racconta più “vite”: sociologo, attivista politico all’interno di "Lotta Continua” (movimento di orientamento comunista a sostegno del potere operaio), quindi giornalista e conduttore per RTC, capace di denunciare malaffari e collusioni.
Originario di Torino e figlio di dipendenti della Fiat si sposa ad appena 19 anni, subito dopo il diploma di maturità scientifica. Tuttavia il giovane matrimonio non è destinato a durare tant'è che si separa dalla moglie per trasferirsi prima in Germania e poi in Inghilterra.
La volontà di diventare giornalista inizia a crescere e così, in seguito all'espulsione da Parigi per via di una manifestazione giovanile, torna in Italia, a Trento, per iscriversi alla Facoltà di Sociologia da cui ne uscirà con il massimo dei voti. Nel frattempo diventa leader di punta del movimento studentesco e, nel 1969, decide di incanalare il suo attivismo politico e sociale contribuendo alla fondazione di “Lotta Continua". Sulla scia dell'interesse verso la politica, si sposta per qualche anno a Palermo insieme alla compagna Chicca Roveri (da cui avranno la figlia Maddalena) per poi ripartire alla volta di Milano in cui, assieme ad altri dodici fondatori, dà origine a Macondo, circolo culturale e contenitore d'arte destinato a chiudere dopo soli quattro mesi per sospette attività legate all’uso di sostanze stupefacenti.
Da quel momento il percorso di Rostagno prende un’ulteriore via. In seguito all'esperienza in India, dove si era unito alla comunità degli “arancioni” di Osho, rientrato in Italia realizza al fianco della Roveri e di Francesco Cardella la comunità Saman, una realtà dedita ad attività terapeutiche e di recupero tossicodipendenti.
In questo stesso periodo lavora a Trapani come giornalista e conduttore per l'emittente televisiva locale RTC di cui si avvale per denunciare le collusioni tra mafia, politica locale e massoneria.
E’ tale suo operato a portarlo ad essere etichettato come “camurria”, un rompiscatole, proprio dal boss di Castelvetrano Francesco Messina Denaro (padre del superlatitante Matteo che a quel tempo presiedeva i vertici di Cosa Nostra nel trapanese). E sarà proprio a causa dei suoi scomodi interventi e dell'“esemplare lavoro giornalistico” che Mauro Rostagno viene brutalmente ucciso. Perché fece ciò che in pochi, al tempo, avevano il coraggio di fare a Trapani: informare e denunciare.
Lo si legge chiaramente leggendo le motivazioni delle sentenze emesse nei processi sull’assassinio.
Nel corso degli anni numerose erano state le ipotesi per il delitto. C’è stato chi ha sostenuto che Rostagno fosse stato ucciso per la sua intenzione di accusare i suoi compagni di Lotta Continua per l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, chi invece ha ritenuto che la sua morte sia stata pianificata dagli stessi coordinatori della comunità Saman, poiché aveva scoperto un traffico interno di stupefacenti.
Ma vi è dell’altro.
Mauro e Maddalena Rostagno
Lo scorso 21 marzo i giudici della seconda sezione della Corte d'Assise di Appello di Palermo, presidente giudice Frasca a latere giudice Murgia, hanno depositato le motivazioni della sentenza con la quale il 19 febbraio dell'anno scorso hanno confermato l'ergastolo per il capo mafia di Trapani Vincenzo Virga e assolto (riformando la sentenza di primo grado) il boss mafioso e conclamato killer di Custonaci Vito Mazzara. In 451 pagine i giudici hanno spiegato le ragioni della conferma della condanna all'ergastolo per Virga e dell'annullamento, "per non aver commesso il fatto", della stessa condanna inflitta in primo grado nei confronti di Mazzara che era stato indicato come esecutore materiale del delitto. Di fatto i giudici hanno confermato che il giornalista-sociologo venne eliminato perché, anche attraverso gli schermi della tv privata RTC, aveva alzato il velo sugli interessi di Cosa nostra a Trapani. Nelle motivazioni della sentenza i giudici ricordano le parole del pentito di mafia Francesco Marino Mannoia per cui Rostagno "creava fastidio al boss Agate allo stesso modo con il quale Peppino Impastato aveva infastidito Gaetano Badalamenti: vale a dire al punto da indurlo a decretarne la sua soppressione”. Con i suoi servizi, secondo l'accusa, Rostagno avrebbe "svelato il volto nuovo della mafia in città": il passaggio da organizzazione tradizionale a struttura moderna e dinamica, gli intrecci con i poteri occulti, le nuove alleanze, il controllo del grande giro degli appalti.
Considerazioni che si aggiungono a quelle dei giudici della Corte d’Assise di Trapani, presieduta da Angelo Pellino, che aveva sottolineato come obiettivo dell’omicidio era "mettere a tacere per sempre quella voce che come un tarlo insidiava e minava la sicurezza degli affari e le trame collusive delle cosche con altri ambienti di potere”.
Pur essendo preponderante, e confermato, il movente mafioso per il delitto, in lontananza si intravedono anche altri interessi. E’ certo che Rostagno dava fastidio per le sue molteplici inchieste, per gli editoriali su RTC e per quell'opera di “sensibilizzazione della coscienza civile sul temi della corruzione, della lotta alla mafia e al traffico di droga”.
Inchieste delicate che avevano portato Rostagno ad indagare su certi apparati segreti, come rivelato da alcuni suoi appunti, sulla massoneria deviata ed il “Circolo Scontrino”.
Ad avvalorare la teoria che dietro il delitto Rostagno non vi fosse solo la mafia anche le molteplici difficoltà riscontrate nel corso delle indagini, tra rallentamenti, scomparsa di prove, ed indagini deficitarie (testimoni chiave ascoltati con ritardo o intercettazioni attivate solo otto mesi dopo l’omicidio, ndr).
L’ombra di veri e propri depistaggi condotti sul caso che dai giudici di primo grado, nelle motivazioni della sentenza, sono stati affrontati con accuratezza. Ad esempio è stato messo in evidenza come, quando ancora il corpo di Rostagno era riverso sul volante della sua Fiat Duna, scattarono subito “colpevoli ritardi e inspiegabili omissioni” da parte di chi doveva indagare.
Secondo la corte vi è stata “la soppressione o dispersione di reperti, la manipolazione delle prove e reiterati atti di oggettivo depistaggio”. E' cosa nota che dalla sede di RTC scomparve la videocassetta su cui Rostagno aveva scritto “Non toccare”. Lì, probabilmente, c’era il suo ultimo scoop, la registrazione con le riprese del presunto traffico d'armi nei pressi della pista d'atterraggio di Kinisia.
Un elemento di prova scomparso così come non si ritrovano le lettere che Rostagno si scambiava con il fondatore delle Brigate Rosse Renato Curcio, il memoriale sull’omicidio del commissario Luigi Calabresi, o la partizione del proiettile calibro 38 estratto dal corpo del sociologo durante l’autopsia.
Tra i documenti svaniti nel nulla c'è anche una relazione degli 007 del centro Scorpione, una delle 5 basi della VII divisione del Sismi, da cui dipendeva la famosa “Gladio” (organizzazione paramilitare clandestina italiana di tipo stay-behind), che riguardava il centro Saman.
I giudici sottolineano anche “l'inconsistenza delle piste alternative” che avevano cercato di classificare l’omicidio Rostagno come una “questione di corna” o come un delitto maturato all’interno della Saman coinvolgendo elementi della sua stessa famiglia. Le nuove sentenze, almeno in parte, rendono oggi giustizia.
Intanto, per la verità completa, si dovrà ancora attendere. Magari sperando che il processo in corso nei confronti di tredici imputati, accusati di falsa testimonianza compiuta durante il processo di primo grado, possa far emergere qualche tassello in più. Nei giorni scorsi è stato chiamato a deporre l'ex vigile urbano e massone trapanese Nino Corselli, iscritto alla loggia massonica Iside 2, il quale ha sostenuto che Cardella "era apprezzato da esponenti di spicco della massoneria trapanese". Tra gli altri imputati vi sono anche Antonio Giaquinto, massone e dentista della Saman, che a detta di Corselli “parlava molto bene di Cardella”, i luogotenenti Beniamino Cannas (carabinieri) e Angelo Voza (guardia di finanza), la professoressa Caterina Ingrasciotta, vedova di Puccio Bulgarella (editore di RTC) ed ancora, Leonie Chizzoni Heur, vedova del generale Angelo Chizzoni, Natale Torregrossa, l'ex numero due della loggia massonica segreta trapanese Iside 2, Antonio Gianquinto, Liborio Fiorino, Salvatore Martines, Rocco Polisano e il giornalista Salvatore Vassallo.
Un'attesa di verità che si ripete. In fondo, son passati "solo" 31 anni.
Caso Rostagno: nel giorno della memoria una verità ancora nell'ombra
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