di Paolo Borrometi
Era il 26 agosto 2014 quando mi dissero “Borrometi la sua vita è in pericolo, da oggi la sua vita sarà con una scorta”. Con oggi entro nel sesto anno, anni duri e difficili, fatti da minacce drammatiche e da una sfilza di processi per le condanne a morte dei boss, ma con me ci sono sempre stati Loro. Ed il mio primo ringraziamento va proprio a Loro, ai Carabinieri che in tutti questi anni hanno protetto la mia vita. E con Loro a tutti gli inquirenti, alla Polizia che ha fatto le indagini, ai Magistrati di Catania, di Ragusa e di Siracusa che mi hanno salvato da nuovi intenti criminali.
Agli amici che mi hanno protetto da un tragico isolamento, a quella scorta mediatica fatta da tante colleghe e colleghi. Ai cittadini che hanno preso coraggio e hanno denunciato. A tutti Voi che siete qui a leggermi ed a fare squadra.
La notte fra il 24 e il 25 agosto 2014 aveva tracciato ancora una volta un confine ideale nella mia vita. Un incendio era stato appiccato alla porta di casa, con il chiaro intento di togliermi di mezzo, divorato dalle fiamme, come un topo in gabbia. Ero già stato aggredito, il 16 aprile del 2014, e da allora vivo con una spalla molto più che ammaccata. Così arrivammo alla più grande vittoria dello Stato, quando il 10 aprile dell’anno scorso il Giudice per le Indagini Preliminari di Catania scrisse che era pronta un’eclatante azione omicidiaria per eliminare lo scomodo giornalista Borrometi. E con me Loro, gli Uomini della scorta.
Agli occhi di molti sembra quasi che la vita sotto scorta sia un privilegio e non un inferno popolato da alcuni angeli e da molti demoni. Io quel pizzico di libertà fisica l’ho persa, ma non va drammatizzata perché da allora ho capito che la libertà più importante è quella della coscienza. Ed avere la coscienza pulita non ha prezzo!
In questi giorni c’è stato qualcuno che ha provato, in ogni modo, a falsificare la realtà, a “mascariarla” perché convinto che, gettando fango addosso a chi denuncia, possa far passare in secondo piano le proprie colpe e le proprie condanne. Tutto per colpa di queste denunce, per colpa degli articoli e del mio libro “Un morto ogni tanto”.
A me piace ricordare una cosa, però: in tutti questi anni ho continuato a scrivere, senza mai arretrare. Spaventato sì, ma non piegato. Ho continuato a denunciare, a descrivere gli affari mafiosi, le collusioni con la politica e quelle con l’imprenditoria. E l’ho fatto facendo nomi e cognomi. L’ho fatto perché l’Articolo 21 della Costituzione è anche e soprattutto - come ripeto sempre - il diritto Vostro, dei cittadini, ad essere informati.
Ma lo ribadisco, facciamo squadra. Questo Paese ha bisogno di cittadini che non si girino dall’altra parte, altrimenti sarà tutto perso.
Al di là della singola vita di ognuno di Noi, comunque andrà, ho imparato una grande lezione: è il Noi che vince, e vince sempre.
Tratto da: articolo21.org
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