Adesso arrestateci tutti
L'appello di Marco Travaglio alla disobbedienza civile contro il nuovo ddl sulle intercettazioni. L'adesione di molti esponenti del mondo giornalistico.
di Marco Travaglio - 15 giugno 2008
L’altro giorno, fingendo di avanzare un’«ipotesi di dottrina», Giovanni
Sartori ha messo in guardia sulla Stampa dai «dittatori democratici» e
ha spiegato: «Con Berlusconi il nostro resta un assetto costituzionale
in ordine, la Carta della Prima Repubblica non è stata abolita.
Perché
non c’è più bisogno di rifarla: la si può svuotare dall’interno».
«Si impacchetta la Corte costituzionale, si paralizza la magistratura.
si può lasciare tutto intatto, tutto il meccanismo di pesi e
contrappesi. E di fatto impossessarsene, occuparne ogni spazio. Alla
fine rimane un potere 'transitivo' che traversa tutto il sistema
politico e comanda da solo». Non poteva ancora sapere quel che sarebbe
accaduto l'indomani: il governo non solo paralizza la magistratura, ma
imbavaglia anche l'informazione abolendo quella giudiziaria. E, per chi
non avesse ancora capito che si sta instaurando un regime, sguinzaglia
pure l'esercito per le strade. Nei giorni scorsi abbiamo illustrato i
danni che il ddl Berlusconi-Ghedini-Alfano sulle intercettazioni
provocherà sulle indagini e i processi. Ora è il caso di occuparci di
noi giornalisti e di voi cittadini, cioè dell'informazione. Che ne esce
a pezzi, fino a scomparire, per quanto riguarda le inchieste della
magistratura. Il tutto nel silenzio spensierato e irresponsabile delle
vestali del liberalismo e del garantismo un tanto al chilo. Che, anzi,
non di rado plaudono alle nuove norme liberticide. Non si potrà più
raccontare nulla, ma proprio nulla, fino all'inizio dei processi. Cioè
per anni e anni. Nemmeno le notizie «non più coperte da segreto»,
perché anche su quelle cala un tombale «divieto di pubblicazione» che
riguarda non soltanto gli atti e le intercettazioni, ma anche il loro
«contenuto». Non si potrà più riportarli né testualmente né «per
riassunto». Nemmeno se non sono più segreti perché notificati agli
indagati e ai loro avvocati. Niente di niente. L'inchiesta sulla
premiata macelleria Santa Rita, con la nuova legge, non si sarebbe mai
potuta fare. Ma, anche se per assurdo si fosse fatta lo stesso, i
giornali avrebbero dovuto limitarsi a comunicare che erano stati
arrestati dei manager e dei medici: senza poter spiegare il perché, con
quali accuse, con quali prove.
Anche l'Italia, come i regimi totalitari sudamericani, conoscerà il
fenomeno dei desaparecidos: la gente finirà in galera, ma non si saprà
il perché. Così, se le accuse sono vere, le vittime non ne sapranno
nulla (i famigliari dei pazienti uccisi nella clinica milanese, che
stanno preparando una class action contro i medici assassini, sarebbero
ignari di tutto e lo resterebbero fino all'apertura del processo, campa
cavallo). Se le accuse invece sono false (come nel caso di Rignano
Flaminio, smontato dalla libera stampa), l'opinione pubblica non potrà
più sapere che qualcuno è stato ingiustamente arrestato, né come si
difende: insomma verrà meno il controllo democratico dei cittadini
sulla Giustizia amministrata in nome del popolo italiano.
Chi scrive qualcosa è punito con l'arresto da 1 a 3 anni e con
l'ammenda fino a 1.032 euro per ogni articolo pubblicato. Le due pene -
detentiva e pecuniaria - non sono alternative, ma congiunte. Il che
significa che il carcere è sempre previsto e, anche in un paese dov'è
difficilissimo finire dentro(condizionale fino a 2 anni, pene
alternative fino a 3), il giornalista ha ottime probabilità di finirci:
alla seconda o alla terza condanna per violazione del divieto di
pubblicazione (non meno di 9 mesi per volta), si superano i 2 anni e si
perde la condizionale; alla quarta o alla quinta si perde anche
l'accesso ai servizi sociali e non resta che la cella. Checchè ne dica
l'ignorantissimo ministro ad personam Angelino Alfano.