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Si punta su vecchi boss e nuove leve per una nuova Cupola in nome degli affari
di Aaron Pettinari

E' una "nuova" Cosa nostra quella che si sta riorganizzando dopo la morte del Capo dei capi, Totò Riina. Cambiano gli equilibri interni, si sviluppano nuove strategie ma per proiettarsi verso il futuro si guarda più al passato, affidandosi ai vecchi boss. La relazione semestrale della Dia, pubblicata il mese scorso, aveva dato atto della nuova transazione con tanto di riorganizzazione formale della Cupola. Negli anni passati le famiglie palermitane ci avevano provato più volte ma c'era un "tappo" segnato dalla presenza "ingombrante" dei corleonesi storici, Totò Riina e Bernardo Provenzano, che, seppur in carcere, avevano stabilito regole chiare e ferree. Con la morte dei due storici capimafia i boss palermitani si sono sentiti più liberi di rimescolare il mazzo del potere su Palermo, riorganizzando i propri assetti e rivedendo alcuni equilibri tradizionali.
E' così che si può leggere quella voglia di dialogo, dimostrata dalle operazioni più recenti, "Cupola 2.0" e "New Connection", con il gruppo dei cosiddetti "scappati", o "americani", e dei loro discendenti, ovvero i sopravvissuti perdenti della guerra di mafia vinta dai corleonesi, capaci di recuperare l'antico potere anche rapportandosi con la storica ala corleonese, forti anche di quei rapporti mai perduti con Cosa nostra americana.
Così a Passo di Rigano tutti cercavano Tommaso e Francesco Inzerillo (il fratello di Salvatore, il capo indiscusso dello schieramento fatto uccidere da Riina l’11 maggio 1981), scappati in America durante la mattanza e rientrati a Palermo da qualche tempo per riprendersi il potere.
Anche Settimio Mineo, il capomafia di Pagliarelli che era stato designato al vertice della nuova Cupola, aveva avuto più incontri (almeno quattro quelli registrati dagli inquirenti, ndr) con i due Inzerillo. E pensare che un tempo proprio il mandamento di Pagliarelli, con al vertice Antonino Rotolo, era pronto alla guerra pur di evitare il ritorno degli scappati nel capoluogo siciliano. “Questi Inzerillo erano bambini e poi sono cresciuti - diceva Rotolo intercettato nel 2006 nell'inchiesta Gotha - questi ora hanno trent'anni. Come possiamo, noi, stare sereni... Se ne devono andare. Devono starsene in America. Si devono rivolgere a Saruzzo (Naimo) e se vengono in Italia li ammazziamo tutti”.
Non accadde nulla, Rotolo venne arrestato così come Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo, ovvero due dei principali "sponsor" per il rientro degli storici padrini di Passo di Rigano. L'operazione di luglio ha svelato proprio il ruolo degli Inzerillo anche se formalmente, o sarebbe meglio dire di facciata, a guidare il mandamento vi era Giovanni Buscemi. Sarà quest'ultimo, infatti, a partecipare alla riunione della nuova cupola, organizzata nel maggio dell'anno scorso in una palazzina a Baida. Erano presenti anche altri boss come Gregorio Di Giovanni, capomafia di Porta Nuova, Francesco Colletti di Villabate, l'enfant prodige di Brancaccio-Ciaculli Leandro Greco, nipote del "Papa" Michele Greco, e Calogero Lo Piccolo di San Lorenzo.
Secondo gli analisti della Dia anche se il tentativo di ricostituzione della Cupola non ha avuto successo, così come avvenuto in passato, "l’organizzazione palermitana continuerà a vivere una fase di transizione e di rimodulazione, durante la quale le componenti più autorevoli si confronteranno per conferire un nuovo assetto e nuovi capi, sforzandosi di perseguire la realizzazione di una struttura verticistica e unitaria". Guardando a questa ricerca di nuovi assetti è stato anche lanciato un allarme per un possibile ritorno alla violenza, anche alla luce dei contrasti storici tra certe famiglie.
La famiglia di Passo di Rigano aveva ricucito rapporti importanti anche con storici rivali "corleonesi". Gli investigatori hanno riportato anche dei rapporti con il boss dell'Uditore Gaetano Sansone, già condannato per mafia e legato storicamente a Totò Riina, anche lui arrestato nel blitz "New Connection". Una famiglia, quella di Uditore, che verrà descritta dal collaboratore di giustizia Filippo Bisconti come "la Svizzera" ("... praticamente se ne fregavano di fare riferimento a qualcuno, che loro praticamente non intendevano incontrare nessuno, quando avevano bisogno di qualche cosa se la risolvevano loro stessi, non andavano a cercare nessuno. Per Svizzera s’intendeva che non volessero fare riferimento a chicchessia, proprio questo specifico argomento era il senso di questa Svizzera, tra virgolette").
E sempre un altro uomo vicino agli Inzerillo, Michele Micalizi, nel 2016 si era incontrato con Giuseppe Biondino, il figlio dell'autista di Riina, Salvatore, allora capo mandamento di San Lorenzo, incontrandosi a casa di Giuseppe Lauricella (nipote di Micalizi), il cui nonno fu ucciso proprio dai corleonesi.
C'è dunque un accordo tra perdenti e vincenti in nome degli affari? Quel che è certo è che gli Inzerillo erano tornati a comandare prepotentemente nel territorio senza esporsi in prima persona.
Le indagini hanno dimostrato, ed esempio, come gli Inzerillo non avessero troppa fiducia nella nuova riorganizzazione (tanto da non partecipare al summit, ndr) in quanto si dubitava della "tenuta" delle nuove leve di Cosa nostra. L'intercettazione è quella del 22 gennaio 2019 in cui Tommaso Inzerillo parla con Giuseppe Spatola e Gabriele Militello di Leandro Greco, designato a entrare nella neo costituita commissione di Cosa nostra. "Quello ha ventiquattro anni, appena entra dentro si svuota (collabora, ndr)", diceva. Pur sbagliando la previsione (Greco nonostante l'arresto non ha collaborato con i pm, ndr) il capomafia non aveva tutti i torti tanto che altri due capimandamento finiti in manette, Colletti e Bisconti, hanno iniziato a collaborare con la giustizia nei mesi scorsi. Collaborazioni che potrebbero ulteriormente esasperare le conflittualità interne di Cosa nostra.

Ma chi oggi potrebbe porsi al vertice della mafia siciliana?
Anche in questo caso c'è da incrociare i dati delle operazioni con l'elenco degli scarcerati eccellenti di Cosa nostra perché per ripartire la mafia ha bisogno di figure di spessore che sappiano guidare le giovani leve senza particolari tentennamenti.
Leggendo le carte dell'Operazione Cupola 2.0 si evidenziano incontri tra Mineo ed Ignazio Traina, esponente in ascesa della famiglia di Santa Maria del Gesù. Quest'ultimo veniva accompagnato spesso anche Massimo Mancino, altro "affiliato" al clan.
Altro "scarcerato di peso" è Sandro Capizzi, figlio del capomafia Benedetto, che assieme al padre aveva già partecipato al tentativo di rifondazione della Cupola nel lontano 2008 (operazione Perseo, ndr), libero assieme a Salvatore Adelfio.
Anche nel 2011 ci fu un altro tentativo di riorganizzare Cosa nostra in una sorta di direttorio per evitare conflitti e scontri. Un progetto portato avanti da Giulio Caporrimo, boss di Tommaso Natale, tornato in libertà lo scorso maggio dopo aver finito di scontare il residuo di pena. Di recente nei suoi confronti è stato operato un sequestro di beni ma la sua influenza è tenuta in grande considerazione in un territorio importante come quello in cui hanno regnato a lungo i Lo Piccolo.
Anche Salvo Genova, reggente della famiglia di Resuttana, ha pagato il suo debito con la giustizia così come Salvatore Castiglione e Antonino Cumbo, in passato entrambi uomini di riferimento per Giovanni Bonanno, il reggente del mandamento di Resuttana inghiottito dalla lupara bianca nel gennaio 2006.
Tra gli scarcerati eccellenti, che ormai da un paio di anni sono tornati a passeggiare in libertà nei loro quartieri d’origine, vi è anche Gaetano Scotto, padrino dell’Acquasanta indicato dai pentiti come il trait d’union tra Cosa nostra e i servizi segreti negli anni neri delle stragi.
Sempre guardando ai boss in libertà va nominato anche Pietro Luisi, latitante dallo scorso giugno, considerato molto vicino a Fabio Scimò, capomafia di Brancaccio arrestato il giugno scorso. Secondo il gip “aveva di certo raggiunto un elevato ruolo gerarchico, se solo si consideri che poteva permettersi di relazionarsi direttamente con i trafficanti calabresi e acquistare ingenti quantità di sostanza stupefacente”.
Fermo restando che a Barancaccio nulla si muove se non per conto o con il benestare dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, non si può non evidenziar come tra le famiglie considerate in ascesa sia quella di Ciaculli. Addirittura è qui che, dicono gli inquirenti, si sarebbe spostato il baricentro dello storico mandamento dove il nome dei Greco era tornato prorompente a dispetto della giovane età di Leandro (28 anni).
Tra le figure di spicco di Ciaculli, secondo quanto riferito dal pentito Francesco Colletti, vi sarebbe anche Ignazio Ingrassia.
La mappa di Cosa nostra, ricostruita monitorando in particolare gli spostamenti di Settimo Mineo, indicano a Brancaccio Salvatore Nangano ed alla Noce l'anziano boss Salvatore Alfano e sempre di quel territorio è Francesco Vella, soggetto che ha avuto incontri con i due Inzerillo. Inoltre alla Noce va anche registrato il ritorno di Giancarlo Seditia, che ha finito di scontare la pena e che in passato è stato reggente.
A Passo di Rigano, con Tommaso e Francesco Inzerillo finiti in manette, tutti gli occhi sono puntati su Giovanni Inzerillo, figlio del defunto Totuccio. Nel 2018 decise di non presenziare ad una riunione d'affari, tenutosi su una barca a largo di Mondello, a cui diversamente parteciparono Tommaso Inzerillo, Giuseppe Spatola, Calogero Zito e Thomas Gambino, figlio di Joseph uomo d’onore della Cosa nostra americana.
Mandamento delicato è quello di Porta Nuova dove l'arresto di Gregorio Di Giovanni ha lasciato un vuoto al vertice del mandamento. Una famiglia che è strettamente legata a quella di Ciaculli se si tiene conto che il fratello di Leandro Greco si è sposato proprio con la figlia di Di Giovanni e che zio dello stesso rampollo è Nunzio Milano, anziano boss di Porta Nuova. Un cognome importante che vede oggi in stato di libertà Salvatore Milano, inteso Totuccio. Ma ci sono anche altri nomi finiti nelle informative degli inquirenti sono quelli di Sebastiano D'Ambrogio e Angelo Monti di Borgo Vecchio.
In libertà vi è anche Giuseppe Calvaruso, a Pagliarelli ex braccio destro del fu latitante Gianni Nicchi. Ha scelto di allontanarsi dalla Sicilia e di vivere in Emilia Romagna. Ma potrebbe non essere peregrina l'ipotesi di un suo controllo da lontano, così come in passato era stato per Vito Galatolo, ex boss dell'Acquasanta ed oggi collaboratore di giustizia che viveva a Mestre, in Veneto.
Quello di Pagliarelli è sempre stato un mandamento delicato. Un ruolo, sulla carta, potrebbe averlo il latitante Giovanni Motisi, inserito nell'elenco dei ricercati più pericolosi d'Italia, ricercato dal 1998 per omicidi, dal 2001 per associazione di tipo mafioso, dal 2002 per strage. Di lui si son perse quasi totalmente le tracce. I collaboratori più recenti ne parlano al passato, spingendosi a ipotizzare che sia morto. Nel 2009, tuttavia, il collaboratore di giustizia Angelo Casano diceva ai pm: "Giovanni Cangemi, quando eravamo a Pagliarelli ne parlava. Le uniche persone, dice, ch sanno dove si trova Giovanni Motisi sono io e mio padre Carmelo. Lui mi disse pure che l'unica persona ch può riprendere il potere di Altarello è lui, se lui arriva si riprende il potere". Quindi è lecito pensare che, considerato il background mafioso, Motisi potrebbe rappresentare l'uomo forte di Cosa nostra a Palermo. Intanto gli inquirenti non smettono di cercarlo. La caccia è stata riaperta quando i carabinieri hanno rinvenuto, durante una perquisizione in una casa di Casteldaccia, delle foto che lo ritraggono durante il compleanno di una delle figlie. Ma potrebbe essere stato quello uno degli ultimi contatti con la famiglia diretta. Perché da allora sul suo conto non vi è stata neanche un'intercettazione. Tra le ipotesi vi è anche quella che possa essere fuggito all'estero, magari in Francia dove in passato è stato trovato Giuseppe Falsone, accusato di essere il capoprovincia di Agrigento. Del resto, il pentito Angelo Casano ha detto che nel 2004 Motisi si sarebbe trasferito proprio nell’Agrigentino per dedicarsi alla propria latitanza.

Chi comanda Cosa nostra?
Un vero capo formalmente, seguendo le indagini, non esisterebbe anche se l'organizzazione si sta impegnando a riorganizzarsi nelle sue fondamenta. Un processo che parte da lontano e che trova compimento con la morte di Bernardo Provenzano e, più recentemente, di Totò Riina. Guardando ad un'intercettazione di qualche anno fa tra due boss come Sutera e Marchese si sottolineava proprio come il cambiamento passava necessariamente anche dalla morte degli altri "corleonesi". "Non se ne vedono lustro e niente li frega... ma no loro due soli (Riina e Provenzano, ndr), tutto 'u vicinanzo'" diceva sempre Marchese facendo poi i nomi dei più importanti appartenenti allo schieramento corleonese: i fratelli Graviano, Leoluca Bagarella e il latitante Matteo Messina Denaro. Quest'ultimo è ancora latitante mentre i primi sono in galera dove devono scontare svariati ergastoli. Sono gli stragisti ancora in vita. Nomi di spessore da cui è davvero difficile pensare di prendere totalmente le distanze. E gli incontri tra le famiglie corleonesi e quelle degli scappati dimostrano come l'intento sia proprio quello di trovare un nuovo equilibrio tra il vecchio ed il nuovo. Senza perdere di vista che il boss più carismatico in libertà altri non è che Matteo Messina Denaro, depositario dei segreti della stagione delle stragi, padre e padrone nel territorio di Trapani ma che già in passato ha dimostrato in più occasioni di poter dire la sua anche su Palermo.

In foto: Piovra su Palermo. Un dipinto di Gaspare Mutolo

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