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di Stefania Limiti e Antonella Beccaria - Pdf
Oltre un anno fa è uscito per l'editore Rubbettino un libro collettaneo intitolato Aldo Moro e l'intelligence. Il volume, curato da Mario Caligiuri, contiene un saggio firmato dallo storico Giacomo Pacini, Il Lodo Moro - L'Italia e la politica mediterranea. Appunti per una storia, in cui l'autore, che lavora all'Istituto Storico Grossetano della Resistenza e dell'Età Contemporanea, affronta un tema da tempo dibattuto: quello degli accordi sotterranei tra Italia e gruppi palestinesi la cui violazione, per qualcuno, avrebbe avuto come effetto ritorsivo la strage del 2 agosto 1980 avvenuta alla stazione di Bologna, confutando così le sentenze passate in giudicato.
Giacomo Pacini, però, non rientra affatto nel novero di chi tenta questa operazione di intorpidimento di fatti accertati. Per averne un esempio, si prenda un documento che lo storico toscano cita. Proviene dal Sismi, reca la data del 15 giugno 1981 e vi si legge che, a quella data, dieci mesi dopo la bomba di Bologna, “non si dovrebbe più fare affidamento sulla sospensione delle operazioni terroristiche in Italia e contro interessi cittadini italiani decisa dal Fplp nel 1973”.
Per Pacini la conclusione è questa: “Invero che dietro alla strage vi sia stata una rappresaglia ordinata dal vertice del Fplp sembra smentito” da quello stesso documento sia perché “vi troviamo un ulteriore riferimento all'accordo sotterraneo tra Italia e Fplp, sia perché da esso si evince che quantomeno fino a quel giugno 1981 il Fplp aveva rispettato il Lodo Moro e che quindi il movimento di Habash non ebbe a che fare con la strage di Bologna”.

I documenti del 1980
Conclusioni analoghe a quelle di Pacini sono state più volte espresse anche dal presidente dell'Associazione vittime del 2 agosto e dell'Unione vittime per stragi, Paolo Bolognesi. E a questo punto va spiegato perché arrivare oggi – a un anno dalla pubblicazione del libro a cui ha contribuito anche Pacini e a 39 dalla strage – a ricostruire ciò che c'è scritto nelle pagine dello storico. A ridosso dell'anniversario del massacro, praticamente ogni anno, si infiammano polemiche che vogliono fare cenere della matrice esecutiva “fascista” della strage, per la quale sono stati condannati in via definitiva tre esponenti dei Nuclei Armati Rivoluzionari, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (il quarto, Gilberto Cavallini, è attualmente sotto processo con l'accusa di concorso in strage).
Lo scorso 1° agosto, tramite l'agenzia Adnkronos, è stata diffusa la notizia che due deputati di Fratelli d'Italia, Federico Mollicone e Paola Frassinetti, hanno proposto la creazione di una commissione bicamerale di inchiesta sulla strage di Bologna che, tra l'altro, si occupi dell'“accordo tra i servizi italiani e quelli palestinesi per uno scudo dagli attentati a tutela del nostro territorio”. Due giorni dopo, il 3 agosto, sempre l'Adnkronos batte un'ulteriore notizia: “Strage Bologna, spuntano 2 note Sismi: 'minacce palestinesi' prima della bomba”.
La “paternità” della scoperta viene attribuita a Giacomo Pacini, e così è, dato che li ha scovati nei due milioni di documenti – non secretati – radunati nel corso dell'indagine ter sulla strage di Piazza della Loggia, avvenuta a Brescia il 28 maggio 1974. Il primo documento è datato 24 aprile 1980 e il secondo 12 maggio. In essi si parla di “operazioni a carattere intimidatorio” da parte del Fplp se, dopo la scoperta dei missili di Ortona nel novembre 1979, non fosse stata accolta una serie di richieste (anticipare il processo d'appello agli imputati, ridurre le condanne di esponenti dell'Autonomia Operaia, far assolvere Abu Saleh Anzeh e così via, come si può leggere).
Alla fine del primo documento del servizio segreto militare, tuttavia, viene scritto: “La dirigenza del Fplp ha ultimamente deciso che 'nessuna azione ritorsiva sarà comunque effettuata dal Fronte nei confronti dell'Ambasciata di Beyrut, del Capo Missione e del personale tutto nonché della collettività e degli interessi italiani in Libano' né prima né dopo il 15 maggio”. Nel documento successivo, quello del 12 maggio, viene aggiunto che in caso di risposta negativa alle richieste palestinesi, “la maggioranza della dirigenza e della base del Fplp intende riprendere – dopo sette anni – la propria libertà d'azione nei confronti dell'Italia, dei suoi cittadini e dei suoi interessi che potrebbero coinvolgere anche innocenti”.
Il documento del 15 giugno 1981, se si vogliono attribuire fondatezza e attendibilità piene a queste veline, dimostra – come sottolinea lo stesso Pacini – che quasi un anno dopo la strage di Bologna si è ancora nella stessa impasse. Dunque, se la matrice fosse palestinese, perché compiere un massacro che avrebbe rotto qualsiasi possibilità di trattativa per poi minacciare ancora nei mesi a seguire ritorsioni con cui spingere le istituzioni italiane ad accogliere le istanze del Fronte?

Rischio strumentalizzazioni
In ultimo, solo alcune brevi annotazioni. Da maggio ad agosto 1980, se i palestinesi avessero davvero voluto compiere una strage in Italia, non avrebbero dovuto “solo” organizzare l'attentato, ma avrebbero dovuto mettere in piedi una complessa macchina per “esfiltrare” i propri elementi coinvolti. Ma di tale operazione, tuttavia, non c'è traccia nelle comunicazioni dei servizi occidentali e nemmeno di quelli israeliani, non proprio amici dei palestinesi. Inoltre compito loro sarebbe stata anche l'organizzazione di una mole di notizie depistanti che portasse la macchina giudiziaria verso il mondo del nazifascismo italiano. Poco verosimile, soprattutto se si tiene conto che, nel maggio 1981, il neopresidente francese François Mitterand sottoscrisse un accordo con i palestinesi dell'Olp, di cui il Fronte faceva parte: aiuti in cambio informazioni su attentati in programma Oltralpe. Come il premier avrebbe potuto fidarsi se almeno alcuni di quelli, un anno prima, avevano davvero fatto saltare la stazione a Bologna?
Insomma, a valle di tutto, tre sono le considerazioni. La prima: difficile, se non impossibile, basare la riscrittura di una vicenda tanto complessa su due veline (tacendo nel caso specifico l'esistenza della terza). Da qui discende la seconda considerazione: se ci si limita a pochi fogli, il sospetto che si tratti di una strumentalizzazione sorge, soprattutto se si attribuiscono – quasi a voler cercare un blasone intellettuale di attendibilità – riletture della storia a studiosi seri come Giacomo Pacini, che non poco ha contribuito a far conoscere fenomeni come quelli legati a Gladio o all'Ufficio Affari Riservati del Viminale.
Ma più importante la terza considerazione: si tenta ancora una volta di fare il vuoto intorno ai familiari delle vittime, come Paolo Bolognesi e come tanti altri, accusandoli di fare ideologia invece che chiedere giustizia con ogni mezzo, senza tuttavia ricorrere alla violenza. Ai familiari si devono tanti sforzi che hanno portato a riaprire indagini e istruire processi, oltre che a introdurre nel 2016 nell'ordinamento italiano un reato come quello di depistaggio. Questo è l'aspetto più inaccettabile.

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