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di Antonella Beccaria
Clamorosa decisione della Corte d’Appello di Reggio Calabria

Nessun filtro di ammissibilità, ma si passa direttamente al giudizio. Accade a Reggio Calabria, dove il prossimo 10 ottobre prenderà il via un clamoroso processo di revisione per Giuseppe Gullotti, condannato in via definitiva il 22 marzo 1999 a 30 anni come mandante dell'omicidio di Beppe Alfano, il giornalista (l'ultimo assassinato in Italia) falciato l'8 gennaio 1993 da tre proiettili calibro 22 a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina. A comunicarlo è stato il presidente della prima sezione penale della Corte d'appello calabrese, Filippo Leonardo, con un decreto notificato a difensori e parti civili lo scorso 10 maggio. Decreto dal quale si viene a sapere che il 7 gennaio 2016, a ridosso del ventitreesimo anniversario dell'omicidio, il legale di Gullotti, l'avvocato Tommaso Autru Ryolo, aveva proposto l'istanza.

Sulle tracce di Santapaola
Beppe Alfano, ucciso a 47 anni compiuti un paio di mesi prima, divideva la sua vita tra l'insegnamento e il giornalismo. Un giornalismo scomodo, che non esitava a scavare in storie di mafia e malaffare del messinese. Lo dimostrano articoli come quelli in cui il collaboratore del quotidiano La Sicilia faceva emergere interessi politico-criminali intorno alla sede di Milazzo dell'Aias (Associazione italiana assistenza spastici) e al villaggio turistico di Portorosa per la cui realizzazione sarebbero stati impiegati capitali delle cosche palermitane e che sarebbe servito per il transito di armi e di stupefacenti. Inoltre alcuni degli appunti sequestrati dopo il delitto – e mai restituiti alla famiglia, come ha più volte denunciato la figlia, Sonia Alfano – testimoniano che il giornalista seguisse piste che conducevano verso traffici di uranio dai Paesi dell'ex Patto di Varsavia.
Ma negli ultimi mesi di vita il vero pallino di Beppe Alfano fu la presenza del boss catanese Nitto Santapaola nel barcellonese, sotto la protezione dello stesso Gullotti. Che il cronista fosse sulle tracce del mafioso latitante è fuor di dubbio perché ne parlò anche al sostituto procuratore Olindo Canali, magistrato lombardo arrivato alla procura di Barcellona Pozzo di Gotto nel 1992 e con cui il giornalista aveva stretto una frequentazione quasi quotidiana.
Prima di morire, disse infatti al pm – secondo un memoriale scritto proprio da Canali nel 2006 e oggi alla base dell'istanza di revisione – che nel giro di breve “mi avrebbe detto esattamente dove si trovasse Santapaola”. Tuttavia un'affermazione del genere non fu sufficiente per far partire sul momento un'indagine e pochi giorni dopo Alfano venne assassinato prima di poter indicare con precisione il covo del mafioso.

Le accuse all'ex pm
Canali – tornato anni dopo a Milano e di recente destinatario di un avviso di conclusione indagini per corruzione in atti giudiziari per favorire Cosa nostra tra l'altro proprio con il memoriale del 2006 – fu anche il pubblico ministero che rappresentò l'accusa nel processo per il delitto Alfano. In quella veste, non contestò agli imputati l'aggravante della premeditazione e così per Gullotti giunse una condanna a 30 anni invece che all'ergastolo.
Ma perché quel memoriale adesso rischia di farlo finire a processo dopo un'indagine condotta dal procuratore capo e dal procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri e Gaetano Paci? In quelle pagine avrebbe cercato di scagionare – a pagamento, sostengono i pm reggini – Giuseppe Gullotti dalle accuse mossegli in un altro processo, noto come Mare Nostrum, sollevando dubbi anche sulle sue responsabilità nel delitto Alfano, responsabilità che pure aveva sostenuto in fase di indagine e in aula nelle vesti di sostituto procuratore. E destinatario di un ulteriore salvataggio sarebbe stato anche un altro uomo, Carmelo D'Amico, mafioso poi pentitosi, accusato di un triplice omicidio.
Dunque Gullotti, per la Dda calabrese, deve essere giudicato con Canali principalmente sulla base dello scritto di quest'ultimo mentre per quello stesso scritto, che non aggiunge sostanziali novità rispetto a quanto già ricostruito in passato, la Corte d'Appello della stessa città ha fissato il processo di revisione che, negli intenti della difesa, mira ad abbattere la condanna per l'omicidio di Beppe Alfano.
Infine, c'è un'altra particolarità della vicenda che desta scalpore. L'istanza di Gullotti fa riferimento anche al lavoro svolto dalla difesa del suo coimputato nel delitto Alfano, Antonino Merlino, condannato dopo un tortuoso iter giudiziario a 21 anni e sei mesi di reclusione come esecutore materiale. Quel lavoro, in passato, aveva dato l'abbrivio a un'altra istanza di revisione, stavolta per lo stesso Merlino. In essa, si riportavano anche le dichiarazioni di D'Amico, che indicava altri killer. Ma nel caso del carpentiere non c'era stato nulla da fare. L'istanza era stata respinta e Merlino è rimasto, nella sentenza passata in giudicato, il sicario del giornalista.
“Davanti a vicende così scandalose”, afferma Fabio Repici, avvocato della famiglia Alfano, “sono davvero curioso di vedere fino a quando si protrarrà il silenzio complice delle istituzioni politiche e dei grandi organi di informazione”.

In foto: Giuseppe Gullotti e Beppe Alfano

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